Fantascienza, Fantasy, Horror, Distopie: un anomalo genere letterario

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Isaac Asimov

Da un po’ di tempo sto interessandomi al genere che, incongruamente, accomuna fantasy, fantascienza, romanzi distopici. Spulcio autori che non conosco, cullo ipotesi di riletture tra le quali non so scegliere, confrontando ricordi di grande fascinazione al tempo in cui li ho letti; desiderando, e temendo, la rilettura, per il timore di restare delusa. Da me, intendo, dalla qualità del mio ascolto, oggi, di quei libri.

Esempi? Uno per tutti: “Erewhon”, di Samuel Butler; per non dire di “1984” di George Orwell; ma volendo passare al Fantasy, l’elenco è lungo: potremmo, perché no, partire da Ludovico Ariosto e Torquato Tasso, da “Orlando Furioso” e “Gerusalemme liberata”, per transitare a Chrétien de Troyes, “I cavalieri della tavola rotonda”. Possiamo tornare a J. Borges, ne ho già parlato, e agli autori di racconti fantastici della collana ‘La Biblioteca di Babele’, da lui curata, al tempo editata da Franco Maria Ricci.

Oggi, possiamo legittimamente inserire nel genere autori quali Murakami, ma anche D. F. Wallace, e, senza molta fatica, Don De Lillo. e altri: sempre se mettiamo fantascienza, fantasy, e racconti distopici nello stesso mucchio.

Ecco che il tema prende forma. Ed è questo: noi non pensiamo a questi autori, sia classici sia contemporanei, quando parliamo di Fantasy; o di romanzi distopicifantascienza; ne parliamo come di un genere minore, nella migliore delle ipotesi con un leggero tono di squalifica, un po’ come faceva mia mamma quando, negli anni ’50 e’60, mi teneva lontana dal ‘fumetto’ (ed io andavo da un cuginetto a saturarmi di Black Macigno, Capitan Miki, Nembo Kid, Diabolik e, un po’ dopo, di Tex Willer: entravo e, quasi senza salutare, aprivo il cassetto che li conteneva.

Ecco, la fantascienza, forse sì, viene presa in (quasi) considerazione, limitatamente ad autori di un tempo che potremmo chiamare classico per il genere, che ha avuto il suo massimo splendore a partire dagli anni trenta e fino agli anni settanta.

Ma cosa accomuna non solo autori tanto diversi ma anche contenuti tanto diversi? Io credo sia la squalifica, l’implicita appartenenza ad un genere minore, mentre le varie ‘Sfumature di colori’ rientrano nella narrativa ufficiale.

Dunque: varrebbe la pena chiedersi cosa sia un ‘genere letterario’ (vedi un po’, è uscito, mentre scrivo, un post sul tema in Penna blu, interessante, qui il link). E non ditemi che è risaputo perché non lo è, e se l’assegnazione di un’opera a un genere è pragmaticamente utile al lettore per orientarsi e scegliere, al tempo stesso costituisce spesso uno strumento disorientante. So che l’esempio non piacerà all’intellighenzia della lettura ma avete provato a vedere, dentro all’assegnazione di ‘genere’, cosa infila, tutto insieme, ‘Amazon’? C’è persino una categoria ‘Best-seller’ (sic!) e gli accostamenti sono molto creativi. Ma anche certe librerie-market non scherzano.

Douglas Adams
Douglas Adams

Ora, se accettiamo la definizione wittgensteiniana, tanto per restare su qualcosa di condiviso, per cui il significato di una parola è l’uso che di tale parola fanno i parlanti la lingua, quando parliamo di ‘genere’ noi intendiamo un insieme mal definito, che varia secondo il contesto, prevalentemente riferito ai contenuti, dentro la grande distinzione tra Prosa, Poesia, Teatro.

Torniamo al genere: narrativa fantastica, fantascienza, horror (dimenticavo), distopie e quant’altro.

La mia curiosità è emersa, credo, dalla lettura, e dalla recensione che ne è seguita, di Player One, di Ernest Cline. Quel libro (interessante, piacevole; come lo è “X” di Cory Doctorow) ha fatto arrivare a massa il tema, e un interrogativo, che rimaneva sotto traccia.

