Proseguendo, e a proposito di Siri Husvedt, devo confessare una parzialità: lungi da me un paragone con il marito, sono autori molto diversi, ma lei (le sue tematiche, la sua scrittura, il tutto tondo dei suoi personaggi) è un’autrice che mi sta piacendo particolarmente. O forse la mia preferenza è preconcetta, soddisfa l’irritazione che provo nel vederla citata con l’attributo “moglie di Paul Auster” quando non, ironicamente, come “madame Paul Auster” (in una recensione-stroncatura che basta questo a squalificare: squallido che, per stroncare, legittimamente, un’opera – “La donna che trema” – si esca dal merito e si senta la necessità di questo inutile riferimento, con i suoi miseri sottintesi).
Americana di nascita, figlia di madre norvegese e di padre i cui nonni erano norvegesi, è cresciuta con una forte impronta data da questa sua ascendenza, che ne ha segnato la personalità, a partire sicuramente dal bilinguismo norvegese-inglese: possedere una lingua, infatti, equivale a introiettare un modo del pensiero, costituisce un approccio al mondo e ai significati.
Il padre, insegnante di lingua e letteratura norvegese al St. Olaf College di Northfield, fondato nella seconda metà dell’800 da immigrati norvegesi che l’hanno intitolato al santo re Olaf II di Norvegia, è stato un importante studioso della sua materia, mentre la madre, che ha conosciuto il futuro marito all’università di Oslo, si era trasferita negli USA poco prima del matrimonio.
Anche Siri ha compiuto i suoi studi al St. Olaf, terminati con una laurea in storia nel ’73, cui ha fatto seguito un dottorato in inglese alla Columbia University di New York. Qui ha conosciuto, e nel 1981 sposato, Paul Auster.
Anche per lei, come per il marito, la scrittura è iniziata con la poesia mentre, come per il marito, la notorietà è arrivata con il passaggio alla prosa. Dirà in una intervista di aver lasciato la poesia continuando tuttavia a frequentarla attraverso la voce dei suoi personaggi: nel suo libro “L’estate senza uomini”, la protagonista, Mia Fredricksen, è una poetessa, impegnata, in un momento difficile della propria vita, in un ‘laboratorio di poesia’ per un gruppo di ragazze adolescenti.
Il suo primo romanzo di grande successo giungerà, tuttavia, tardi, nel 2003, con “Quello che ho amato” mentre i suoi temi indagheranno, in forma autobiografica e non, per quanto attiene alle trame delle sue narrazioni, la ricerca del sé, in corrispondenza ad un grande interesse, coltivato fin dalla prima giovinezza, per la psicanalisi, in particolare per le connessioni con le neuroscienze e per le domande che, sul piano filosofico, sottostanno al tema della relazione tra mente e cervello. Il suo interesse si concreta in una visuale che non prescinde dall’appartenenza di genere e, soprattutto, dal tema della relazione all’altro da sé; una visuale che, in conseguenza, tiene in primo piano, come identità, i corpi nei quali il sé si concreta.
E sempre in “L’estate senza uomini” il personaggio del marito di Mia, Boris, quel tale che, per lasciare la moglie proporrà il prendersi una ‘pausa’ dal matrimonio, sarà quello di un neuroscienziato.
In “La donna che trema. Breve storia del mio sistema nervoso” (come in altri suoi lavori) Siri Hustvedt parlerà di sé, con riferimento ad una, chiamiamola ‘crisi nervosa’, occorsale per la prima volta in occasione di una conferenza pubblica. In quest’opera gli aspetti autobiografici si coniugano con il bisogno di conoscere, di studiare, di una scrittrice che, parlando di sé, vuole attingere gli aspetti generali del suo tema e giungere per questa via al lettore che troverà nei suoi scritti aspetti, se non della propria storia, della propria sensibilità al mondo interiore. E, dunque, nel suo libro, leggerà il proprio libro.
Sia per lei come per il marito, New York, e in particolare Brooklyn, costituiscono il contesto, il mondo da cui trarre linfa per le loro storie, per il trans-culturalismo che connota le loro biografie e la messa in scena delle loro opere (ma devo ancora leggere molto Auster, e anche “Follie di Brooklyn” potrebbe essere un libro interessante per proseguire la lettura di questo autore).
Una scrittrice non prolifica come il marito, nonostante il positivo riscontro che, dopo “Quello che ho amato” hanno avuto tutti i suoi lavori; ma, come il marito, è una scrittrice che sembra aver trovato, nella coppia professionale, una sicurezza e una forza insieme affettive e professionali: giusto, dato che – e vale per entrambi – il benedetto ‘sé’ richiede, dentro una relazione significativa, di essere assunto in toto. E cosa meglio di questa condivisione di storie, scrittura e visioni del mondo?