Proseguendo, e a proposito di Siri Husvedt, devo confessare una parzialità: lungi da me un paragone con il […]
Quello che ho amato
Siri Hustvedt, “Quello che ho amato”, Einaudi 2004
“Quello che ho amato” è uno dei primi romanzi di questa autrice, qualcuno dice il più bello, pubblicati in Italia.
La storia si svolge a New York. Leo Hertzberg, voce narrante, è un critico e professore di storia dell’arte, affetto da problemi di vista che lo condurranno nel tempo alla quasi cecità. Nato a Berlino, è figlio di ebrei tedeschi fuggiti nel 1933 dalla Germania nazista, dove invece hanno scelto di rimanere una nonna e la famiglia degli zii, con le due figlie gemelle, Anna e Ruth. “Furono tutti assassinati. Custodisco la loro fotografia nel cassetto”. Leo aveva cinque anni quando la sua famiglia abbandonò Berlino, e la loro casa, più volte ricordata, di Mommsenstraße 11.

Ho chiuso l’ultima chiacchierata dicendo che, nel divagare, mi venivano in mente libri interessanti, a proposito e a sproposito. E’ qualcosa che capita di frequente, credo, a tutti coloro che leggono. Si parla, o si scrive, di questo e di quello ed è difficile che, da qualche parte, non affiori un rimando, la sensazione di aver letto qualcosa in proposito, il ricordo di una frase, il dubbio di star utilizzando, del tutto fuori contesto, qualcosa che si è letto non si sa dove; magari solo una forma proposizionale, una unità di discorso non nostra, non dico una citazione, proprio frasi, o parti di argomento, cose così; non si sa bene se ciò che stiamo scrivendo, o dicendo, ci appartenga del tutto o non sia <rubato> ad altri, se sia cosa reinterpretata, divenuta nostra.