Autori, editori, librai, lettori. Teoria del caos

Mi sono dilungata titolando le mie divagazioni “Antropologia del lettore”; ho inanellato alcune riflessioni, del genere poche ma confuse.

Si dovrebbe scrivere solo quando si è messa a fuoco un’idea, un concetto, una analisi, capaci di venir sostenuti, e confrontati, ed eventualmente dibattuti e confutati. Nel mio caso purtroppo non va così e temo di non saper scrivere un pensiero concluso ma solo un pensiero in via di formarsi. <Scrivere per> cercarlo, per metterlo a fuoco e abbandonarlo – una tappa del percorso, che talvolta chiede di rivolgersi all’indietro, ad un bivio non veduto.

È angosciante, dopotutto, trarre una conclusione e considerarla punto di arrivo, no? Un po’ come non aver più strada davanti a sé.

E dunque: il lettore, certo: è centrale ma è solo un punto del sistema; un hub, forse il più importante, quello cui tutto il sistema è finalizzato, volendo guardare da tale prospettiva gli altri aspetti del quadro.

Coì facendo si perde, tuttavia, lo sguardo d’insieme, peraltro impossibile, sempre e comunque.

<Noi> lettori che guardiamo il <fuori di noi> siamo un elemento del quadro, interni rispetto a quell’<esterno>, a quel <fuori> cui vorremmo guardare: che dunque non esiste a prescindere dal nostro punto di vista; che esiste unicamente come forma mentale, come nostro prodotto. Che poi lo si voglia chiamare <il mondo esterno> – noi di qua e il mondo di là – è altro.

Avete presente il dialogo tra Harry Potter e Silente, dentro quella stazione di sogno tra il mondo dei viventi e il mondo dei morti? Vi si diceva qualcosa del genere:

Harry:Mi dica professore, ma tutto questo è vero o esiste solo nella mia testa?

Silente (mentre sparisce): Certo che esiste solo nella tua testa, ma perché diavolo questo dovrebbe voler dire che non è vero?”

Chiaro no? Vale per ognuno di noi. Il giorno in cui non apparterremo più alla vita, con noi se ne saranno andati tutti i nostri mondi personali; tutti quei mondi la cui realtà apparteneva solo a noi? Temo che ci sia una grande presunzione in tutto questo. A partire dalla presunzione di esistere come <altro> rispetto al mondo. E che esistano <i nostri> altri, ovviamente.

Esiste il <mondo>, certo. E noi vi apparteniamo, finché ci siamo. Ed anche dopo, in realtà: non perché forniti di vita eterna, ma perché avremo trasmesso la nostra vita, nei tanti modi in cui ognuno lo fa.

Ma è cosa diversa il pensarlo: di esistere, intendo, come punto di osservazione dotato di realtà ontologica. E che esistano, con i lettori, quel mondo di relazioni-viste-da-noi che correla nell’interdipendenza autori, editori, librai, e galassie di attività che li circondano. E lettori, naturalmente.

Scusate, questo che sto scrivendo di regola non lo leggereste: solitamente, dopo essermi svagata a scrivere cose così, esercito un qualche più che opportuno taglio. Oggi, mi sto regalando, temo, una licenza – privilegio dei vecchi. Come si dice: Se non ora, quando?

Riprendendo.

Il lettore: l’editore, l’autore, e le loro galassie.  E le librerie: punto di precipitazione del sistema. Che riportano al lettore. L’immagine che incontro – ma è impropria! – è quella di un grande fiume, risultato dell’incontro di più affluenti, che a un certo momento trova un salto del terreno, e forma una rapida. C’è qualcuno, una, tante barche che lo navigano – è una flottiglia – è un convoglio – molti convogli; ci sono singoli natanti che vanno – a zonzo, per i fatti loro. Ci sono i pesci nel fiume, più grandi più piccoli; che si nutrono gli uni degli altri; alcuni, grossi, forti, faranno fronte alla corrente, troveranno un punto di permanenza, un anfratto che li metta al sicuro dal precipizio; altri spiccheranno il salto, lo affronteranno d’un balzo, volando. Alcuni moriranno, sfracellati sulle rocce.

