S. Francisco anno 1953, apertura della libreria City Lights, di Lawrence Ferlinghetti e Peter D. Martin[i]: un luogo simbolico, se volessimo fissare, in un giorno e in un’ora che non conosco, la data di nascita della beat generation.
Potremmo fissare la data al 1955 quando Ferlinghetti, rimasto il solo proprietario della libreria, vi aggiunse anche un’attività di Casa Editrice, avviando la pubblicazione di una collana di tascabili di poesia: la Poket Poet Series.
Potremmo fissarla al 1956 quando, per la pubblicazione di Howl and Other Poems di Allen Ginsberg, Lawrence Ferlinghetti sarà arrestato per “distribuzione di materiale osceno”.
Ferlinghetti fu assolto dall’accusa: il processo segnò un punto importante per la libertà di stampa negli U.S.A., e Ferlinghetti trasse dall’accaduto una grande notorietà per sé e per la libreria che già era, localmente, punto di riferimento della nuova generazione di poeti che sarebbe stata conosciuta come beat generation e che avrebbe sostenuto il far poesia come attività che doveva vivere nella parola detta e non solo sulla pagina.
Qui, se avete voglia, trovate una bella serie di foto della libreria, e delle sue vetrine[ii]
Curiosità : il 2 marzo 1997 è uscito un articolo, su Repubblica, per l’inaugurazione di una Libreria City Lights a Firenze, presente Ferlinghetti (qui): esiste ancora? Non ho trovato un suo sito, ma magari non ho saputo cercare.
Un incrocio di culture, quello che ha fatto nascere Lawrence Ferling: figlio del bresciano Carlo Leopoldo Ferlinghetti, emigrato nel 1894 a New York, dove, naturalizzato americano, scelse di cambiare il proprio cognome in “Ferling” e di Clemence Albertine Mendez-Monsanto, le origini della cui famiglia erano francesi, danesi e portoghesi, nascerà, quinto figlio della coppia, il 24 marzo del 1919.
Pur figlio di una famiglia se non ricca, probabilmente in discreta condizione economica – il padre era un agente immobiliare e banditore d’aste – la sua vita inizierà nel lutto e nell’abbandono. Il padre morirà prima della sua nascita e la madre, sconvolta dal dolore, sarà ricoverata al manicomio.
Dei bambini, si faranno carico, immagino, familiari diversi. Lawrence verrà accolto da zia Emilie, in realtà moglie di un cugino della madre, francese, con la quale vivrà, fino all’età di cinque anni, a Strasburgo. Poi, Emily sceglierà di tornare a vivere a New York dove tuttavia la situazione non migliorò e il piccolo Lawrence dovette essere temporaneamente affidato dai servizi sociali ad un orfanatrofio, non essendo la cugina affidataria in grado di sostenerlo.
Dopo sette mesi, Emilie troverà lavoro come istitutrice presso la famiglia Bidland, e potrà riprendere con sé Lawrence: trascorso un anno, anche Emily si ammalerà causa stress e, ancora una volta e, credo, definitivamente, non sarà più in grado di occuparsi almeno stabilmente di Lawrence che tuttavia verrà accolto nella famiglia Bidland.
Da quel momento la vita del piccolo Lawrence Ferling proseguirà su binari sicuri: verrà cresciuto dalla famiglia ospite come fosse un loro figlio. Percorrerà un regolare iter scolastico, apparentemente senza più venir colpito da difficoltà di ordine sociale.
Nulla viene riferito, o quantomeno ho, finora, trovato, sul destino dei fratelli. Difficile, tuttavia, che il luttuoso percorso della sua prima infanzia non abbia segnato la vita e la personalità del poeta che, in un’intervista, parlerà di zia Emilie come della persona che lo aveva avvicinato alla poesia (qui), dicendo di lei che “era una poetessa o voleva esserlo, in ogni modo lei era molto poetica. Il guaio è che era troppo pazza per produrre una qualsivoglia cosa coerente”.
Per Emilie scrisse una poesia, “The photo of Emilie” che non conosco e che mi piacerebbe trovare.
Al momento in cui, dopo Pearl Harbour, come molti suoi coetanei scelse di interrompere gli studi universitari e arruolarsi, scoprì l’origine italiana di suo padre, e il cognome originario “Ferlinghetti”, scegliendo di riprenderlo per sé.
Il seguito: il completamento degli studi, Parigi, la Casa Editrice e la Libreria; una vita di movimento, di scrittura ma soprattutto, di promozione della poesia, nel mondo intero.
Un grande poeta? Forse. Sicuramente un poeta molto letto e uno scrittore molto produttivo, non solo di pagine scritte.
Ferlinghetti è anche pittore. La parola scritta e il segno grafico in lui si combinano, si integrano. E i reading di poesia si intersecano con le mostre, piccole, ma tenute ovunque, da uno sempre in movimento, da un grande comunicatore che riesce a far coincidere una attività di respiro internazionale con la creazione e il mantenimento di rapporti personali, di affetto, con “amici”, ovunque.
