E vi trovate a Gaborone, capitale del Botswana?
Alexander McCall Smith, “Precious Ramotswe, detective”. Edizioni Tea 2013 – Traduzione di Claudio Carcano
Poi ci sono libri per lo svago che, talvolta, oltre ad essere di ottima fattura, forniscono pure qualche suggerimento per la ricerca, fosse mai possibile, di una vita buona. La sera, in loro compagnia, si apre la possibilità di scivolare nel sonno con il sorriso, dimenticando l’ultimo telegiornale, l’ultimo articolo letto; dimenticando le inutili preoccupazioni per un mondo, il nostro, che marcia verso la catastrofe. Che trascinerà con sé nella catastrofe anche piccoli mondi migliori.

Non so perché mai, fino ad oggi, tra le proposte di lettura, ho trascurato Alexander McCall Smith; perché mai ho dimenticato, la No. 1 Ladies’ Detective Agency, la prima, sola, irripetibile Agenzia investigativa femminile del Botswana; con la sua grande inventrice e protagonista, Mma – la signora – Precious Ramotswe, bella, stimabile e ancora giovane donna, fiera della sua “corporatura tradizionale”.
I casi di cui Mma Ramotswe si occupa, beh, per lo più, o in massima parte, non sono veri e propri reati: niente morti ammazzati, per dire (o almeno, per quanto ne so io, dopo aver letto, nel tempo, alcuni libri della serie); niente rapine a mano armata; niente furti di gioielli.
Niente scontri a fuoco; niente veleni, niente coltelli. Niente polizia; soprattutto niente carcere e tanto meno condanne a morte, alla Christie.
Per lo più, leggiamo in quarta di copertina, “Figlie ribelli. Mariti scomparsi. Fidanzati fedifraghi. Truffatori impiccioni. Coccodrilli spariti. (…)”
Incontreremo solo ragionevoli inchieste su problemi familiari, o di buon vicinato; di parentele: cose così; affrontate con buon senso, con amore per la verità e tanta comprensione per il colpevole di turno, che verrà a sua volta aiutato a risolvere i propri problemi, nel mentre Mma Ramotswe risolve i problemi del cliente.
Ogni inchiesta si chiuderà con l’invio di regolare fattura (commisurata, temo, alle possibilità del cliente, e dunque senza grandi guadagni) e con la possibile nascita di un’amicizia, figlia della gratitudine.
Nel frattempo, il tutto si sarà svolto attraverso incontri all’insegna di un ascolto empatico e, soprattutto, con il sostegno di tante buone tazze di tè.
Incipit:
La signora Ramotswe possedeva un’agenzia investigativa in Africa, alle pendici della Kgale Hill. I suoi beni consistevano in: un furgoncino bianco, due scrivanie, due sedie, un telefono e una macchina da scrivere. Aveva anche una teiera, nella quale la signora Ramotswe – l’unica donna detective del Botswana – preparava il tè rosso. E tre tazze: una per sé, una per la sua segretaria e una per il cliente. (…). Era una brava detective e una brava donna.”
Mma Ramotswe è affiancata da comprimari che – prima tra tutti la giovane segretaria, dagli occhiali spessi, orgogliosa ma non bellissima diplomata con un punteggio di 97/100 alla Scuola per Segretarie del Botswana – di storia in storia entrano nel quadro, per non lasciarlo più: gli esseri umani sono, dopotutto, relazione: nessuna persona è narrabile al di fuori dei suoi legami con altri.
Di libro in libro (e al momento, nel tempo, ne ho letto quattro) il personaggio principale diventerà così una piccola comunità, che si allargherà, consentendo ad ogni personaggio di trovare il proprio posto dentro un mondo condiviso: la città di Gaborone, capitale del Botswana, dove si trova la No. 1 Ladies’ Detective Agency, ma anche i villaggi più o meno lontani, da dove pare ognuno provenga, e dove ognuno vorrebbe ritornare nella vecchiaia: a riposare, a veder pascolare il bestiame; a chiacchierare con chi da sempre conosce.
In ogni villaggio pare che ognuno mantenga una parentela, più o meno lontana, che darà luogo a diritti/doveri di assistenza, cosicché nessuno sarà mai solo al mondo.
Finirà che percepiremo perfettamente come la vera protagonista di queste storie sia quella piccola comunità che si va formando intorno a Mma Ramotswe, con i suoi legami ai villaggi, alle parentele e agli amici che la rendono estensibile a tutto il Botswana.
Nella città e nella rete dei villaggi, sarà sempre possibile venir accolti: da un parente proprio o di qualcuno che ci ha inviato e, con ciò, resi ospiti riconosciuti e graditi. L’anonimato, l’estraneità, sono impossibili in un mondo dove la socialità è imperativa: vogliamo dire in una comunità retta, nei suoi legami, dalle donne?
Le strade non saranno tra le migliori ma, per lo più, saranno rettilinei, che un pulmino percorre in tranquillità, mentre ci si guarda intorno, godendo la vista degli alberi, degli uccelli, del bestiame – tutti gli abitanti del Botswana amano il bestiame pur faticando ad assicurargli acqua e foraggio sufficienti; godendo del colore del cielo, della foresta: nel migliore dei casi, della sempre benedetta pioggia.
Una comunità significa una cultura, un insieme di regole e di valori che prescrivono i comportamenti attesi per una buona convivenza. Una comunità significa anche orgoglio: per aver dato vita a uno Stato che, recente ex Protettorato britannico, ha ottenuto l’indipendenza e l’ha saputa realizzare con successo.
