Tu ed io. Noi?

Vorrei raccontare di questo libro – della <mia lettura> di questo libro – per liberarmene, forse; per fare i conti con pagine, di splendida scrittura, che mi hanno respinta e coinvolta.

Di cosa si tratta? Formalmente di un romanzo: una narrazione, con personaggi di invenzione, di cui viene narrato in terza persona; con un protagonista e un deuteragonista principale di invenzione; con una, sia pur esile, trama.

Più propriamente, si tratta di un percorso di maturazione personale che interseca, nel suo farsi, l’esperienza devastante del lutto.

Meglio usare le parole dell’autore, che nel parlare di questo suo lavoro, mentre si stava facendo, ne dirà la difficoltà, lacerata tra il contenuto, tra una personale ricerca di sé nel mondo, nel momento in cui una crisi personale, una domanda essenziale su di sé viene inverata dal lutto, e la ricerca di una forma, di una scrittura, che traduca il <luogo> del suo sé e dunque il proprio posto nel mondo.

 “Camere separate si compone al momento, di “Tre movimenti” dal titolo, rispettivamente, “Verso il silenzio”, “La conquista della solitudine”, “Camere separate”. Dico Movimenti proprio con senso di <ritmi musicali> poiché una spartizione in capitoli non mi andava bene in quanto presupponeva consequenzialità e avanzamento o giustapposizione sempre comunque un’apertura, un déroulement.

Invece queste tre parti affrontano ognuna gli stessi temi (…) Sono come tre unità che ruotano una a fianco dell’altra, riprendono <il tema> e lo portano su livelli e toni differenti con l’uso della variazione e della ripetizione (ora più descrittivo, ora più interiore, ora più veloce, poi più lento ecc. (.…)

Capisco che è difficile comunicarti il mio work in progress ma la difficoltà è che si tratta di un libro che va dove vuole e non dove io tento di metterlo. E mi devo sforzare di seguirlo anche in certe zone di me che non vorrei. In altre parole il problema di Camere separate è di quanto e del <fino a che punto> io sia disposto a mettere in gioco me stesso, e a concedermi, per poterlo finire.”[i]

E se il work in progress ha presentato per l’autore, una difficoltà – di coerenza? di struttura? – avente a che fare con un obiettivo in fieri, nell’opera conclusa il lettore si troverà a incontrare un preciso studio di forma, originalissima, che si combina con un aspetto di, con la struttura formale di, una fiction: labile, un velo che chiede di sfocare la realtà superandola nel suo aspetto fattuale – autobiografico – per portarla su di un piano di universalità: di cosa? Della condizione umana?

Non proprio. Di una ricerca del sé e del proprio posto nel mondo. Che Tondelli troverà nella scrittura e nelle sue forme; che lo porterà a divorare chi con lui condivida, chi chieda di condividere, i giorni; trasformandolo in pagine, senza creazione di un reale “noi”.

Lo dirà, infatti. Sia pure attraverso un dire provvisorio, dentro una permanente interrogazione di sé.

“…e allora, nei giorni seguenti Leo riflette come forse non ha mai fatto prima, sul fatto che la sua vita è ormai troppo inestricabilmente legata allo scrivere, che questa sola cosa gli importa ed è questa, non lui, a dirigere gli spostamenti interiori della sua vita”

PRIMO MOVIMENTO

VERSO IL SILENZIO

Leo, alter ego dell’autore, scrittore trentenne, conosce Thomas, giovane musicista. Leo è reduce da una storia che lo ha segnato; sta riflettendo sul giungere della maturità.

La relazione con Thomas costituirà un percorso positivo fino al momento in cui dovrà confrontarsi con il bisogno – di Thomas, non suo – di dare forma al loro amore nella convivenza.

Leo si negherò, pur amando profondamente il più giovane Thomas. Chiederà, imporrà una vita in Camere Separate; di condividere tempi, viaggi, esperienze: non la quotidianità. Respingerà il progetto di fondere la propria vita in un “noi”.

Dovevano per forza normalizzare un rapporto che la società non poteva appunto recepire come norma? Non sarebbero divenuti lo specchio di quelle convivenze grottesche di omosessuali in cui qualcuno sempre cucina e qualcun altro va sempre al mercato a fare la spesa?”

Thomas sceglierà di tornare alla propria casa di Monaco.

Thomas morirà di AIDS e Leo lo vedrà, per un ultimo saluto, in una camera di ospedale. Sarà l’ultima visita, l’ultima carezza, lo spazio privato di pochi minuti che il padre di Thomas avrà concesso a Leo e a suo figlio.

 “Come se gli dicessero vi siete divertiti e questo va bene. Ma qui stiamo combattendo per la vita. Qui la vita è in gioco. E noi, un padre, una madre, un figlio, siamo le figure reali della vita.

Leo sente allora l’interezza della propria vita abissalmente separata dai grandi accadimenti del vivere e del morire. Come se avesse sempre vissuto in una zona separata della società. Come se il suo star male al mondo, o il suo essere felice, il suo vagabondare, tutto si fosse svolto su un palcoscenico. Ora finiva la rappresentazione. I padri e le madri, la chiesa, lo stato, gli uffici d’anagrafe ristabilivano il loro possesso. Riordinavano seppellivano, consegnavano tutto alla polvere azzerante degli archivi. Tutto meno l’insignificante dolore di un ragazzo estraneo.”

