Ricevo da Renza questo commento, che mi pare meriti di integrare “Scrittrici italiane del ‘900, e altro“. Sui […]
Natalia Ginzburg
Nel cassetto delle riletture completate c’è ora «Mai devi domandarmi» di Natalia Ginzburg, e c’è il mio desiderio di proporlo, perché è davvero una lettura densa di tante cose; ma mi rassegnerò ad accennarne in poche righe, per resistere alla tentazione di rimanere troppo a lungo, cocciutamente, su Natalia Ginzburg, sulla sua scrittura e sulla sua storia.
In chiusura di questo libro l’autrice scrive una nota, è il novembre 1970, per dirci come lo ha “costruito”, raggruppando scritti diversi (articoli apparsi su “La Stampa” di Torino nei due anni precedenti; un racconto, alcuni inediti). E conclude dicendo: “Non mi è mai riuscito di tenere un diario; questi scritti sono forse qualcosa come un diario, nel senso che vi ho annotato via via quello che mi capitava di ricordare e pensare; perciò l’ordine cronologico è forse il più giusto.”
Di un’autrice, di un autore ciò che di lei, di lui, interessa sta unicamente in ciò che ha scritto: è così e così dev’essere. Ci sono tuttavia autori, artisti, il cui tempo di vita, e la cui storia, gettano luce sull’opera anche se questa non richiede, per reggersi, altro che se stessa.
Natalia Levi Ginzburg è uno di questi casi, e lo è in modo peculiare: la sua storia di vita, la storia della sua giovinezza, illuminano la sua opera soprattutto per la grande, anomala alterità esistente tra la sua vita e la sua scrittura. Perché esistono tempi, ed esistono vite, da cui non si può prescindere; e in particolare per una donna, in un certo momento storico, è difficile dare vita, anche, e soprattutto, e comunque, ai propri figli e ai propri libri, prescindendone. In modo determinato. Sicuro. Dolcemente cocciuto. Seguendo la propria strada qualsiasi cosa avvenga.
Così, mentre annaspo tra i miei libri, e abbozzo senza costrutto letture e riletture, ho pensato che la cosa più giusta da fare sia metter mano a un annoso problema di riordino delle librerie di casa, compito di mia esclusiva spettanza (pur potendo usufruire di aiuto manuale) in quanto titolare delle stesse: non che l’altro che divide la vita con me non possieda libri, solo che mi sono, temo, appropriata anche dei suoi, da quasi mezzo secolo; in casa, come dire, i libri appartengono a me – responsabile acquisti e responsabile di gestione.