“A Coney Island of the Mind”, il suo secondo libro di poesie – ma sarebbe difficile fissare ad una sola opera, per quanto la più nota, un autore come Ferlinghetti – è stato tradotto in moltissime lingue, e ha venduto almeno due milioni di copie.
All’estremo opposto, ”Il lume non spento”, una piccola silloge pubblicata da interlinea edizioni, di Novara, nel 2006, in corrispondenza dell’assegnazione al poeta del Premio Lerici, contiene degli inediti nonché, riferisce il curatore, a precisa richiesta di Ferlinghetti, una sua poesia del 2000: “Non ci sono ancora lucciole?”.
In questa poesia l’autore ci parla, dunque, dell’America di diciotto anni fa; quando le torri gemelle ancora svettavano. E tuttavia, è chiaro il perché, sei anni dopo, quando tutto era successo e stava, come sta, succedendo, egli abbia chiesto che questa poesia fosse inserita nella silloge. Chiaro, oggi, quanto sia tuttora attuale.
Non ci sono ancora lucciole
in America
Non ci sono ancora quadrifogli
Non è ancora bellissima la nostra terra
con i nostri campo inviolati da nemici armati
le nostre città mai bombardate e cancellate
da invasori stranieri
mai occupate da eserciti di ferro
che parlano lingue di ferro
Non son ancora valorosi i nostri guerrieri
pronti a difenderci
Non indossano ancora i nostri senatori
le loro belle toghe
Non siamo ancora un grande popolo
nel più grande paese del mondo
Non è ancora questa nazione una nazione libera
Non sono ancora nostri i nostri campi
I nostri giardini pieni di fiori
le nostre navi piene di merci
Perché dunque alcuni temono ancora
che i barbari stiano per arrivare
per arrivare per arrivare
con le loro masse ammucchiate
(Qual è quel suono che riempie l’aria
tambureggiando tambureggiando?)
Non è Roma ancora Roma
Non è Los Angeles ancora Los Angeles
Sono davvero questi gli ultimi giorni dell’Impero Romano
Non è il bello ancora bello
E il vero ancora vero
Non ci sono ancora poeti
Non ci son ancora amanti
Non ci sono ancora mamme
sorelle fratelli
Non c’è ancora la luna piena
una volta al mese
Non ci sono ancora lucciole
Non ci sono ancora stelle di notte
Non possiamo ancora vederle
nella coppa della notte
a indicarci i nostri “destini manifesti”?
Il punto interrogativo ci sta, grammaticalmente, solo alla fine della, lunga, unica frase (e in un inserimento, posto tra parentesi, frase a sé, moto d’angoscia dentro al quale, in effetti, la domanda non c’è; mentre si ode, reale, il rullo cupo dei tamburi). Ma sarebbe essenziale, proprio qui, una voce, a collocare una domanda/non domanda.
Un grande poeta, Lawrence Ferlinghetti? Non so. Forse. Non credo abbia molta importanza. Il giudizio di critica, intendo. È uno che parla alla gente, e fa parlare tra loro coloro che lo ascoltano. Uno che tesse legami. Non è poco.
A tutt’oggi, o almeno fino a ieri, l’anziano poeta è attivo, spesso in Italia, pronto a partecipare a reading di poesia e a mostre.
Dal suo primo libro, “Pictures of the Gone Words”, 1955, una parte delle cui poesie si trova nell’edizione italiana di “A Coney Island of the Mind”, Minimum Fax 2008, possiamo ascoltare, detta da Sergio Carlacchiani, una bella lettura: “Il mondo è un gran bel posto per nascerci”, ci dice il poeta, inanellando una lunga serie di “se”, che si interrompe, lasciando che, anche solo per piccole gioie, il mondo sia davvero un bel posto per nascerci, salvo un “ma“, di chiusura; e dentro questa riflessione ci sta tutto Ferlinghetti, il suo impegno civile e la semplice gioia di vivere, l’orrore della guerra e della fame, e dell’ingiustizia; i lutti della sua vita, il lutto finale e il piacere, la gioia comunque di
(…)
fare la pantomima dell’amore
e fare la pantomima della tristezza
e cantare in sordina d’amore e avere ispirazioni
e andare a zonzo
guardando tutto
e odorando fiori
toccando il culo alle statue
e persino pensando
e baciando la gente e
facendo figli portando pantaloni
e agitando cappelli e
ballando
e andando a bagnarsi nei fiumi
a fare dei pic-nic
in piena estate
o solo genericamente
«godendosi la vita»
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[i] Direttore, a S. Francisco, di un piccola rivista, City Lights, appunto, come il film di Chaplin. Conosciutisi, Martin e Ferlinghetti decideranno di aprire una libreria di tascabili, la City Lights Bookstore: obiettivo, stampare e diffondere libri politicamente schierati per i diritti civili e per la pace.
Già due anni dopo, Ferlinghetti sarà il solo proprietario della libreria che tutt’oggi opera, pur se il vecchio poeta non ne è più il proprietario (ma sempre un frequentatore).