E nel frattempo sono contenta perché ho dei buoni libri in corso di lettura. Uno, come sempre, trascinato dalla scia dei precedenti; qualcun altro, un paio di buoni romanzi, per attrazione casuale, un consiglio, un prestito, cose così.
I romanzi: il primo, di cui ho terminato la lettura, è “Salam, maman”, di Hamid Ziarati, Einaudi 2006. Non è una novità, ma lo è per me, che non conoscevo questo autore di cui sicuramente leggerò altro. Incidentalmente, anche in questo libro si trovano voci dell’infanzia e rituali domestici tradizionali, prima della e insieme alla storia di una famiglia e dell’Iran, a cavallo tra scià Reza Pahlavi, la rivoluzione komeinista e la sua tragica realizzazione.
Einaudi lo ha ripubblicato in e-book. Tra poco esco a cercare in libreria l’edizione cartacea e, aspettandomi di non trovarla (libro del 2006!) mi sono venute in testa le parole: “Non fidarsi di una libreria che, nel proprio catalogo, ha solo libri dell’ultimo, massimo ultimi due anni!” Sarò felice se lo troverò, ma comincio, con dispiacere, ad abituarmi al nuovo piacere del postino che arriva e, oltre a fatture, porta libri. Vorrei tuttavia continuare ad andare in libreria, a trovare tanti libri e persone con cui condividerli. Speriamo.
Un altro bel libro, di cui sto terminando la lettura, è “Viviane Élizabeth Fauville”, di Julia Deck, Adelphi 2014. Una novità, dunque. Di un’autrice francese esordiente, è un noir molto particolare, forse non è neppure un noir anche se c’è il morto ammazzato. Lo dovrò rileggere (dopo averlo acquistato, anche perché si tratta di un prestito e dunque non lo posso massacrare di segni e note) perché lo merita la storia e lo merita, in particolare, la scrittura, caratterizzata da un interessante modo di cambiamento della voce narrante. Poi ne scriverò.
Nel frattempo, sulla scia della lettura de “L’ultimo elfo”, e del ‘ripasso’, se posso chiamarlo così, per contiguità, della mia piccola area fantasy, ho ripreso un libro cui avevo già accennato: “Potere e sopravvivenza” di Elias Canetti, piccola raccolta di saggi tra i quali quello che, fornendo il titolo alla raccolta, riporta alla voglia (?) di rileggere (prima o poi) “Massa e potere” di cui costituisce un richiamo. Per chi non lo avesse mai letto, un libro, quest’ultimo, che in particolare nella parte in cui analizza il potere, ne evidenzia il legame con il bisogno di sopravvivenza, con la forza, con il bisogno di eludere la morte (la <mia> morte, che mi illudo di evitare guardando e, forse soprattutto, provocando, la morte dell’altro).
Discorso lungo e difficile. Dopotutto Canetti ha impiegato quarant’anni per costruirlo. Lettura affascinante, tuttavia, e quasi necessaria ma sicuramente faticosa e che, dunque, non so se riaffronterò.
Ma l’accostamento, per questo libro, al mondo del mito e, per contiguità, a quello della fiaba, è ineludibile. In me, almeno, è scattato. La fiaba, e tutta l’area, contigua, del mito, così come delle narrazioni tradizionali, specialmente se, ma non è la regola, rivolte all’infanzia (dire ai ‘ragazzi’ è già dire altro), hanno a che fare con le grandi forze e le grandi domande che segnano la vita dell’uomo, con la morte, con la sua compagna nascita, con i miti della paternità e della maternità, con la forza, la sua acquisizione e il suo esercizio, con i desideri, con la sessualità e, in cima a tutto, e da cui tutto discende, con il potere.
E dunque le fiabe, come i miti, che appartengono all’umanità di ogni tempo e luogo, in tutte le culture sono il pacchetto, il programma, di istruzioni per i ‘nati da poco’ (rubo le parole al piccolo elfo) e costituiscono la summa del sapere che gli adulti, le culture, utilizzano per trasmettere la conoscenza di ciò che significa essere umani e, per gli umani, essere un popolo e, per un popolo, avere relazione con il potere, specialmente se subìto, e con la possibilità di vivere e sopravvivere; forniscono conoscenze che devono venir acquisite al di là e al di fuori di una comprensione o di una riflessione razionali, che poi i filosofi, e tutte le branchie dei saperi che della filosofia sono figli, studieranno, analizzeranno, leggeranno diversamente e diversamente interpreteranno.
Poi, solo poi, potremmo studiare matematica, fisica, scienze naturali, prendere il mondo e l’universo, porli dinnanzi a noi trasformandoli in oggetti fuori di noi e sminuzzarli, indagarne e comprenderne i più segreti modi di funzionamento. Potremo studiare anche le letterature. Tanto, tutto possiamo studiare. Ma quel pacchetto di conoscenze è fondante perché si possano fronteggiare le grandi forze, le grandi domande cui, da quando è divenuto consapevole della propria nascita e della propria morte, l’uomo deve far fronte.
Ed ecco le narrazioni che una giovane umanità della tradizione orale amava ascoltare e riascoltare, fin dall’infanzia, coltivandole poi per tutta la vita, apprezzandone la ripetizione, non diversamente dai bambini che amano ascoltare e riascoltare le storie, e guai a cambiarne una parola, perché la sicurezza che se ne ricava è data proprio dal fatto che la storia resti uguale a sé, che ci si possa far conto, che sia possibile sentirci tranquillizzati e difesi da ciò che si ascolta, dal fatto che qualcuno <sa> e ne narra.
Poi, è giusto, passeremo ad altri libri, ad altri livelli del comprendere: lo faremo senza che mai fiabe e miti abbiano esaurito la loro funzione; e se anche non li rileggeremo, ne risentiremo l’eco, che ci è necessario come l’aria. Quando, in una poesia, in una filastrocca, in un racconto, in un romanzo e, perché no, in un saggio e financo in una trattazione scientifica, sentiremo quell’eco, ci riconosceremo in stato di grazia senza sapere perché, vicini a comprendere qualcosa di essenziale. Come se qualcuno avesse parlato proprio per noi.
Devo finirla, vero? Ho fatto quella che si dice una vera filippica, in senso proprio – a Cicerone, con le sue contro Marco Antonio, è andata decisamente male, è finito decapitato. Ma lui almeno ha realizzato una grande oratoria.