Costantinos Kavafis, (29 aprile 1863 – 29 aprile 1933) è un poeta che mi ha sempre affascinato e, insieme, confusa. Per un bisogno cogente di collocarlo: in un tempo, in una lingua, all’interno di una comunità, all’interno di relazioni. Inesistenti, così come inesistenti sono i suoi luoghi, la sua Roma, la sua Alessandria, la sua Grecia; realtà viventi al di fuori del tempo, di ogni nostro tempo; come la sua lingua greca, lingua-isola della sua poesia; come Itaca, luogo-destino di ogni andare, che solo come isola, dalle coordinate incerte, può essere.
È stupore, ogni volta, incontrare Costantinos Kavafis nell’oggi di ogni mio-nostro giorno. Mentre le sue parole restano, come una stella polare, barbagliando ogni sera di luce diversa.
Appartenente ad una famiglia costantinopolitana, come lui stesso afferma in una nota biografica[i], le sue poesie sembrano (e il sembrano è d’obbligo) appartenere alla seconda parte della sua vita.
Giornalista, agente di borsa, impiegato ministeriale, interprete – i fatti dei suoi giorni, pochi, scarni, ci dicono l’egiziano, figlio di una famiglia greca: per lingua, antenati, storia, per qualsiasi cosa, al tempo, e per secoli, abbia significato essere “greci”, parte di una delle tante popolazioni dell’Impero Ottomano; e appartenenza che travalica ogni temporanea, fa niente se millenaria e mutevole, geopolitica.
Greco, dunque, Costantinos Kavafis, cittadino di origine greco-turca fattosi, per la vita, egiziano; cittadino di Costantinopoli come di Alessandria, patria millenaria in cui è nato e morto; impastato di appartenenze e storie, minoranze-identità-lingue. Salvo il greco della poesia. Necessario.
La lingua greca stessa, incerta, tra una antica lingua, colta e la lingua – dialetto? Dialetti? – parlata dagli appartenenti all’identità popolare delle sue tante enclave.
Grecia? Un’idea. Un’identità al tempo suo ancora a brandelli eppure certa di sé; mentre risuonavano (risuonano?) sempre le voci di Achei e Troiani, le voci dei macedoni Tolomei d’Egitto e di Roma; e di Bisanzio; e le armi e il colloquio tra Impero Ottomano e Serenissima Repubblica di Venezia, con Cipro e Creta a far da baluardi per il dominio dell’Adriatico e del Mediterraneo.
Difficile.
Posso dire di aver scoperto molto tardi, da scolara poco diligente di un tempo che non ricordo, che l’antica Grecia stava in Turchia? Che la Grecia: è esistita? Forse solo come topos. Ancor oggi diciamo civiltà greca e diciamo: cosa?
Poi incontri Costantinos Kavafis, o meglio vai, con una certa qual regolarità, a fargli visita nelle sue stanze (chiuse, segnate dalla penombra, a tener fuori il tempo e far perdurare al loro interno le ere), e lui niente ti dice, parla con sé. E tu ascolti.
Mentre fai rotta verso Itaca (domani, un altro giorno: oggi, è il tempo della sosta)…
Itaca
Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo
né nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l’anima non te li mette contro.
Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
Quando nei porti – finalmente, con che gioia –
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d’ogni sorta, più profumi
inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.
Sempre devi avere in mente Itaca –
Raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato un bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos’altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
Già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.
…o mentre potrai solo preservare il tuo stare con te, sostando – sulla strada, sempre, verso Itaca; mentre sarai presa nel commercio con l’oggi, e magari, quest’oggi sarà silenzioso, come non avevamo previsto, come mai avremmo desiderato, come è faticoso che sia; fai allora che il silenzio si faccia parola, e sia parola per ogni tempo, e che stia con te e non si disperda.
Per quanto sta in te
E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole e in un viavai frenetico.
Non sciuparla portandola in giro
in balìa del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea.
Mai pubblicate durante la sua vita, Costantinos Kavafis distribuiva le sue poesie agli amici, stampate a singoli fogli o raccolte in plichi.
Sono state pubblicate subito dopo la sua morte; e Costantinopoli era divenuta Istanbul, e tutto, ancora, intorno a lui era movimento; e tutto chiedeva di essere salvato dal tempo, dal contingente; chiedeva di essere lingua, e parola, condivise: parole della poesia, finché esisterà una possibile via d’uscita dal contingente.
Deve aver scritto molto – versi sparsi, pensieri; o averli solo pensati, modificati, rivisti, cesellati.
Ha salvato, della sua opera, centocinquattraquattro poesie. Tanto? Poco? Il bottino che aveva con sé giungendo infine alla sua Itaca. Che neppure i barbari avranno potuto demolire.
Perché, da poeta, egli sapeva, sapeva tutto, di ogni tempo.
Sapeva dei barbari, che sono venuti tante volte. Che ritornano e ritorneranno. Che se ne andranno. E neppure ciò sarà facile. Talora, l’oggi di ogni tempo incombe.
Aspettando i barbari
Cosa aspettiamo qui riuniti al Foro?
Oggi devono arrivare i barbari.
Perché tanta inerzia al Senato?
E i senatori perché non legiferano?
Oggi arrivano i barbari.
Che leggi possono fare i senatori?
Venendo i barbari le faranno loro.
Perché l’imperatore si è alzato di buon’ora
e sta alla porta grande della città. Solenne
in trono, con la corona sulla fronte?
Oggi arrivano i barbari e il sovrano
è in attesa della visita del loro
capo; anzi, ha già pronta la pergamena
da offrire in dono
dove gli conferisce nomi e titoli.
Perché i nostri due Consoli e i Pretori
stamane sono usciti in toga rossa ricamata?
perché portano bracciali con tante ametiste
e anelli con smeraldi che mandano barbagli?
perché hanno in mano le rare bacchette
tutte d’oro e d’argento rifinito?
Oggi arrivano i barbari
e queste cose ai barbari fan colpo.
Perché non vengono anche i degni
oratori a perorare come sempre?
Oggi arrivano i barbari
e i barbari disdegnano eloquenza e arringhe.
Tutto a un tratto perché questa inquietudine
e questa agitazione? (oh, come i visi si son fatti gravi):
Perché si svuotano le vie e le piazze
e tutti fanno ritorno a casa preoccupati?
Perché è già notte e i barbari non vengono.
È arrivato qualcuno dai confini
a dire che di barbari non ce ne sono più.
Come faremo adesso senza i barbari?
Dopotutto, quella gente era una soluzione.
Ora, attendiamo un nuovo anno. Un tempo. Con poca speranza – con speranza. Attendiamo un tempo che chiederà di essere ascoltato. Ci chiederà di condividere una lingua.
Buon Anno.
[i] Costantinos Kavafis, Settantacinque Poesie, a cura di Nelo Risi e Margherita Dalmati, Einaudi 1992, pag. 10: “Appunto autobiografico. Io sono di origine costantinopolitana, ma nato in Alessandria d’Egitto, in una casa della via Cherif. Me ne andai di là ch’ero ancora bambino, e molta parte della mia infanzia la passai in Inghilterra, Più avanti negli anni visitai ancora quel paese, ma per poco. Soggiornai anche in Francia. Adolescente, passai più di due anni a Costantinopoli. In Grecia è da anni che non vado più. Il mio ultimo impiego è stato presso un ufficio dipendente dal ministero egiziano dei Lavori Pubblici. Parlo l’inglese, il francese e un poco italiano.”