Prima? Dopo? Durante?

Ted Chiang alla libreria ‘Estudio en Escarlata’ di Madrid, Spagna (scatto di Arturo Villarrubia, 24/02/2011) Wikipedia

Scoprendo l’acqua calda, immagino, mi imbatto su di un autore a me finora totalmente sconosciuto: ed è infatuazione – ancora presto per dire “amore”, immagino; ogni infatuazione ci sembra tale, all’inizio.

E tuttavia, questo autore possiede sicuramente, oltre ad una scrittura godibile, una qualità di contenuto che non lascia scampo al lettore, catturato con leggerezza e tuttavia senza che il compito, l’invito ad entrare nella domanda che ogni racconto presenta, gli venga facilitato.

Sto leggendo. Terminata la prima raccolta di racconti, “Respiro”, in corso di lettura la seconda, “Storie della tua vita” (credo prima, in ordine di pubblicazione), non so attendere a scriverne anche perché si tratta di storie a tal punto varie che, ognuna, costituisce un mondo a sé, e si è catturati dal desiderio di raccontarne così come avviene per un romanzo, per un’opera a tema di lungo respiro, caratterizzato da un’estrema, perfetta sintesi: non una parola di troppo, non una parola mancante. Ogni volta un mondo. E il ritrovarsi ad abitarlo.

Ted Chiang scrive racconti, dunque, ognuno dei quali sarà una storia perfetta in sé che occuperà a lungo, in modo persistente, la mente di chi legge: creando un tempo in cui il pensiero trova un suo spazio, tale da intridere di sé, a storia conclusa, il personale tempo-spazio di vita del lettore.

Le storie che Chiang scrive sono assegnate alla categoria della narrativa fantastico-scientifica (e già qui è possibile aprire un tema, non nuovo ma sempre irrisolto, di cui parlare).

Nato a Port Jefferson, U.S.A., nel 1967, laureato in informatica, il nostro lavora “come scrittore tecnico per l’industria del software” – dice Wikipedia che, come spesso accade, butta lì, in forma asettica, un’informazione su cui sarà poi possibile arzigogolare.

Come scrittore, in senso proprio, Ted Chiang scrive poco; ma ecco: dovremmo forse, più esattamente, dire che pubblica poco; il necessario, mentre, anche dal suo lavoro, comunque di scrittura, credo tragga un pensiero su cui riflettere, un pensiero da cesellare, da cui dipanare interrogativi filosofici, particolarmente di area etica, che poi volgerà in forma di esperimenti mentali.

Lo farà costruendo storie – parabole – situazioni metaforiche – che consentano alla mente di provarsi nel confronto con un tema – con un dilemma – con un’aporia, da sviscerare nelle sue implicazioni, da illustrare e analizzare nelle sue componenti; e nella sua criticità per la vita: del singolo, se vorrà sostare e concedersi, per l’appunto, di entrare in un tempo sospeso; della nostra specie e del suo stare nel mondo, in relazione. Soprattutto in relazione.

Ted Chiang ha scritto poco, dunque (“Solo quando mi viene un’idea” (…) si considera uno scrittore occasionale, (…), scrive quello che vuole quando vuole (…)”[i] e tuttavia ogni suo scritto è stato un importante premio, tra cui quattro Premi Nebula e due Premi Hugo: nel mentre ha rifiutato la candidatura ad un terzo Premio Hugo ritenendo il racconto con cui vi avrebbe partecipato non sufficientemente buono: a conferma di un utilizzo della scrittura, e dell’esercizio mentale connesso, per se stesso e per farne un dono.

Credo davvero sia <il dono> la categoria giusta in cui inserire la ratio sottesa alla sua scrittura, e alla scelta di pubblicare; il dono come medium della relazione e veicolo per una comunicazione che muove da una grande capacità empatica.

A quante pare il suo personale standard di qualità è piuttosto elevato e non ammette una (propria) produzione che potrebbe venir giudicato al di sotto di tale standard, in un confronto esercitato primariamente con se stesso ma, non secondariamente, proprio in relazione alla qualità relazionale del dono (che chi mai penserebbe di poter presentare senza una adeguata confezione, tale da significare, per il ricevente, la cura che il donatore ha posto nel porgerlo). Ed ecco che il rifiutare la partecipazione ad un Premio letterario si spiega.

Ted Chiang regala pensieri che volge in storie.  Saranno, talvolta, come nei due racconti che aprono le raccolte, a carattere fiabesco, collocate in un’ambientazione acronica dove aspetti magico-tecnologici-futuribili faranno da sostegno a esperienze che mettono in gioco domande. Riecheggia una rivisitazione delle dispute sugli universali.

