Agosto, una scorpacciata di noir seriali

Si è suicidato il Che
Petros Markaris, “Si è suicidato il Che”, Bompiani 2006

Agosto: C’è un genere di libri la cui lettura è, per me, tutt’uno con il concetto di ferie che il nostro immaginario collettivo culla nel proprio intimo. E in nome dei vecchi tempi – quando esistevano i lavoratori dipendenti, le aziende, di concerto, chiudevano tutte in sincrono, e tutta l’Italia andava in ferie (immaginario collettivo, appunto) – desidero dedicar loro questo mese. A voi scegliere qualcosa da leggere, se vi va.

Vorrei occuparmi dei noir seriali, di quelle storie che rappresentano per il lettore una fonte certa di rassicurazione e riposo, regalando l’accesso a mondi che, se pur di fantasia, fanno parte di un universo di significati noto, basati su trame che rispondono a regole precise e su un protagonista fisso da seguire nelle sue investigazioni di libro in libro (oppure nella sua attività criminale, come possibilità, Arsenio Lupin è sempre godibile).

Affrontando un noir seriale non si incontrerà <un> libro, che per sua natura è un unicum, ma si andrà in visita a casa di amici, evenienza non a rischio di venir compromessa da una serata (da un libro) non del tutto entusiasmante. Il prezzo dell’amicizia si paga volentieri.

La scelta è delle più varie perché, come cambiano i modi delle ferie, cambiano i gusti. Il personaggio fisso di una serie noir era altra cosa quando era divenuto, nell’Italia del secondo dopoguerra, ferreamente “anglo-americano”, avendo abbandonato alla classicità il Monsieur Auguste Dupin di Edgar Allan Poe, lo Sherlock Holmes di sir Arthur Conan Doyle, il Rouletabille di Gaston Leroux (ripercorro, ovviamente, le passioni dei miei primi incontri con i grandi del genere). Era altra cosa perché l’America (nel senso di: gli U.S.A.) dei vari Ellery Queen, Nero Wolfe, Perry Mason, e degli agenti dell’87° Distretto, non costituiva, per noi, una cultura reale. E amavamo la piacevole irrealtà dell’Inghilterra di Agatha Christie – di Miss Marple, di Hercule Poirot, nonché dei nobilotti di una campagna inglese infestata da assassini di buon gusto, rispettosi dell’etichetta richiesta per servire un buon delitto.

Sherlock HolmesA parte, c’era il Philip Marlowe di Raymond Chandler, altra statura e altra verità.

Si trattava di un genere di letture che rispondevano anche a una sudditanza culturale, che faceva tesoro di stereotipi analoghi a quelli della fasulla, e pur goduta, epopea western, nella mescolanza tra cinema e letteratura, con Hollywood a far da trait d’union per un desiderio di modernità che trovava in questo genere le sue icone (imposte da una forma di colonialismo italiano che oggi, se mostra la corda, non è ancora stato demolito).

Eppure, pur trattandosi di noir seriali, sostenuti da personaggi di buon spessore (dal detective privato di un genere a noi sconosciuto al poliziotto di turno, solitamente un “Ispettore”, della N.Y.P. ma anche di Scotland Yard) erano romanzi le cui caratteristiche, pur dicendo molto sulla società che li esprimeva, mantenevano il proprio fulcro nella trama, e nelle ferree regole dell’intreccio e dello svelamento finale.

Per dire, anche se tra i miei sogni c’è stato (e talvolta c’è) vivere nella casa di arenaria della 35esima Strada di New York e nelle sue regole (da volgere al femminile: detto per chi conosce Nero Wolfe, e pure se mai e poi mai vorrei vivere a New York!), l’attenzione, in corso di lettura, veniva rivolta allo svolgimento dell’indagine, avendo la vita privata del personaggio di turno solo una funzione di contenitore fisso.

Arsenio Lupin
Maurice Leblanc, “Tutte le avventure di Arsenio Lupin”, Newton Compton 2012

Erano personaggi, e ruoli, statici, che non invecchiavano, se non nella misura in cui l’autore cominciava a desiderare di liberarsene, a conferma del loro carattere di esemplarità. Non proponevano la propria esistenza al di fuori del ruolo ricoperto nelle storie.

Oggi, siamo da tempo alle prese con un nuovo tipo di noir seriale, dove la storia narrata è, inversamente, quasi solo funzionale al personaggio, al suo mondo privato, al suo ambiente, alla società in cui si esprime la sua azione. E basta America: addio ai “privati”; gli “Ispettori” sono diventati “Commissari”.

