Giulia Depentor, “Il vestito verde”, Lettere animate editore 2016
Desiderate trascorrere qualche ora in poltrona, con un bel romanzo; con una storia, anzi più storie d’amore avvincenti, che si snodano nel corso di tre generazioni e vi porteranno ad attraversare l’Europa e la sua storia? Vi piacciono anche gli enigmi? Ecco il vostro libro.
Un tema classico, addirittura abusato, se vogliamo – una ragazza si sveglia in una stanza sconosciuta, in questo caso di un albergo, e non ricorda nulla di sé. Chi sarà la (ovviamente) bella e giovane sconosciuta?
Si avvia la lettura con un leggerissimo dubbio: il tema dell’amnesia quale marchingegno sui cui fondare un intreccio è un po’ già dato, lo conosciamo tutti molto bene. Tuttavia, lo è perché funziona. È un po’ ciò che accade con il classico giallo incentrato sul mistero della camera chiusa. Tutto già noto, eppure, tale esattamente perché si tratta di un enigma, di un rompicapo, classico, un evergreen, e che dunque attrae. Attenzione agli indizi. Riuscirò a trovare la soluzione?
Nel caso dell’amnesia, quando ad esserne colpita è una bella ragazza, sappiamo da subito che sarà una storia buona, a lieto fine, che ci farà magari trattenere il fiato ma senza precipitarci nell’orrore, nella tristezza, o peggio. È chiaro, il narratore è tenuto a rispettare i patti. Così, se cercavamo una buona storia, ben raccontata, con la sua dovuta parte di suspense, che ci consenta un piacere sicuro nel disvelamento finale: eccola.
Si respinge il piccolo dubbio; e il libro si rivela, da subito, interessante, ricco di interrogativi per il lettore, ricco di personaggi ben delineati, con pochi tratti essenziali che, di capitolo in capitolo, si presentano, ognuno con una propria storia, regalando nel contempo indizi che suggeriscono una possibilità di relazione.
Ma non basta. Procedendo nella lettura, ci troveremo a vivere tempi e vicende di portata storica, e vicende individuali ben inserite nel loro tempo. Qualcosa come tante storie in una storia. Ci troveremo a vivere in luoghi precisi, resi con efficacia, pur essendo, nel rispetto degli standard del genere, luoghi con carattere di convenzionalità – Parigi, non un qualsiasi vicoletto, bensì Place des Vosges; Berlino, l’Unter den Linden, con vista della grande cupola del Bundestag: la Toscana del turismo borghese di metà novecento; una Sicilia d’epoca, un piccolo paese, in questo caso un adeguatamente non individuato luogo comune.
Il leggerissimo dubbio è dimenticato, fin dal secondo capitolo, dato che il libro, pur essendo di quasi trecento pagine, è strutturato in capitoli molto brevi, che assicurano ritmo alla storia.
Nel secondo capitolo conosceremo Aloïs. Guarda un po’, giovane e, di suo, artista, scultore – costretto a guadagnarsi la vita come concierge all’Hotel del la Comtesse di Place des Vosges, a Parigi. Che ne dite? Cosa vi aspettate?
Aloïs è uno che, di sé, dovendosi alzare di buon mattino per recarsi al lavoro, in una brutta e fredda giornata di aprile (Parigi è spesso così, va detto) pensa:
“Io sono un artista, e gli artisti non si devono svegliare così presto. Devono dormire e sognare, e poi da quei sogni creare la loro arte.”
Di capitolo in capitolo, incontreremo personaggi nuovi, in apparenza irrelati; di capitolo in capitolo, riprese le singole storie, verranno seminati indizi. Si aggiungeranno personaggi. E la scena, i luoghi, i tempi, cambieranno.
Conosceremo Bruno Scaphandrier, celebre sarto parigino di abiti da sposa di alta qualità, prossimo al fallimento: il genere, e i suoi costi, probabilmente sono fuori tempo. Bruno è una persona ormai anziana, sola, incatenata al ricordo di un amore perduto da cui non ha saputo distaccarsi per costruirsi una vita.
Un ulteriore salto temporale e conosceremo Charles, il sarto, e la moglie Elsa: lui parigino, lei di origine italiana. Hanno un figlio piccolo, Bruno. Una storia d’amore e di fallimento; una storia dolorosa.