Dall’altra parte, dal ribollire dell’acqua al fondo della caduta, pesci sapranno risalire il baratro. Altri proseguiranno il viaggio a valle. Ognuno vivrà la propria avventura; e figlierà, prima di morire; trasmetterà vita – dentro le stesse acque, diretta ad altre acque, ad altro nutrimento, chi lo sa.

Della specie umana è difficile dire. Una specie che, per oscuri motivi, complica tutto, la vita propria e quella delle altre specie. Una specie che ha molti modi del fare figli, molti modi per trasmettere vita: aver cura dei figli (come ognuno sa e come può, certo; i figli della specie ne richiedono molta); piantare un albero; scrivere un libro – e aver cura di ogni loro filiazione, nutrendola, a lungo.

La nostra specie riceve e trasmette la propria vita attraverso i mille modi del lascito, ricevuto e restituito, del lascito che giustifica il nostro esserci e il nostro andarcene. Portiamo con noi l’ambizione, la speranza, o il solo desiderio che, piccolo o grande, ogni nostro lascito abbia la capacità di figliare a sua volta.

L’autore, l’editore, il libraio, il lettore (e coloro che non leggono ma vengono contagiati dal pensiero dei libri). Una estesa rete parentale, che condivide, genera, cresce, figli-lasciti. Un mondo condiviso di relazioni, prescritte e non, obbligate da regole e travolta da grumi di emozioni, alleanze e ostilità. Fratelli-coltelli; ma anche legami inalienabili. E nulla cambia se, all’interno del sistema, si sviluppano guerre tra bande; se alleanze effimere e mobili insanguinano il terreno di scontro.

Per chi scrive l’autore? Ha qualcosa da dire, da raccontare, ad altri, che condividono il suo mondo, a partire da una lingua e dentro un humus culturale dato, sempre in movimento – sempre meticciato. Talvolta, spesso, ha qualcosa di se stesso da dire, e chiede ascolto per un qualcosa che ritiene degno di venir condiviso, intelligibile ad altri e – utile, forse? Interessante, appagante, tale da far sentire altri, a loro volta, accolti, ascoltati? Ma guarda, c’è qualcun altro che sente, prova, soffre, gode, si interroga, per le stesse cose, attraverso le stesse cose, che sento provo godo soffro io.

Il bello è che, di bocca in bocca, da orecchio ad orecchio, le storie cambiano, si rinnovano, e vengono restituite ad altri diverse, nuove – e vengono restituite anche a chi non le ha ascoltate, attraverso certe loro vie nascoste; a chi sta, in apparenza, al di fuori della catena.

Talvolta l‘autore è qualcuno che ha risposte da offrire, nuove strade da suggerisce. Apre sguardi su nuovi mondi di possibilità. E ci fa compagnia, raccontando storie, divertendo, stupendo. Sempre, dicendoci di noi.

Le storie – le narrazioni, di diverso genere – dovranno trovare un editore – fatto che non sempre accade; evento che peraltro può costituire, anche, la loro morte: la caduta nel nulla di un libro pubblicato lo seppellisce, definitivamente. Lo uccide.

Meglio sarebbe stato persino narrarle, a voce, lanciare fogli volanti alla folla – ricordo con emozione un ragazzo, a Bologna (tanti anni fa, davvero troppi; in un tempo mitico, di giovinezza) che offriva le sue poesie, foglietti scritti a mano, anche al momento: ti guardava, scambiava con te qualche parola, poi sceglieva tra i suoi fogli di quaderno, un verso tutto per te; o lo scriveva ex novo, proprio per te. Gradiva un’offerta, ma non la chiedeva. Regalava comunque pensieri e mondi di poche righe; talvolta una.

