La vestina rosa di Dio

Matteo Bussola, “Viola e il blu“, Salani editore 2011

Ultimamente ho trascurato di proporvi letture per ragazzi. Non come lettrice, per la verità. Confesso di essermi bevuta, tra un libro e l’altro, addirittura tre Jules Verne, due dei quali, peraltro, non avevo mai in precedenza letto e che ho decisamente e letteralmente “goduto”. Mi pareva, tuttavia, di dover incontrare qualcos’altro, che chiedesse di venir proposto; e che ora ho trovato!

Mi è giunta tra le mani una vera chicca: che non rientra, per la verità, nel genere finora proposto. Si tratta di un libro per bambini – età, diciamo, intorno agli otto anni? Ma, in effetti, non solo. Proprio no.

Parla di ruoli sociali, di maschile e femminile, di vincoli, di stereotipi, di cambiamento – quello per cui, fino a un tempo storicamente non troppo lontano, poco più di un secolo fa, a ben vedere, il rosa era il colore del maschile e l’azzurro il colore del femminile.

Ed ecco il Dio creatore di Adamo della Cappella Sistina con la sua tunichetta rosa pallido (la foto non lo mostra bene, ma è proprio rosa cipria); ed ecco “La Madonna del Granduca”, di Raffaello, con il suo manto doverosamente blu.

Dentro un dialogo tra un padre – il narratore – e la figlia, si snodano temi su temi , dal maschile inclusivo del linguaggio al cosa significa stereotipo, specie di scatola in cui veniamo rinchiusi e a nostra volta richiudiamo il nostro prossimo, costringendone le scelte. Al ruolo delle streghe, donne pericolose perché libere.

Posso dire, in apertura, qualcosa che parrà una bestialità?

Ecco: talvolta, ho pensato, mi sono riproposta, di rileggere, a distanza epocale (gli anni non sono tutti uguali, e non lo sono i decenni, e le epoche cambiano) “Il secondo sesso” di Simone de Beauvoir. Aleggia nella mia testa una domanda: sarà un testo, e un linguaggio, ancora vitale? In grado di parlare ancora alle giovani donne e, possibilmente, ai giovani uomini? Se sì, che dire: siamo ancora là?

Ho soprasseduto; ho rinviato ma ora: questo libro per l’infanzia risolve tutto! Da solo, merito di una scrittura piacevole, chiara, inequivocabile, se offerto in lettura, meglio ancora se letto, a una bambina o a un bambino, potrebbe, in potenza, con semplicità e chiarezza, rispondere a tutto ciò che seguirà nella vita di quella bambina, di quel bambino.

Ed ecco la bestialità: non sarà più necessario, per quella bambina, per quel bambino, un domani, leggere “Il secondo sesso”. Che ora io invece dovrò rileggermi per davvero, prossimamente. Almeno credo. Tanto per vedere se ho ragione.

Incipit:

“Conosco una bambina difficile.

È facile essere una bambina difficile.”

(…)

“Per esempio, la bambina difficile che conosco io ha otto anni e si chiama Viola.

A dispetto del suo nome, le piace tanto il Blu.”

La mamma di Viola è ingegnera – come dice la bambina – e lavora fuori casa.

Il papà di Viola è un pittore: e si capisce, direi: gli bastano poche parole, poche pennellate e, in due paginette avremo il quadro in cui collocare i personaggi e i loro ruoli.

Ha il suo studio in casa, ed è dunque il genitore più presente nella quotidianità di Viola.

Il papà e la sua bambina dialogano; la bambina pone domande e papà risponde; la bambina osserva un’incongruenza in quanto papà dice e la fa presente. Papà abbozza.

Viola, che ama il blu, è molto seccata per le aspettative che, intorno a lei, vorrebbero che amasse il rosa: si sta aprendo la strada che la condurrà ad assumersi un impegno chiaro, un impegno che dovrà coinvolgere maschi e femmine, per diventare uomini e donne.

Perché, se è vero, come diceva Simone de Beauvoir, che “Non si nasce donna: lo si diventa(e facilmente si diventa la donna che la cultura prescrive) è anche vero che si nasce maschi ma per essere uomini occorre impegno; un impegno del tutto nuovo.

Si tratta, dicevo, di un libro interessante per giovanissimi lettori (7-8 anni; diciamo pure fino ai 10). Talvolta i nostri preadolescenti, soprattutto le bambine, desiderosi e insieme timorosi dei cambiamenti che intuiscono di aver dinnanzi a sé, amano fare un passo all’indietro, tornare ad un gioco, ad un libro che – la copertina, la grafica, i disegni – li riporti al tempo in cui mamma o papà leggevano loro una favola; che poi avrebbero riletto in proprio.

Non è un regressione; è un piccolo, molto piccolo, arretramento. Serve a prendere lo slancio e superare l’ostacolo. O quantomeno a entrare decisi nell’arena.

E questa non è una favola: è un dialogo, tra un padre e una figlia, dentro un quadro che mostra la famiglia e la comunità di appartenenza; che mostra gli amici e le amiche di Viola, le loro difficoltà, dove il dilemma con cui la storia si apre – il rosa e il blu; e la necessità di “appartenere” a un colore e ai suoi significati –  rappresenta solo un, non banale in effetti, indicatore di un futuro prossimo carico di obblighi impropri.

La mamma e il papà dei libri della scuola primaria italiana. Ruoli ascritti: Mentre il papà legge il giornale la mmma passa l’aspirapolvere

Viola, dunque, ama il blu. Ma ha anche altre passioni: Viola amerebbe, per esempio, giocare a calcio, ma i bambini che lo giocano la respingono. E racconta: non porge solo domande al papà.