Thomas morirà avendo al proprio fianco la sua famiglia, senza Leo.

SECONDO MOVIMENTO

IL MONDO DI LEO

Sarò la parte centrale della storia; di cui il primo, più breve movimento, come in seguito il terzo e ultimo, costituiranno Premessa e Chiusura: il tenue filo del racconto.

 “Ogni anno l’autunno gli porta di questi sentimenti. Bisogni di silenzi, di solitudine, di ricordi. Di ricapitolarsi. Bisogno di interiorità. La terra lo chiama a sé e lo invita a raccogliersi. E lui, che è nato nel chiarore sospeso di un giorno di fine estate, una mattina, lascia la sua casa e si mette in viaggio.”

Dov’è la sua casa? Milano? Il paese, a casa dei genitori? Ricordi? Realtà?

Nel viaggio – ha un biglietto chilometrico valido tre mesi – ha portato con sé  “un quaderno per scrivere e un walkman per ascoltare musica. In questo modo si sente meglio attrezzato per la sua spedizione oltre i confini del corpo di Thomas.”

A Dresda, in treno da Berlino Est – un viaggio all’indietro nel tempo fra passaporti, visti, dichiarazioni, permessi, vouchers prepagati di alberghi tipo Karl Marx Plaza, Lenin Hotel o Sozialism Palast – le macerie della città richiamano i ricordi di un film veduto alla TV sulla storia di un bambino in un campo di sterminio, salvato da un soldato americano; e il senso di colpa che lo aveva ferito per anni.

“…Thomas era lontano, lontano… intorno a lui erano solo alcune coppie di anziani turisti tedeschi occidentali, qualche signora americana in scarpe da tennis e foulard di plastica, una scolaresca di ragazzine chiassose e allegre.”

La visita alla Gemäldegalerie di Dresda: nel volto della Madonna con bambino del Correggio, nata per stare nella chiesa del suo paese natale, riconobbe il volto della sua insegnante di catechismo. Erano identiche, il viso dipinto e quello che lui era in grado di ricordare”[ii]

TERZO MOVIMENTO

CAMERE SEPARATE

 “Leo si avviava alla consapevolezza interiore e silenziosa dei suoi trent’anni, Thomas verso la pienezza della gioventù.”

Leo prepara il distanziamento da Thomas; Leo non accetta convivenze; Thomas vorrebbe che l’amore vivesse di certezze, di condivisione; Leo non consente che ciò venga neppure espresso.

Leo sapeva: “… l’amore che lui continuava a nutrire per Thomas non sarebbe stato sufficiente. Si sarebbero feriti, si sarebbero abbandonati. Vivere insieme significava credere in un valore che nessuno era in grado di riconoscere”.

Per converso, la morte di Thomas è un tradimento. È la verità di una lontananza voluta, che viene svelata. Difficile elaborarla, particolarmente se l’elaborazione (ma nel lutto è sempre, anche, così) viene centrata sull’io, offeso, di chi è rimasto.

È assurdo assumere ad argomentazione il trovare le cattive o buone ragioni del personaggio – ma non è un personaggio! È l’autore, e questo è una elaborazione a proprio uso e consumo, che si attorciglia su di sé.

Mi ritrovo a prender parte. A giudicare! Cos’è questo non volersi confrontare nella relazione? Questo incorporare la vita dell’altro per farne pagina scritta?

Non ho voglia di leggere altro di Tondelli. So che dovrò, che vorrò, leggere tutto di Tondelli; che non è questo il tempo per lasciarlo.

È un libro la cui scrittura è uno specchio: ci rinvia un’immagine di noi che si contorce, sofferente, in qualche modo spiacevole. È “lui”. Siamo noi?

Ed ecco: è un libro che non posso dire di aver amato mentre lo leggevo. È tuttavia un libro che non si lascia; pena farlo rimanere là, in un angolino del desiderio e del bisogno: di andare a vedere; di scoprire il bluff; di scoprire che non si trattava di un bluff; che abbiamo perso la scommessa; che siamo stati vinti, e catturati.

Si legge, presi, a tratti, da una certa rabbia (nei confronti del protagonista); o da qualcosa che assomiglia più a un senso di colpa che si vorrebbe allontanare, come avviene quando non si è stati, colpevolmente, ad ascoltare qualcuno.

L’edizione Bompiani che ho tra le mani è completata da un “Bonus Track”, una raccolta di materiali, lettere, interviste con l’autore.  Non ne ho ancora terminato la lettura, nel timore di ritrovare intrusa la mia relazione con il romanzo. Ora completerò; poi rileggerò tutto.


[i] In: Bonus Track

Work in progress. Frammento di una lettera di cui non si conosce la data né il destinatario. P. 248

[ii] Giusto per curiosità. La pala, dipinta per il Convento dei frati minori di S. Francesco di Correggio da Antonio Allegri (noto come il Correggio, per l’appunto), dopo essere stata confiscata da Francesco I d’Este e collocata a Modena, nel Palazzo Ducale, fu venduta da Francesco III d’Este, con altre cinque opere di Correggio, ad Augusto III di Sassonia- Da allora si trova a Dresda, una tra cento opere della Galleria Estense vendute per “far cassa”.