Repubblica, 21 agosto 1981

Oh, diciamolo: era un gran bel ragazzo, aveva un bel sorriso; e forse non lo avvicinavamo solo per la poesia, noi ragazze dico.

Ancora oggi non riesco a pensare Piazza San Petronio, e Bologna, senza (anche) questo ricordo.

Il 2 agosto 1980 era di là da venire e no, in quel luogo, quel 2 agosto neppure avrebbe potuto, allora, venir immaginato. E chissà, se quel ragazzo avesse continuato a distribuire poesie, cosa che certamente non avrà potuto fare… Anche su di lui si saranno depositati gli anni, e il bisogno di mangiare, e una qualche disillusione.

Lo dico solo per via di quella cosa, la sapete, della farfalla che batte le ali in Brasile e si scatena un tornado in Texas – me l’ha ricordata il giallo che sto rileggendo. Nulla di nuovo, ma contiene cose davvero buone, begli anfratti.

La domanda – per chi scrive l’autore? – non può avere risposta: l’autore scrive, certo, per altri; ma scrive innanzitutto per sé; arrivare agli altri è una meta, senza dubbio; ma è, temo, una meta solo operativa. L’obiettivo credo sia l’auto-riconoscimento del sé che l’autore ha immesso nel libro. Almeno credo.

Non dovrebbe essere così. Proprio come a un figlio, l’autore dovrebbe dire al suo libro, dopo avergli dedicato, vogliamo dire una vita: ora va, sei nato, sei cresciuto. Sei libero. Ama tutte le mani che ti accoglieranno. Godi di nuove riscritture. Reinventati. Parla, e ascolta tutti quelli che puoi.

Hai di fronte a te la tua vita. Senza di me. Buona fortuna.

Mi dicono che gli scrittori si inalberano quando i lettori leggono, dentro il libro, ciò che non ritenevano di avervi messo. Non so se sia vero ma ci credo, come si dice. Diciamo che lo posso capire. Per non dire del duro lavoro dell’editor. Non ricordo quale celebre autore abbia detto che avrebbe potuto uccidere chi avesse provato a modificare una sola parola in un suo scritto.

L’editore: suo il diritto di via e di morte di un libro. È la persona che più incarna la figura di un dio. Suo il gesto creatore: visto si stampi – fiat lux. Suo il compito di accompagnare il libro nella vita.

Purché esistano dei fedeli di quel dio-editore, certo. Non esiste divinità senza adepti. E oggi – la cosa è nuova? – esistono gli atei, i miscredenti, quelli che bastano a se stessi, per il tempo destinato loro.

Che dire: in questo campo, e solo in questo, mi professo vera credente. L’editore può sbagliare, ci sta; sicuramente grandi opere saranno state perdute per causa sua, o del mercato che lo condiziona, o di una miopia che si è sposata con il mercato, o per altro; ma tant’è. Nella foresta dell’auto-pubblicazione non credo vinca il migliore. 

Vero: neppure nell’editoria.

È uscita, a giugno, credo, io l’ho scoperta con un po’ di ritardo, una nuova Rivista – nel progetto è un semestrale, con numeri monotematici.

“Cose spiegate bene. A proposito di libri.” – Rivista cartacea del Post. Numeri tematici. Primo numero.

Parla di: Come nascono e diventano questi oggetti di carta dove leggiamo storie, idee e mondi interi. Con testi di: Concita De Gregorio, Giacomo Papi, Francesco Piccolo, Michela serra, Luca Sofri, Chiara Valerio. Con illustrazioni di Giacomo Gambineri. Pubblicato da Iperborea.

Un bell’oggetto. Bella copertina, contenuti accattivanti, curiosi; pure risaputi ma che, sistematizzati per bene, offrono una utile chiarezza sul tema.  

L’avevo detto, che non avrei tratto conclusioni di alcun tipo. L’avevo detto.