Nato nel 1905, in Bulgaria, premio Nobel 1981 per la letteratura; al suo attivo un solo grande romanzo, “Autodafé“, un trattato, “Massa e Potere“, tema la psicologia di massa e una bellissima autobiografia, che è molto più di ciò, in tre volumi più uno; e, soprattutto, molto altro.
Poliglotta, se vogliamo dire così, per nascita: ebreo bulgaro, la cui lingua dell’infanzia è stato il giudeo-spagnolo e, naturalmente, il bulgaro, sua lingua nazionale, ha vissuto nella lingua tedesca la parte formativa della sua vita, e in tedesco ha scelto di scrivere le sue opere.
Il tedesco è stata, infatti, la lingua parlata, in quanto scelta dai genitori, dei quali non costituiva la lingua madre ma <solo> una lingua amata. Il figlio l’ha mantenuta (adottata, voluta) nonostante la lunga parte della vita trascorsa in Inghilterra e nonostante la sua naturalizzazione inglese sia stata originata dalla fuga dalla persecuzione nazista.
Ha terminato la sua vita lasciando l’Inghilterra dopo la morte della seconda moglie, nel 1988, e tornando a Zurigo, dove aveva abitato alcuni degli anni più belli della sua giovinezza, e dove è morto nel 1994.
Una vita girovaga e complessa, caratterizzata anche da affetti familiari complessi, talvolta drammatici, come complessa sono la sua figura e la sua personalità, non inquadrabili in categorie, scuole di pensiero, ideologie, neppure per opposizione. Per converso, la sua scrittura è limpida e bellissima e dal suo pensiero non si può prescindere se si decide di pensare.
Che dire. Per dirne occorrerebbe troppo e, tuttavia, poco basta perché, a ben guardare (ma è solo ciò che pare a me, ciò, forse, per cui amo Canetti) le sue opere si possono leggere tutte, se ne può leggere una sola, e c’è interamente lui. Ma nella scorrevolezza della sua prosa si trae qualcosa di sempre cangiante perché egli non ricercava un pensiero costruito, concluso, qualcosa di cui si potesse dire <summa del pensiero di Elias Canetti> e farne un bigino.
Altro aspetto non secondario della sua opera: avendo affrontato grandi temi che gravitano nell’ambito della psicologia di massa, dell’antropologia, della sociologia, e da figlio del suo tempo, è riuscito ad essere un pilastro senza mai riferirsi a, né parlare di, Sigmund Freud (la cui teoria aveva studiato e non accolto) né di Karl Marx: credo abbia disapprovato non tanto la teoria marxiana, o la teoria psicoanalitica di per se stesse ma in quanto, appunto, teorie organiche, che si ergono nella forma di risposta conclusiva a una domanda. E ce lo fa sapere non dicendone nulla, non utilizzandole né confutandole, il che richiederebbe il prenderle in considerazione. Il suo lavoro, le sue tesi, non richiedono (né escludono) il pensiero né dell’uno né dell’altro. E sono tesi importanti, per tanti aspetti conclusive pur non volendolo, né potendolo essere. Un pasticcio. E una lettura inevitabile.
Le sue opere sono tutte pubblicate da Adelphi.