Henning Mankell, e il suo Commissario Kurt Wallander, hanno inaugurato la serie dei noir svedesi (Camilla Läckberg, Jo Nesbø, e altri), il cui vertice, se così si può dire, si è avuto con la trilogia Millennium, di Stieg Larsson che non è divenuta seriale causa la inattesa morte dell’autore (i cui libri uscirono postumi mentre è uscito, autorizzato dagli eredi – cosa non sono capaci di fare le famiglie! – un disgraziatissimo sequel, «Quello che non uccide», che confesso di aver letto, scritto da tale David Lagercrantz su cui probabilmente non c’è altro da dire).

Una particolare menzione dev’esser assegnata al personaggio dell’lspettrice Petra Delicado della polizia di Barcellona (eccezione: i Commissari sono maschi?), creato da Alicia Giménez Bartlett che, come è avvenuto ad Andrea Camilleri con il suo Salvo Montalbano, ha visto offuscati dal successo del personaggio i suoi altri ottimi libri di diverso argomento. Qui troverete la recensione del suo «Una stanza tutta per gli altri».

Per l’Italia, questo nuovo genere noir è stato inaugurato, e accreditato, proprio da Andrea Camilleri, attraverso l’invenzione di un personaggio e di un mondo siciliano adeguatamente stereotipati per mezzo di accattivanti luoghi comuni (improbabile parlata sicula in primis). E credo che tutti noi potremmo immaginare una storia con protagonista un Salvo Montalbano pensionato, alle prese con una vita che non contempli attività di polizia, con o senza Livia; mentre mai potremmo immaginare un romanzo con protagonista un Hercule Poirot che, lasciata l’attività investigativa, si dedicasse, secondo il suo progetto, alla coltivazione delle zucche.

In Italia, lasciando da parte Andrea Camilleri – caso a sé, sicuramente interessante salvo un protrarsi delle storie del Commissario Montalbano che, dopo le prime, ottime, ora si trascina stancamente e, a mio parere, con effetto deleterio su tutta l’opera – abbiamo una originalissima serie di Marco Malvaldi con la creazione dei “vecchietti del Bar Lume” e delle loro storie di investigazione che non escono (purtroppo e fortunatamente) a tamburo battente. Una versione italiana di Miss Marple al maschile plurale, in salsa e parlata livornese?

Portami a ballare
Giovanni Ricciardi, “Portami a ballare”, Fazi Editore 2012

Abbiamo i noir di Giovanni Ricciardi (Commissario Ottavio Ponzetti – «I gatti lo sapranno», «Portami a ballare» ne sono due ottimi esempi), di Maurizio De Giovanni (Commissario Luigi Alfredo Ricciardi; un po’ triste, questo Commissario napoletano degli anni ’30!), di Antonio Manzini (Vicequestore Rocco Schiavone: cito, per rispetto dell’autore e dell’editore Sellerio ma non ho letto nessuno dei suoi noir. Non ne so il perché, è un fatto: in libreria, prendo in mano il volumetto e poi lo ripongo).

E una serie maledetta, per imitazione, di: Il primo caso, il secondo caso, il terzo caso, …, dei Commissari tale e tal altro. Attenzione, nuocciono gravemente alla lettura!

Ma c’è un “nuovo” (in realtà datato) autore, Petros Markaris, con la serie dei noir del suo Commissario Kostas Charitos che ci offre una interessante visuale sull’attualità greca; e sul tempo e sulla storia che l’hanno prodotta. Attraverso il suo personaggio, e la sua famiglia, e il mondo del suo lavoro, e i modi delle relazioni, questo Commissario ci porterà a conoscere la città  e la società di Atene nel suo quotidiano, dal punto di vista degli ingorghi causati dalle più diverse manifestazioni e delle opinioni disincantate e furiose dei greci su di sé e sul mondo.

Maigret
Georges Simenon, “I Maigret”, Adelphi

E ci regala personaggi a tutto tondo (prima tra tutti la teledipendente e ottima cuoca signora Adriana, moglie del Commissario) che ci faranno tornare a far visita alla famiglia. Alla fine, nel momento in cui il telegiornale parlerà della Grecia e del suo debito (da un po’ tace, mi pare, le priorità mutano) ci accorgeremo che, se il nostro parere su ciò che accade ad Atene non sarà mutato, avrà sicuramente acquistato un diverso spessore: Avete presente il detto che i greci usano parlando di noi, per dirci la propria amicizia? “Italiani e greci, una faccia una razza”.

Dimenticavo: non ho scordato, tra i Commissari, il buon Commissario Maigret. È solo che, con tutto l’apprezzamento che quei libri meritano, mi hanno sempre annoiato. Gusti.