Significa anche amore per una terra – in buona parte occupata dal deserto del Kalahari – abitata da una piccola comunità umana, con le sue difficoltà e le sue ricchezze: con la bellezza di una vegetazione che nella stagione delle piogge diventa lussureggiante; con un patrimonio faunistico composto da una grande varietà di specie. Vivendo tra persone per bene.
Mma Ramotswe ci parla anche dell’Africa, che ama molto “nonostante tutte le sue tribolazioni”.
Il tempo indaffarato scorre lento a Gaborone. Si hanno momenti di utile ozio, adatti a riflettere su quanto sia bello e buono il luogo in cui si vive. Nelle ore calde, è bello sedersi sotto la grande acacia, anche se i polli verranno a becchettare ai tuoi piedi. Come peraltro accadrà in ufficio, a porta aperta per il caldo.
Nei momenti di buon ozio Precious Ramotswe pensa a come tutto, nel tempo, muti e diventi qualcos’altro. Pensa al tempo in cui a Gaborone non c’era alcuna agenzia investigativa e, per la verità, nemmeno gli edifici, nemmeno la città.
“In quei giorni non c’era nemmeno il Botswana, solo il Protettorato del Bechuanaland, e in epoca precedente la contea di Khana, e i leoni col vento asciutto nelle criniere. E guardate cosa c’è adesso: un’agenzia investigativa (…) con me, corpulenta detective in gonnella, seduta all’esterno a riflettere su come una cosa oggi diventi tutt’altra domani.”
Una vera filosofa naturale, Mma Ramotswe. Come il suo autore, peraltro, una delle cui serie avrà come protagonista, non casualmente, proprio una filosofa.
Qualcosa va detto sull’autore, di cui dovrò sicuramente leggere altro.
Alexander McCall Smith, di origini scozzesi, nato a Bulawayo, nello Zimbabwe nel 1948, è sicuramente un personaggio dalla vita e dagli interessi originali.
È vissuto a Bulawayo fino al momento di iniziare gli studi universitari a Edimburgo. In seguito, laureatosi in Giurisprudenza è ritornato in Africa, ad insegnare legge all’Università del Botswana.
Rientrato infine, definitivamente, ad Edimburgo, ha insegnato diritto applicato alla medicina.
Presidente del comitato etico del British Medical Journal fino al 2002, è stato anche membro del Comitato internazionale di bioetica dell’UNESCO.
Appassionato suonatore di fagotto e musicofilo è inoltre stato il fondatore, con l’amico Peter Stevenson, a Edimburgo, della Really Terrible Orchestra, la cui denominazione dice tutto, da sé. Alla sua origine pare vi sia stata l’invidia dei due fondatori per il divertimento dei loro figli nel far parte di orchestrine scolastiche: dunque, perché loro sì e noi no?
Bene: pare che l’orchestra abbia riscosso e riscuota il dovuto successo, anche quando – fatto salvo il fatto che siano tutti davvero (o magari no) “suonatori terribili” – incrementano questa loro caratteristica di proposito, suonando strumenti, diciamo originali: ad esempio una carota, una zucchina, scavate all’interno, altro, cui viene inserito un bocchino da tromba: vedere per credere.
Il video che allego ne mostra qualcosa: purtroppo, non sono in grado, dal poco che ne capisco, di seguire proprio bene le spiegazioni e la conversazione in inglese. A molti di voi andrà sicuramente meglio.
Come vedete, se la spassano. Mi chiedo come quest’uomo riesca anche a scrivere, e pure molto: ma lo ha fatto e lo fa. Divertendosi pure, parrebbe, leggendolo.
Ha al proprio attivo romanzi per bambini, raccolte di racconti, diversi romanzi singoli e ben cinque serie. Tra queste, “I casi di Precious Ramotswe”, giunti – dal 1989 ad oggi – al loro diciottesimo volume, sono state la prima.
I libri, pur seguendo la storia di vita della protagonista, sono autoconclusivi. Rimangono tuttavia massimamente godibili se letti in ordine cronologico (come ho scoperto in ritardo).
Dopo aver letto, nel tempo, in anni lontani, due o tre storie di Precious Ramotswe, e averle apprezzate, ho scoperto solo ora come, rispettando la serie, si ottenga una storia che si evolve, a partire da un primo libro che, fornendo al lettore il contesto, e la storia di vita, non facile, anche dolorosa, della protagonista, fornisce al lettore, implicitamente, la storia del Botswana: uno degli Stati africani che ha realizzato, con l’indipendenza, una stabilità e un progresso invidiabili pur nelle difficoltà date dalla iniziale grande povertà e da caratteristiche climatiche difficili.
Ed ecco, Mma Ramotswe risulterà una figura di donna a tutto tondo, acquistando spessore dalla propria origine e dalla propria dolorosa iniziale storia di vita.
Dimenticavo: Mma Ramotswe è, come detto, una donna felicemente dotata di una corporatura “tradizionale”: come – ne è ben certa – piace agli uomini che amano le curve, la morbidezza e l’abbondanza.
Ci pensate: sarebbe davvero bello aver cura di sé attraverso una quotidianità contrassegnata da ripetute tazze di tè arricchite da plurime e sostanziose buone fette di torta.
Ci sono tante buone cose da apprendere nel mondo di Precious Ramotswe. Vale la pena entrarvi. Se ne uscirà volendo più bene al mondo, a sé e al nostro prossimo.