Letture di Giugno, parte seconda

copj170.aspRicapitoliamo: Recensito “Il mio nome è rosso”, e “Venezia Insanguinata”. Ora, secondo programma, ci dovrebbe essere “Il grande gioco”, e l’apertura di una categoria che potrebbe chiamarsi “Filosofia e dintorni” in cui inserire alcuni piccoli lavori di diversi autori interessanti. Dovrà tuttavia avere una struttura un po’ diversa e ci devo ancora pensare un momento. E completare alcune letture.

È estate, ci si regala qualche ora di relax e ci sta anche una lettura leggera, riposante. Per essere esatti una rilettura. Quel genere che capita quando, nelle sere d’estate, giorni di caldo eccessivo, alla mezzanotte abbondantemente passata, si gira per casa ripetendo con rabbia il ritornello “non ho niente da leggere”. Il libro che sto leggendo è impegnativo, non è un libro per la notte, mi ci vorrebbe qualcosa…ma cosa non so… Il malumore sale, mentre passo da una stanza all’altra e l’occhio corre, deluso, irritato, senza speranza, sulle scaffalature, scorre i libri in cerca di non si sa bene cosa. Un bel giallo? No, che strano, mi sono sempre piaciuti i gialli, da un po’ di tempo no, non mi attirano.

Eccolo! Forse. Mi era piaciuto. Può andare? “E poi, Paulette” di Barbara Constantine. Posso portarmelo a letto. Porto anche il Kindle, male che vada là dentro troverò qualcosa, l’incipit di Harry Potter mi è sempre piaciuto, poi ci sono anche le fiabe di Grimm, c’è Perrault, bene, si può affrontare la notte calda. Una fiaba è sempre una buona soluzione. Andiamo a letto.

In effetti, “E poi Paulette” mi ha fatto rapidamente avviare una buona notte ed è stato una scusa, la mattina seguente, per restarmene a leggere sul divano un altro po’. Non che aspettassi di vedere come andava a finire, lo sapevo già, ma il libro era una buona compagnia e la mattina era finalmente fresca. Lo consiglio. Quello che si chiama libro da ombrellone, da spiaggia. Non è recentissimo, Einaudi Stile Libero BIG 2012, ma io sono molto determinata ad ostacolare la rapida obsolescenza dei libri che, oggi, scompaiono dagli scaffali nel giro di un mese. Vero, si tratta spesso di libri che non avrebbero mai dovuto salire agli onori degli scaffali, ma va ribadito che i libri, quelli veri, anche quelli che non appartengono alla categoria degli immortali ma regalano comunque benessere, hanno una loro lunga vita.

Poi le fiabe, certo. All’ultimo momento, per sicurezza, prima di andare davvero a letto, sono andata a prendere anche “Fiabe e leggende dell’Istria”. I romanzi di Caracci evidentemente non mi hanno ancora lasciata, e da Venezia alla Dalmazia, resta una voglia di frequentazione di quel territorio che, oltre Trieste e il Carso, non conosco (oltrepassare quel confine, chissà perché, per me ha sempre avuto la caratteristica di un atto mancato).

fiabe_istria_recensioneLe fiabe sono tuttora sul comodino. Sono i libri che io chiamo “non si sa mai”, metti il caso che io non sia in sintonia con il libro che sto leggendo, doversi alzare è spiacevole, e dunque è sempre bene avere un libro sempreverde a portata di mano. Per questo, ma non solo, nulla è meglio delle fiabe. Magari, più in là, sarà il caso di parlarne. So che c’è gente (infelice) che le considera cose per bambini. Mi viene anche il pensiero che forse, può essere, potrebbero stare nei dintorni della filosofia, perché no, dopotutto le fiabe hanno a che fare con il tema degli universali, non è così? Hanno a che fare, e perciò le chiamiamo “fiabe”, “favole”, con il rapporto/il non rapporto che il linguaggio ha con la realtà e con il pensiero.

Pensiamoci un momento, noi possiamo trovare estranea una cultura diversa dalla nostra, possiamo sentirla ostile, addirittura minacciosa (di questi tempi pare sia uno stupido refrain avercela con gli immigrati, dimenticando che proprio l’Italia è il popolo più meticciato del mondo e che quella che chiamiamo – e vabbè – l’inventiva italiana, la creatività, il “genio italico” ha molto a che fare con questo), ma le fiabe, di ogni popolo e di ogni tempo, trovano il modo di passare, dicendoci, non fosse altro, che le persone non sono dei vegetali, stanziali, fissati alla terra dalle radici, che trovano difficile adattarsi ad un altro humus, ma hanno i piedi, dunque camminano, si spostano, sono da sempre nomadi e le culture sono mezzi di comunicazione, che consentono la relazione e l’arricchiscono. Avete presente? “”Dove sono gli uomini?” domandò gentilmente il piccolo principe. Un giorno il fiore aveva visto passare una carovana: “Gli uomini? Ne esistono, credo, sei o sette. Li ho visti molti anni fa. Ma non si sa mai dove trovarli. Il vento li spinge qua e là. Non hanno radici, e questo li imbarazza molto“. (Cap. XVIII)
Rischio di aprire troppi argomenti. Finiamo qua. Ma ci devo pensare.