Seguendo Charles ci troveremo nella Berlino del 1938, a camminare lungo la Unter den Linden, vedremo la cupola dell’allora Reichstag ancora segnata dall’incendio del 1933; entreremo in un bar, a conoscere Fritz e Marlene, per poi abitarne la pensione di Christburgerstrasse 22. Giungerà il primo settembre del 1939: la Germania invade la Polonia. È la guerra.
Le storie e le vite non sembrano incrociarsi. Per ora, ogni vita ha la sua storia, individuale. Seguendone una, andremo anche in Italia, a conoscerne altre, tra la Toscana e la Sicilia; altre vite e altri tempi.
Oh beh! La vicenda è complessa, i colpi di scena si susseguono, entrano altri personaggi, storie di vite separate che si incontreranno. Leggere per credere. Di che farci una serie. Senza che mai la storia si aggrovigli.
Avevamo iniziato la lettura di un romanzo, genere forse giallo, forse rosa, sicuramente una lettura rilassante. Avevamo incontrato una scrittura agile, sicura; e il nostro interesse era mutato: certo, è un romanzo che mantiene tutte le promesse di genere espresse ma che, tuttavia, possiede una non comune ricchezza, una non comune capacità di prendere in mano una vicenda molto articolata e condurla a compimento, con una buona scrittura finalizzata al lettore e all’intreccio, che non crea intoppi parlando di sé.
Abbiamo tra le mani, ce ne accorgiamo, un vero <romanzo> nel senso che comunemente si dà a questo termine – e la memoria va all’800, francese in particolare, ai romanzi d’appendice, a quei feuilleton che, pubblicati a puntate sui quotidiani, venivano pagati all’autore un tanto a riga, motivandolo ad allungare la storia mentre, nel contempo, dovendo tener desta l’attenzione del lettore, tale prolungamento doveva essere costruito attraverso la ricchezza della trama, a suon di nuovi personaggi, di avvenimenti, di colpi di scena.
Dobbiamo a questo genere opere di grande successo, scritte da autori quali Balzac, Gautier, Dumas – la serie ovviamente non si limita ai romanzi francesi, dove tuttavia il genere si considera nato – che hanno regalato migliaia e migliaia di ore di lettura felice a lettori di ogni classe sociale. Dobbiamo a questo genere la figura stessa del lettore moderno; e dell’editore moderno. Si parla di un genere che, con romanzi di buona, e certo anche meno buona, fattura, ci ha regalato capolavori; mai tramontato, anche se oggi non viene più pubblicato nei quotidiani, e difficilmente presenta la ricchezza narrativa che quest’opera a mio parere possiede, con la correlata capacità di sostenerla senza cadute.
A completamento, va aggiunto che Giulia Depentor non ci ha fatto mancare neppure la colonna sonora, arricchendo la storia di Bruno Scaphandrier con la musica della prima Gymnopedie di Erik Satie (qui) e illustrando un amore che sta nascendo con la chitarra e la voce di “Mon amie la rose” (qui). Posso dire: scelte abili. Così come abile è il primo indizio che ci verrà offerto, fin dalle prime pagine, non sulla soluzione dell’enigma, bensì sulla coloritura di quanto leggeremo.
Svegliandosi in una sconosciuta stanza d’albergo, la nostra giovane protagonista scopre di avere a propria disposizione, quale traccia di una identità perduta: un vestito, tulle e lustrini, verde, elegantissimo e una vecchia borsa di cuoio. Ne esplora il contenuto.
“Dentro, un rossetto vecchio e impastato chiuso in una custodia d’argento, uno specchio, sempre d’argento, con le iniziali G.S.
Un bracciale di diamanti e un anello.
Un foglietto ripiegato. E la pagina di un libro.”
“Verrà la morte e avrà tuoi occhi
Questa morte che ci accompagna dal mattino alla sera……
……… Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.”
Ecco, anche se di quel foglietto, vecchio, consunto, lei nulla sa, riconosce Cesare Pavese, presente, saldo, nella sua memoria. E questo ci suggerirà, con immediatezza, qualcosa sulla storia che incontreremo.
Il finale. Dovuto, direte. Certo, ma non del tutto. Giungeremo invece a una soluzione utilmente aperta. Per usare frasi fatte, non del genere “e vissero felici e contenti” bensì del genere “il resto è vita”.
Non ditemi che non avete voglia di leggere questo romanzo. Che non ve lo appunterete per, che so, un momento di relax. Farete bene, naturalmente, e vi troverete tra le mani qualcosa di più. Vi appresterete a trascorrere qualche ora in compagnia di una scrittrice dal mestiere consumato.