Silvana De Mari, “L’ultimo elfo”, Salani edizioni 2008
Questa è una lunga fiaba. E’ la storia di un elfo bambino, Yorshkrunsquarkherzljolnerstri, detto Yorsh. In questa storia ci sarà, come in ogni fiaba, l’assunzione del compito al quale Yorsh, l’eroe, è destinato; ci sarà l’antagonista, anzi, ben più d’uno, che si riveleranno come veramente tali solo dopo che l’eroe avrà compreso e assunto il proprio compito; ci sarà il premio, certo, la principessa? anche, ma solo dopo molto tempo e una lunga storia, e no, non era la principessa il premio per il quale l’eroe si batteva, non in questo primo libro, in cui è solo intuita, e anche lei in funzione di eroina.
L’eroe combatterà per far ritrovare al suo mondo il sole che ha perduto, il benessere di una terra fertile e la pace tra le creature che lo abitano. Ci sarà una profezia: sarà letta e compresa dopo che il primo grande nemico, la pioggia, avrà sommerso le terre dove vivevano uomini e elfi, draghi, troll e giganti, non proprio, non sempre, amici, e dopo che la carestia avrà ridotto le città all’odio e alla crudeltà, e tutti a dover combattere per una faticosa sopravvivenza.
In quelle terre devastate gli elfi, popolo odiato perché dotato di capacità sconosciute agli uomini, erano stati confinati nei “posti per elfi”, vietando loro la convivenza con gli umani. E pioggia e carestia, che avevano reso inabitabile un territorio in precedenza fertile e ricco, dove le terre davano abbondanza di frutti e si intessevano commerci, stavano portando alla loro definitiva estinzione.
Il piccolo Yorsh – un bambino, dirà Sajra, la donna che lo incontrerà; un cucciolo, dirà Monser, il cacciatore che incontrerà il piccolo elfo e la donna; uno nato da poco dirà Yorsh di se stesso – ha perso tutta la propria famiglia, è solo e non sa dove è diretto, ha tanta paura. La sua nonna, prima di morire sommersa dall’acqua, e dopo che erano morti il suo papà e la sua mamma, gli aveva ordinato di andarsene, senza mai voltarsi. Dove, non sa. Di salvarsi. Come, non sa.
Per Yorsh, l’incontro con Sajra, è causa di terrore.
“Non mangiarmi”
“Mangiarti? E come?”
“Con il rosmarino, credo. La mia nonna dire così, quando lei stare viva. Se tu non stare buono arriva umano e ti mangia con rosmarino”.
Ma è un bambino, un cucciolo, uno nato da poco, e Sajra non potrà non accoglierlo.
“Per stasera ho già da mangiare” garantì la donna, “puoi entrare”.
Poi ci sarà l’incontro con Monser, il cacciatore, che accoglierà ambedue e si farà carico della protezione del piccolo, che lentamente si rassicura ma fatica a comprendere i punti di vista, il linguaggio, i sistemi di significato dei suoi protettori che, a loro volta, faticano a comprendere l’alterità che lo caratterizza, pur imparando rapidamente ad amarlo.
La reciproca conoscenza riserva sorprese. C’è l’orrore di Yorsh quando scopre che i due sono carnivori – “Gli elfi non mangiano niente che ha pensato, che ha corso che ha avuto fame e che ha avuto paura della morte”.
C’è la sorpresa dei due quando scoprono che Yorsh sa accendere un fuoco con il pensiero. Sajra gli aveva chiesto se aveva dei poteri, e Yorsh aveva risposto che certo, ne aveva, e aveva elencato i suoi ‘grandi’ poteri “Respirare, camminare, guardare, io sapere anche correre, parlare…mangiare quando ci essere qualcosa da mangiare…” non certo un piccolo potere banale come saper accendere un fuoco.
C’è l’arrivo alla città di Daligar, governata da un despota, dove la famigliola, perché ormai di questo si tratta, rischia di venir impiccata, a causa di Yorsh che non comprenderà il rischio corso ma li aiuterà ad andarsene dalla prigione – e mai avrebbe immaginato che gli umani non sapessero far scattare le serrature con il pensiero, ancora un piccolo potere, come quello di resuscitare piccoli animali, come insetti ma anche un coniglio, una gallina.
Nella fuga, Yorsh si imbatterà nella Profezia che darà la svolta alla sua vita, incisa su un muro dei sotterranei attraverso i quali si usciva dalle prigioni del palazzo.
QUANDO L’ACQUA SOMMERGERA’ LA TERRA/IL SOLE SPARIRA’, /LE TENEBRE E IL GELO ARRIVERANNO.
QUANDO L’ULTIMO DRAGO E L’ULTIMO ELFO/SPEZZERANNO IL CERCHIO, /IL PASSATO E IL FUTURO SI INCONTRERANNO, /IL SOLE DI UNA NUOVA ESTATE/SPLENDERA’ NEL CIELO.
E scoprirà, con grande pena, egli piccolo ma che, come tutti gli elfi, possedeva in modo innato le conoscenze del suo popolo, che i due umani non conoscono la scrittura.
“Il piccolo elfo sentì la pietà per quei due poveracci dispersi in un mondo dove non c’era possibilità di conservare le parole. Si ricordò che doveva essere paziente con loro, cortese e paziente, perché loro erano dispersi in un mondo dove le parole erano perdute nel tempo e restavano solo nella memoria.”
E alla fine scoprirà anche, con dolore, che la profezia parla di lui; scoprirà di essere l’ultimo della sua gente e di avere un grande compito. Per compierlo, arriverà, raggiunte le Montagne Oscure, ad un’alta rocca, sulla quale un’iscrizione avverte: HIC SUNT DRACOS.
La seconda parte della storia, “L’ultimo drago”, vedrà uno Yorsh adolescente (Sajra e Monser saranno andati per la loro strada, le piogge cessate) assumere il compito al quale, con Erbrow, il drago, ultimo della sua specie, è destinato.
Ora la fiaba può svolgersi, l’eroe incontrare la sua principessa, l’eroina incontrare il suo principe, il destino potrà essere guidato, le battaglie combattute e anche la morte assumerà un senso.
I bambini sanno naturalmente abitare il tempo e i luoghi della fiaba. E dunque, questo libro è per loro? Sì, certo. Ma gli adulti ne hanno molto bisogno. Per gli adulti è necessario. E se al piacere della lettura potranno aggiungere il piacere di leggerlo a voce alta ai bambini (magari più di uno, magari organizzando dei tempi per sé e per loro) porteranno a casa un tesoro.
Ci sarebbe molto altro da dire, sulla fiaba e sulla sua funzione è stato scritto molto e detto molto. Tutto molto interessante ma non necessario. Una buona medicina, dal gusto molto gradevole, non funziona perché se ne conoscono i principi attivi. E questo libro è un grande piacere che cura, neppure necessario sapere cosa. Averlo letto fa star bene. Regala la capacità di comprendere e godere di grandi poteri di cui, come l’elfo, anche noi disponiamo, e regala più di un sospetto di poter usare anche piccoli poteri, come mantenere con noi chi non c’è più, imparare a dare calore, se non proprio ad accendere un fuoco, piccole cose. Magiche?
La storia continua, e Silvana De Mari, nel sequel di questo romanzo, “L’ultimo Orco”, passerà dalla struttura della fiaba a quella della narrazione più propriamente fantasy. In modo superbo. E sarà impossibile non proseguire la lettura.