È amica di Marco, che non potrà avere il giornalino di Dora l’esploratrice come vorrebbe, dove sulla copertina Dora è disegnata con un bellissimo tutù rosa. È stato deriso dalla mamma e dal giornalaio per questo desiderio, e obbligato a rinunciarvi.

Viola racconta di Denise:

  • “È che sai, papà (…) al parco giochi c’era la Denise che prendeva in giro suo fratello perché giocava con una bambola. C’era anche sua nonna. E sai cosa gli ha detto?
  • Cosa?
  • La nonna di Denise gli ha detto: tu sei un ometto e dovresti giocare con le macchinine, non a fare la mamma.
  • E il fratello come ha reagito?
  • Il fratello ha detto: io non sto giocando a fare la mamma, io sono il papà!”

Si poteva dire meglio?

I papà e le mamme (o i nonni e le nonne) hanno a portata di mano una buona scusa per leggere questa storia: prima di dare un libro ad un “bambino” /ad una “bambina”, è bene che l’adulto lo abbia letto! E cosa sarà mai se scopriremo trattarsi di un libro interessante anche per noi? Non, certo, per i concetti che esprime ma sicuramente per “le parole per dirlo”. Per scoprire che parlarne è tanto semplice. Per scoprire che, in effetti, molto semplice non è, ma sicuramente è necessario. Per scoprire che certi passaggi della vita possono essere insieme faticosi e semplici: basta comprenderne il senso, e la necessità; e potremo, ognuno, essere la persona che siamo; o quella che ci proponiamo di diventare; quella che ci calza bene, che ci fa essere, con noi stessi, a casa nostra.

Difficile dunque dire se questo libro – da leggere, con calma, in meno di un’ora – sia destinato a: chi?

Viola e il suo papà chiacchierano scendendo in paese, Viola con il suo monopattino, si lancia lungo “la Discesa del Terrore”. Devono acquistare del concime che serve al padre per il loro giardino; e pregustano un gelato al gusto Puffo: e no, non perché è di color blu – dirà Viola – più semplicemente perché è buono. E fanno incontri: che mostrano la concretezza del tema.

Lungo la strada incrociano un amico di papà che, dal finestrino dell’auto, saluta allegro. E commenta:

“Anche oggi stai sotto a fare il mammo, eh?

Il papà di Viola non ride. Viola chiede.

Queste pagine trattano un tema cui dovremmo pensare; ma anche no, vorremmo dire. Dopotutto, noi lettori, noi genitori, o perché no, nonni, che la sera, ma anche in altri momenti, leggiamo le favole e le storie ai nostri figli o nipoti come viatico all’addormentamento e al sogno, siamo gente che ha superato certi stereotipi, pur cadendoci, mamme e papà, nonne e nonni, giusto quel po’ che serve a darci respiro. Non è così? Dopotutto, se vogliamo regalarci il piacere di vestire per Carnevale la nostra bambina da fata o da principessa che male ci sarà? È solo un gioco, e ci restituisce la nostra infanzia. Tanto più se a chiedere il vestito di voile rosa e il cappello a punta con il velo è la bambina stessa (ammettiamolo: un po’ ci piace; avrà tempo, pensiamo, per ribellarsi; poi, non vorremmo certo cadere nello stereotipo opposto!)

Anche no. Qualcuno ricorderà il bambino, il maschietto che è stato, e che tanto desiderava vestirsi da fata; e che non sapeva perché ma aveva già chiaro che no, non avrebbe potuto chiederlo perché sarebbe stato pure facile bisticciare con i genitori ma mai avrebbe potuto, vestito da fata, affrontare gli amici. Sarebbe stato deriso a morte.

Marco regalerà a Viola il giornalino “per maschi” che ha dovuto acquistare e che non lo interessa.

La soluzione, nei miei ricordi, era a portata di mano: si sarebbe vestito doverosamente da supereroe e avrebbe deriso la sorella principessina ridicola! E via, di corsa, spada in mano in posizione prescritta!

Il rosa e il blu. Il posto delle donne e il posto degli uomini: ambedue obbligati. Ma vedi, si parte da là e si arriva a…

Matteo Bussola, con questa storia, arriva a un discorso molto serio. Svolto con chiarezza; e semplice, come sempre accade quando la verità si mostra.

Di lui, Michele Serra scriverà: “Bussola sa scrivere. Usa le parole con accortezza, con cura, come se fossero importanti. Tanto importanti quanto le esperienze che raccontano.” Mi pare una sintesi perfetta.

È un autore noto anche come fumettista, disegnatore per Bonelli; come conduttore (“I padreterni”, su radio 24); come opinionista (Rubrica “Storie alla finestra”, Robinson, inserto culturale di Repubblica) ma che non avevo mai letto nella sua veste di scrittore; la cui produzione, peraltro, è ormai significativa. Dovrò rimediare.

Quello che è certo è che il tema della paternità lo impegna molto; ed è un tema che non contempla un gran numero di voci maschili. Vero è che Matteo Bussola, da padre di tre figlie, ha sicuramente avuto gli stimoli giusti per porsi qualche domanda.

Da parte mia, lo ho letto a mia nipote di dieci anni: ed è stata una esperienza, un tempo trascorso insieme, molto bello.

La storia è stata arricchita dal suo entusiasmo e dialogata dai suoi interventi e dalle sue domande a raffica. Approvata totalmente.