In “Player one”, l’autore ad un certo momento, fa elencare al protagonista una serie di autori di riferimento (Douglas Adams, Kurt Vonnegut, Neal Stephenson, Richard K. Morgan, Stephen King, Terry Pratchett, Ray Bradbury, Joe Haldeman, Robert Heinlein, J. R.R. Tolkien, William Gibson, Neil Gaiman, John Scalzi, Roger Zelazny: in capo a tutti Cory Doctorow; ed ecco, tra l’altro, l’evidenza che il mondo della fantascienza non si ferma certamente agli anni ’70.

Se alcuni di questi autori sono per me solo nomi, molti di loro sono dei miti: nell’elenco di Ernest Cline manca Isaac Asimov; al tempo ho letteralmente vissuto nei mondi della Fondazione, o impegnata a riflettere sulle tre leggi della robotica.

In questo spazio ho proposto alcuni libri che, senza dubbio, rientrano nell’uno o nell’altro filone del fandom contemporaneo – vedi “La saga di Harry Potter”, per non dire “Il signore degli anelli” e la trilogia “Queste oscure materie”, di Philip Pullman. E Silvana De Mari, con la sua bellissima fiaba “L’ultimo Elfo”.

Ma ho proposto anche altri autori, non considerandoli appartenenti alla categoria, cui invece appartengono indubitabilmente se la categorizzazione è costruita nei modi detti: ad esempio “La strada” di Cormac McCarthy, ma, tanto per dire, siaInfinite JestcheLa scopa del sistema” di D. F. Wallace, e Murakami e Don De Lillo.

E’ certo inoltre che questo blog è stato quasi inaugurato da un libro – “X” di Cory Doctorow – introvabile (salvo ordinarlo on line) e che certamente non viene preso in considerazione dalla critica paludata. Ed è altrettanto certo che Cory Doctorow, nome quasi sconosciuto, per quanto riguarda l’Italia, alla compagine dei cosiddetti lettori forti, è invece non solo noto ma considerato il capofila e il profeta di una corrente di scrittura, nativa del digitale, che contesta il copyright, che opera per ridiscutere e aggiornare alle nuove realtà i modi di riconoscimento del diritto d’autore. E’ coeditore del blog Boing Boing (uno dei più seguiti blog a livello mondiale).

Si tratta di autori e di opere che si caratterizzano per avere un grande seguito, a livello internazionale, di lettori appassionati, che si organizzano in gruppi di fan; autori di generi che hanno loro regole, nonché importanti e accreditati premi letterari (Il Premio Nebula, Il Premio Hugo), le loro classificazioni interne.

Il tema mi sollecita, dunque, poiché mi accorgo che si tratta di un mondo – di autori e di lettori – che non può e non deve essere eluso: al di là dell’interesse per i libri (possono piacere o non piacere) e in conseguenza per gli autori, sono rilevanti le sottoculture che compongono un tale mondo, con il sospetto, meglio, la certezza, che tanto sottoculture non siano se non per la definizione autoreferenziale che la cultura ‘ufficiale’ (in altri tempi avrei detto ‘borghese’ – ora non più) dà di se stessa, senza alcuna giustificazione, né per la consistenza dei lettori né per la qualità delle opere. Certo, ci sarà molta spazzatura, come in tutte le categorie, pubblicate anche da rinomate case editrici. Ma anche indubitabili perle.

Anatole France
Anatole France

Di questo mondo fanno parte anche autori che la critica ufficiale ha riconosciuto, introducendoli dentro il proprio star system, mantenendo tuttavia il non riconoscimento dell’altro sistema che coesiste e che annovera grandi classici della letteratura quali quelli in precedenza citati.

Chiudo: ho il mio pacchetto di libri in attesa. Ho terminato la lettura, godibilissima, di “I mercanti di stampe proibite” di Paolo Malaguti, autore che si conferma molto interessante e che, ora, costituisce una specie di epilogo, temporaneo, al mio piacere nell’incontro con la storia e la lingua (o le lingue) venete. Sarà la prossima recensione.

Ma ecco: ora so cosa desidero rileggere: Anatole France, “La rivolta degli angeli”, Meridiano zero 2004. Anche questo libro fa parte del ‘genere’ ed è molto, molto di più, di questa appartenenza.