«O potente califfo, principe dei fedeli, ritrovarmi al cospetto del vostro splendore è una benedizione, nessuno potrebbe ambire a onore più grande nella vita. La storia che voglio raccontare è di quelle davvero curiose, tanto che se anche fosse interamente tatuata nell’angolo dell’occhio di qualcuno, nemmeno una simile meraviglia sarebbe più incredibile degli eventi in essa contenuti. Non si tratta solo di una storia, in effetti, ma di un avvertimento per chi si lascerà mettere in guardia e di una lezione per chi sarà disposto ad apprenderla.

Il mio nome è Fuwaad bin Abbas…»

(“Il mercante e il portalettere dell’alchimista”, in: “Respiro”).

Ed ecco il vecchio tema della Porta del Tempo, declinato tuttavia in modo originalissimo; ed ecco il tema della ciclicità del tempo; con un tratto tipico delle Mille e una notte, dei racconti che contengono altri racconti come ci dirà lo stesso autore che, a chiusura delle sue storie, fa sempre seguire una nota che ne narrerà la genesi, e la domanda da cui sono nate.

«(…) Nessuno di loro aveva mai visto la torre. Cominciò a essere visibile quando per raggiungerla mancavano ancora diverse leghe: una linea sottile come un filo di lino che vibrava nell’aria bollente, spiccando su una crosta di fango che era in realtà Babilonia. Quando si avvicinarono, quella crosta sembrò sollevarsi trasformandosi nelle mura possenti della città, ma i loro occhi erano tutti per la torre. (..)

Beli, il caposquadra, si rivolse urlando alle sentinelle di guardia nei torrioni. “Siamo i minatori chiamati dalla terra di Elam”. Le guardie parvero rallegrarsi, e una di esse replicò: “Siete quelli che devono scavare nella volta celeste?”» (“Torre di Babilonia”, in: “Storie della tua vita”).

E anche qui, la nota di chiusura sarà illuminante e, insieme, un interessante <altro> dalla nota storia della torre di Babele. L’autore ci dirà come, ascoltando per l’appunto la storia biblica, il suo pensiero sia andato al dipinto di Magritte “Il castello dei Pirenei” e di come Tom Disch abbia definito questo racconto “fantascienza babilonese”.

(Thomas Disch! Un altro autore che, per me, è solo un nome. Sono praticamente certa di non aver, al tempo in cui leggevo appassionatamente gli Urania, mai incontrato una sua storia e ora, solo guardandone la foto, mi prende un grande desiderio di andar a vedere.)

Chiang non concorda con la definizione del collega e ci dice che “i personaggi possono essere anche religiosi, ma fanno affidamento più sull’ingegneria che sulla preghiera”.

Lasceremo poi la fiaba e incontreremo “Capisci”; e il tema della nostra mente, e di cosa potrebbe accadere nel caso fosse possibile espanderne le capacità e…: checché ne dica, nelle note, l’autore, che di questo non fa parola, le implicazioni socio-politiche non saranno uno scherzo. L’allerta è perentoria, pur nel modo pacato che gli è congeniale.

Almeno, a me pare così. E non so se questo racconto mi ha dato piacere, come altri. So che non ne avrei potuto interrompere la lettura; che, alla fine, non si è lasciato semplicemente chiudere, per lasciarmi pronta a dire “avanti il prossimo”.

Sto ora leggendo “Storia della tua vita”, il racconto che dà il titolo alla raccolta e che è stato trasposto in un film, “Arrival”, diretto da Denis Villeneuve. Presentato nel 2016 alla Mostra del Cinema di Venezia, è stato apprezzato dalla critica, vincendo diversi premi. Non l’ho visto. Ci penserò.

Oggi, ho interrotto la lettura di questo racconto per scrivere. Non è una storia da bere. Non tutta di seguito. Nessuno di questi racconti lo è. Chiedono di essere, se pur con sforzo, sospesi, per dar tempo al pensiero di ascoltarsi; per poi essere ripresi dall’incipit – una, due volte; così da giungere bene alla chiusura, e poter chiedere loro di persistere, nella memoria e nella domanda.

Vi è ancora qualcosa di molto particolare in queste storie – almeno fino a questo racconto e in attesa dei seguenti. Vi è che, aprendo domande difficili, domande senza risposta, che <importano> per la nostra vita, riescono, se mi passate il termine, a renderle serene.

È qualcosa che deve aver a che fare con la nostra percezione del tempo. Con qualcosa che ci dice di non temere, di lasciarlo aperto; che abbiamo tutto il tempo che vogliamo. Prima? Dopo? Durante? Che differenza fa.

_____________________________________

[i] In: https://www.iltascabile.com/letterature/ted-chiang/)