I buoni libri e i libri che ci piacciono

Quando teresa si arrabbio con DioDire che un libro ci è piaciuto equivale a dire che si tratta di un buon libro? Non in assoluto. Così come non è obbligatorio trovar piacevole la lettura di tutti i buoni libri.

Uso il termine ‘buoni libri’ assumendo che la definizione sia sufficientemente ampia e generale da consentire un accordo: libri scritti bene, il cui contenuto abbia una struttura riconoscibile, narrativa o esplicativa di un tema, accreditati come tali dalla critica e dai lettori.

E su questo punto, tuttavia, ecco delinearsi una parte del tema: provo a riutilizzare ciò che ho scritto – “accreditati come tali dalla critica e dai lettori”. Ora, i due insiemi, quello dei critici di professione e quello dei lettori, coloro cui l’autore si rivolge scrivendo, sono sovrapponibili solo in parte.

I ‘critici’ sono anche lettori, nel senso che amano anche leggere per proprio piacere, mentre i lettori, fruitori del prodotto-libro, esprimono anche giudizi critici, competenti per definizione, in quanto sono i diretti destinatari del libro che, se non da loro accolto, potrà avere le migliori recensioni ma è destinato a sparire o addirittura a non accedere all’esistenza. Chiarire questo punto è facilissimo: vogliamo parlare dei libri di poesia?

Volendo ora considerare l’insieme dei libri che abitano il nostro universo mentale di lettori e dei libri che leggiamo, dentro tale insieme ci sono sottoinsiemi diversi: quello dei libri che amiamo, sui quali sentiamo di aver costruito parte di noi; quello dei libri che ci sono piaciuti ma sui quali probabilmente non ritorneremo; ci sono gli insiemi dei buoni libri, da rileggere e quelli che consideriamo dei capolavori; e sappiamo che si tratta di insiemi in parte sovrapponibili.

C’è, poi, la categoria dei libri che non amiamo, che, avendoli letti, non rileggeremmo mai, o che addirittura abbiamo scelto di non leggere, pur essendo gli stessi accreditati come capolavori, dai quali rifuggiamo in quanto non rispondenti ai nostri desideri di lettura, ai nostri interessi, al nostro sentire, e per tanti altri motivi.

A chi recensisce libri per professione viene richiesto di prescindere quantomeno dalle prime due categorie: il critico non può far discendere il giudizio dal fatto di sviluppare, leggendo, amore per quel certo libro né è strettamente necessario che gli piaccia. Deve solo dirci se e perché si tratta di un buon libro, se e perché merita la segnalazione di capolavoro. In seguito potrà pure non rileggerlo mai più o addirittura respirare di sollievo avendolo chiuso.

Il caso del lettore è diverso: se non prova piacere nel leggere un libro lo può, lo deve, direi, lasciare. E nel fare ciò, così come nell’averlo letto e averlo apprezzato, il lettore esprime anche un giudizio critico e motivato sul libro: il che non significa che tale libro debba piacere a tutti e in ogni momento. Significa solo che lo si è ritenuto un buon libro e si motiva tale giudizio.

In soldoni: io e la mia amica amiamo leggere, io amo un libro, a lei non piace, e viceversa: questo non inficia il fatto che, tra noi, sia piacevole parlare dei libri che leggiamo, richiede che si tenga conto dei gusti e delle scelte l’una dell’altra, ma può anche portare ambedue ad ampliare la nostra scelta e a prendere in considerazione letture che altrimenti si sarebbero perdute. Un esempio che mi riguarda: A parte “Il signore degli anelli”, che amo e rileggo e che ho sempre considerato una categoria a sé, io mai avrei pensato di poter amare la narrativa fantasy che ora, invece, ricerco (con la difficoltà, non da poco, di discriminare nell’immensa pubblicistica attuale) e per la quale mi serve, e molto, il parere di chi ha saputo farmici accedere (nel caso, un giovane amico).

Esistono, naturalmente, dei confini: quelli che fissa la critica ufficiale e quelli che fissano i lettori attraverso quel particolare giudizio di valore che è il gradimento. Ed è più che possibile che i due giudizi discordino, che un libro giudicato un capolavoro dalla critica cada nel nulla così come che un libro che la critica neppure ha ritenuto di prendere in considerazione, o addirittura ha stroncato, diventi un best seller. Il tempo giudicherà e saranno i lettori a dare il giudizio definitivo. Qualsivoglia certificazione della critica diverrà carta straccia se il libro non sarà confermato nel tempo dall’essere richiesto e, per tale via, rieditato.

La parola definitiva sta dunque ai lettori? Le cose sono purtroppo più complesse. Il libro non è un prodotto qualsiasi, che risponde alla domanda di un “mercato” che ne assicurerà la produzione se “i consumatori” lo richiederanno. Le scelte editoriali sono condizionate da molti fattori, ci sono poi i meccanismi di distribuzione, le scelte o non scelte di catalogo delle librerie e, perché no, fattori imponderabili.

Il lettore potrà scegliere solo tra ciò che gli viene proposto, senza che tale proposta abbia davvero lui come referente.

Sarà lui a decretare la vita o la morte della proposta ricevuta, ma solo dopo che la prima scelta, e i molteplici fattori che l’hanno indotta, avranno condizionato il campo di scelta.

Si apre un mondo. Quello, peraltro, descritto da Umberto Eco nel suo “Non sperate di liberarvi di libri”, dove, parlando d ‘altro, parlava anche di come una cultura sceglie cosa trasmettere e cosa dimenticare.

Oggi, strumenti quali i blog, i gruppi di lettura, e anche – credo – il diffondersi degli e-book, contribuiscono ad aumentare il passaparola dei lettori che rappresentano la competenza fattuale e sono i titolari dell’ultima parola.

E se i lettori hanno poca forza per indirizzare le scelte editoriali in tema di nuove proposte (o per fermarle!), possono avere una L'ultimo orcogrande forza per far riemergere libri che l’editoria ha lasciato cadere, e non solo perché non più richiesti, dato che la stessa editoria continua (pregevolmente) a pubblicare e promuovere libri altrettanto poco richiesti.

Chiudo: La prossima recensione proporrà un’autrice italiana di fantasy: Silvana De Mari. Il libro è “L’ultimo Elfo” (ma mi sono già letta, di seguito, anche “L’ultimo orco”. Peccato averlo finito, ma la serie, volendo, è di quattro libri. Dicono sia un libro per bambini: d’accordo, è leggibile, viene detto, dai dodici anni; ma chi ne ha molti di più ha anche quelli. Non li ha perduti.

Invece, dopo un nuovo tentativo, ho definitivamente rinunciato a “Quando Teresa si arrabbiò con Dio” di A. Jodorowsky. Buon libro, se posso giudicare dalle prime cinquanta pagine. A me non dà piacere leggerlo.