Noi e loro: storie condivise

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Shah_of_iran Mohammad Reza Pahlavi

Hamid Ziarati, “Salam, maman”, Einaudi 2006.

Questo è un romanzo che regala una lettura gradevole, e molto altro; una bella narrazione, a cavallo tra il racconto autobiografico, la storia di un tempo e un luogo, l’Iran – la Persia – degli anni ’60; una finestra su di un mondo islamico ricco delle sue tradizioni e, a quel tempo, sulla via del benessere, figlio della modernità che si stava costruendo, in quel paese così come nei paesi occidentali: l’acquisto del primo apparecchio televisivo, i figli e le figlie da far studiare; la storia di una famiglia, una mamma, figura centrale e affettuosamente autoritaria, e quel saluto, che intercala quasi ogni parola che i figli le rivolgono – salam, maman – che descrive un modo d’essere, un’educazione ricevuta, un rispetto della forma carico di sostanza.

La voce narrante è quella di Alì, il figlio piccolo di una famiglia composta da due genitori, il padre Parviz e la madre Parvaneh, e quattro figli: i gemelli Parì e Pujan, la sorellina Parvin, e infine Alì. Nel frattempo nascerà una nuova sorellina.

E’ un romanzo corale. Alì racconterà di tutti e renderà tutti centrali. Racconterà della famiglia, del suo piccolo mondo di quartiere, del mondo più grande, degli amici. Alla fine, sarà ancora sua la voce che chiuderà, interpretandone il senso, la storia. Una chiusura importante. Un exit, una frase, che suggellerà il tutto.

Parvaneh, la madre, è il personaggio sempre presente in tutto ciò che accade, al servizio dei figli e caposaldo della loro educazione, anche a suon di affettuosi, ma non leggeri, scapaccioni, nell’impegno a rispettare e trasmettere i valori che sottostanno ai riti e alle regole della tradizione e nel contempo totalmente immersa nel proprio tempo, nella modernità dello sviluppo di quegli anni e nella comprensione di quanto stava accadendo nel suo mondo.

In questa storia, l’incipit era stato un sogno: il bambino Alì ha un incubo, che lo porterà a farsi scappare la pipì a letto: la storia inizierà in allegria tra coccole, prima, e rimbrotti, poi, della madre, quando verrà confessata la malefatta mentre impazzano le canzonature dei fratelli, con relativi scontri, e tutti si affaccendano a rimediare.

Quel giorno si celebra una festa importante, il Noruz, il capodanno persiano, quando in ogni famiglia si prepara l’Haft-Sinn, lo speciale tavolo e il pranzo tradizionale.

Ci sarà poi il racconto di un lungo viaggio in auto, una gita – il padre, taxista, porta tutti in visita a una famiglia di amici a Isfahan. Un viaggio di quattrocento chilometri.

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Regina Fawzia, Regina Soraya e Imperatrice Farah

Le chiacchiere e i ceffoni materni, che intercalano la storia e che non traumatizzano i figli, fanno parte dei menu dell’affetto quotidiano – e quelli tra di noi che sono sufficientemente anziani ritrovano, qui, le proprie famiglie di quegli anni e i nostri riti, diversi e uguali, le regole attraverso le quali si sta in allegria e si impara ad avere relazioni con gli altri. Così, in quella lunga gita, è stato difficile, almeno per me, non vedere con gli occhi della mente una vecchia seicento Fiat di quando <noi>, stipati come sardine, andavamo <in gita> – erano gli stessi anni, vivevamo la stessa epoca e le mamme si assomigliavano tutte, incontrandosi si sarebbero riconosciute, e nella babele delle lingue avrebbero parlato le stesse parole e compiuto gli stessi gesti.

Si legge di gusto. Nel percorso, si incontra la città santa di Qom; c’è la visita ad un santuario. Si incontra anche un posto di blocco della polizia, un fatto normale, solo un primo lieve indizio di qualcosa che non va, ma niente di che. La vita scorre.

Nelle chiacchiere dei genitori con i figli, chiacchiere che, a quel tempo, erano sempre di avvertimento, soprattutto da parte della mamma, finalizzate a insegnare a riconoscere i pericoli, si trova per la prima volta la parola ‘terroristi’. Ma l’auto va, si arriva, si incontrano gli amici, c’è allegria, si fanno nuove conoscenze.

Il viaggio sarà punteggiato – CIACK! – dagli scatti della macchina fotografica che Pujan ha ricevuto in regalo – CIACK!

L’amico dei genitori è un imprenditore, ammirato per la ricchezza costruita con il lavoro. E le foto che si susseguono – CIACK! – iniziano a mostrare anche altro. Le cose cominciano a non essere ciò che sembrano. Per la prima volta i ragazzi incontrano una realtà che nasconde una profonda rottura con le regole, con i valori appresi in famiglia. Lentamente, nel mondo dell’infanzia, si inseriscono pezzi del mondo esterno.

Il tempo trascorre, avvengono cose – CIACK! – ci sarà anche un attentato terroristico, ci sarà paura per i bambini della scuola che frequentano Alì e i fratelli – CIACK!

Gli scatti di Pujan sembrano indicarci letture, capitoli del romanzo della storia di una famiglia, di un quartiere, delle sue attività, di un popolo. E ci sono i sogni, non solo di Alì, che forniscono altre punteggiature.

Il mondo di Alì sta cambiando. Arrivano notizie, incomplete, di un attentato, un incendio doloso in un cinema nella città di Adaban, dove hanno perso la vita centinaia di persone – è il 19 agosto del 1978, si stava proiettando un film censurato dal regime. La responsabilità viene attribuita, dal sentire generale, alla polizia segreta dello Shahanshah, il Re dei Re, l’imperatore Reza Pahlavi. Iniziano le rivolte popolari, gli spazi democratici (pochi) si chiudono sempre più.

Pujan, e la sua macchina fotografica, partecipano agli avvenimenti. Quando, l’8 settembre, l’esercito sparerà sulla folla che manifesta, a Teheran, Pujan – CIACK! – si troverà nel mezzo degli avvenimenti, e avrà Alì con sé.

Imam_Khomeini_in_MehrabadI giornali parlano dell’Ajatollah Komeini. Una speranza, che parla dall’esilio di Parigi. Che all’inizio del ’79 tornerà in patria, da vincitore, acclamato da tutti, Reza Pahlavi fuggito.

Alì racconta. E cresce. Il fratello Pujan fotografa. La famiglia fronteggia gli avvenimenti, protegge come può. I figli li vivono.

E’ un romanzo molto bello, un’invenzione che restituisce una realtà, un luogo, dei fatti: coloro che per età, ricordano, come coloro che, per età, ne conoscono solo una versione tradita dall’approccio della cronaca, da troppo tempo tragica, scopriranno di averne bisogno.

Si dimentica, infatti, travolti dalla fretta giornalistica, dagli sconvolgimenti e dagli orrori quotidiani che stravolgono il nostro pensiero sull’Islam e su una storia millenaria fusa con la nostra per il meticciamento culturale che il tempo, gli scambi, le relazioni, hanno creato tra le nostre genti, tra i popoli mediterranei e quello che chiamiamo, abbiamo sempre chiamato, non a caso, il <vicino> Oriente.

E’ un romanzo che è un piacere leggere, d’un fiato; un romanzo in cui si ride, ci si commuove, ci si diverte, e si ricorda. E dice molto, moltissimo, il fatto che, leggendo la storia di quella famiglia, si ricordi la nostra, e si scoprano memorie cariche di vicinanze.