Alicia Giménez-Bartlett, “Una stanza tutta per gli altri”, Sellerio 2006
Alicia Giménez-Bartlett, interpreta e documenta in questo ‘romanzo‘ la storia di vita di Nelly Boxall, domestica per più di vent’anni nella casa di Leonard e Virginia Woolf. E, attraverso Nelly, ci fornisce un punto di vista non celebrativo sulla vita e sulla personalità della Woolf e sul mondo delle sue relazioni, il cosiddetto gruppo di Bloomsbury.
Il libro si sviluppa provenendo dalla voce diretta di Nelly, di cui l’autrice finge (in modo documentato) ci sia pervenuto un diario regolarmente tenuto negli anni in cui è stata al servizio dei Woolf.
Il risultato è qualcosa di prezioso ed è una storia multipla: è un bellissimo romanzo su di una relazione, importante, tra due donne – una signora non qualunque e la sua ‘serva’; è una rappresentazione ‘irrituale’ della vita di Virginia e Leonard Woolf, della quotidianità di vita dei componenti il gruppo di Bloomsbury; ed è una testimonianza, cruda e potente, delle condizioni di vita delle domestiche nella Londra del periodo tra le due guerre, della crisi economica e degli scioperi, un’epoca di passaggio carica di tensioni sociali, che sancirà il definitivo seppellimento dell’epoca vittoriana e dei suoi costumi.
I personaggi: Nelly Boxall, figlia di una famiglia della classe lavoratrice, sufficientemente istruita, in grado di lavorare per famiglie importanti, ottima cuoca, che deve provvedere da sé al proprio futuro, non potendosi appoggiare ad una fragile rete familiare; con lei, nella casa, lavora Lottie Hope (Lottie Speranza: cognome tipico dei figli di nessuno), cresciuta in un orfanatrofio e mandata a servire e a vivere presso i datori di lavoro.
Il diario di Nelly racconta il loro mondo di ragazze, poi donne, che non hanno una propria casa e una propria autonomia, e neppure diritti sanciti da un vero contratto di lavoro, che possono essere cacciate sulla strada in qualsiasi momento e che, nel loro poco tempo privato, costruiscono amicizie, frequentazioni, sognano per il proprio futuro un marito o, come Nelly, fingono l’indifferenza; lottano, falliscono, superano i fallimenti, portano pesanti cicatrici di una vita la cui durezza sembra non veduta da Virginia.
Ed è la storia dell’affetto, e dell’ammirazione di Nelly per la sua signora, del suo apprendere, da Virginia e in quell’ambiente, nuove idee; del suo scoprire, nei fatti, che tali idee sembrano non valere per lei; del suo riconoscersi sola, giungendo a odiare Virginia che, a sua volta, vivrà con assoluta esasperazione la presenza di Nelly nella casa. E’ la storia del disagio di Virginia, che professa idee progressiste ma vive la contraddizione che Nelly nella sua casa rappresenta, di una Virginia incapace di non sentire la distanza che le separa, l’impossibilità a riconoscere in lei – e come era possibile? – una sua pari.
E in Nelly e Lottie crescerà poco a poco la coscienza della propria situazione di sfruttamento, nonostante le idee e il tipo di rapporto apparentemente improntato al dialogo propri della casa.
Nelly aveva amato, subito, a prima vista, e profondamente la sua signora. “Era la persona più bella che ho mai visto in vita mia non come una donna ma come un angelo. Aveva i capelli raccolti dietro la testa e le cadevano dei riccioli sulle orecchie. Ma la cosa più bella erano gli occhi tristi come quelli di un cane randagio o di certi mendicanti di Londra.”
Nelly vivrà l’orgoglio di servire in quella famiglia e in quell’ambiente, misto ad imbarazzo per i comportamenti di cui era testimone, ma dai quali traeva capacità di pensiero, nuove idee, e una nuova percezione di sé che la facevano sentire, con Lottie, diversa dai colleghi, servitori in altre casse, che spettegolavano sul comportamento scandaloso dei Woolf, e dei loro amici che propugnavano una allora impensabile libertà sessuale, che vivevano promiscuamente e liberamente le loro relazioni, omo ed eterosessuali.
E si ride. “(…) Scommetto che nessuna di loro sa che a Londra, la città dove abitano, esiste una società del sesso dove vanno persone distinte a gridare ‘pene’! come se niente fosse. I loro padroni saranno anche molto ricchi, ma non sanno niente di interessante, non conoscono persone che scrivono libri o che dipingono quadri o che fanno sculture.
Ma anche: “(…) Ho male dappertutto dal gran ridere (…) E’ piuttosto imbarazzante, dovevano immaginarlo che potevamo sentire tutto (…) dalla cucina le cose si sentono, o credono che siamo fantasmi!”
“Fantasmi”, dunque? Nelly capirà infine la distanza, il suo amore privo della reciprocità che solo la parità può dare. E avanzerà richieste, e proteste, e minacce di andarsene, senza possibilità di farlo dato che, fuori da quella casa, per lei ci sarebbe stata solo la strada. E odierà, profondamente quanto aveva amato, mentre Virginia non reggerà il conflitto, con Nelly ma soprattutto con se stessa.
Mentre Lottie fallirà le proprie aspirazione, il sogno di un matrimonio e di un vero cognome, Nelly riuscirà ad andarsene, troverà lavoro presso un’altra famiglia; imparerà a non cedere più al bisogno di essere amata, e considerata, mantenendo, di quel sogno, la dolorosa forma di amore che è l’odio.
Il libro inizia dalla fine, dal funerale di Virginia, morta suicida, annegata nel fiume Ouse, cui Nelly partecipa da lontano, tenendosi nascosta. E pensa, e ricorda.
“” L’importante è avere dignità, Nelly” mi diceva, come se lei mi permettesse di averne, come se gliene fregasse qualcosa della dignità di chi le stava intorno. (…)”
“Ma alla fine il suo consiglio l’ho seguito, guarda un po’, e mi sono liberata di lei (…). Ha dovuto mandarlo giù, e ha dovuto mandar giù che non fossi finita in una casa qualunque, da un commerciante arricchito o dal padrone di un ristorante, gente ordinaria, avrebbe detto lei. No, sono riuscita a lavorare per due artisti che tutto il mondo conosce e ammira. I signori Laughton mi apprezzano, guadagno bene e ho una stanza tutta per me, un armadio pieno di vestiti e il mio servizio da tè. Ho della dignità. Quanto a lei…da tre settimane era in fondo al fiume (…) gonfia e deforme come le mucche che affogano nelle alluvioni, il naso e i lobi delle orecchie mangiati dai pesci, i vestiti mezzi strappati e mezzi marci, questa è stata la sua dignità alla fine”
Un libro doloroso e vero e carico anche di dolcezza, che non intacca la figura di Virginia Woolf ma le conferisce una umana realtà e mostra la difficoltà di uscire, con le sole idee, dal mondo cui apparteniamo, ci disvela a noi stessi, ponendoci di fronte, chiaro come uno schiaffo, il mondo degli altri.