William Goldman, “La principessa sposa”, Marcos Y Marcos
Traduzione di Massimiliana Brioschi
Prefazione di Cristiano Cavina
Una favola per Natale: ci sta. Se non che questo non è un Natale qualunque; e richiede, dunque, una favola particolare. Una favola per adulti. Decisamente non per bambini. Ma pur sempre una favola, di quelle con dentro tutto ciò che si può desiderare:
“Scherma. Lotta. Tortura. Veleno. Vero amore. Odio. Vendetta. Giganti. Cacciatori. Uomini malvagi. Uomini buoni. Belle dame. Serpenti. Ragni. Bestie di ogni natura. E tipo. Dolore. Morte. Uomini coraggiosi. Uomini codardi. Uomini più forti. Inseguimenti. Fughe. Menzogne, Passioni, Miracoli.”
Una favola vera, dunque, che tuttavia, se volessimo narrarla a un bambino, dovrebbe essere decisamente riadattata; almeno un po’ ripulita da qualche – non piccola, significativa – caduta nella concretezza della riflessione e dell’ironia adulte sul mondo e su come il mondo si comporta con noi umani.
Non è, dunque, un libro per bambini, questo; anche se, va detto, capita più o meno a tutti, una volta o l’altra, di tralasciate alcune fondamentali nozioni sulla realtà. Capita a tutti di ignorarle, negarle, bandirle dalla propria vita: si tratta di un’operazione (quasi) necessaria se si desidera godere appieno, sia pur temporaneamente, di una fiaba. Ma non è questo il caso.
Qui, nelle pagine di questo libro, troveremo un adulto che parla ai propri coetanei, accordandosi, per così dire, sul come fare per narrare una vera favola, non intrusa dalla realtà, ai bambini.
Cosa ci dirà, dunque, l’adulto William Goldman, con questa fiaba?
Ci dirà che, certo, una favola, ogni favola, finisce sempre bene; ma ci dirà pure di non dimenticare mai che, nella realtà, “la vita non è giusta: è solo più decente della morte, tutto qui.”
Ci dirà anche – il che è consolatorio – che l’amore è “la cosa più bella del mondo, dopo le pasticche per la tosse” ma vedete da voi come tutto ciò non consenta un ritorno irriflessivo all’infanzia. Consentirà invece, eccome, un sorriso complice.
Questa è dunque una storia che contiene una favola che un adulto, cui il padre l’aveva letta da bambino, sceglierà di riscrivere, per narrarci, soprattutto, come e perché gli avvenne di volerla riscrivere. Ci narrerà la storia di questa riscrittura: con molte belle chiacchiere aggiunte su di sé, sulla sua vecchia maestra, sulla sua vita adulta di marito, padre e scrittore; con una manciatina, diciamo, di divagazioni del genere che caratterizza ogni buon, anzi ottimo, affabulatore.
Ed ecco il padre che gli legge quella storia, mentre, a dieci anni, si trova costretto a letto dai postumi di una brutta polmonite; ed ecco il bambino che si emoziona, fino a disperare, per la sorte del suo eroe, per poi riprendere a sperare, recuperando la dovuta certezza nel buon finale che dovrà – dovrebbe – render tutti per sempre felici e contenti.
Ed ecco il racconto di quella volta che, trovandosi lontano da casa nel giorno del decimo compleanno del proprio figlio, l’autore ha chiesto alla moglie di cercare quell’ormai introvabile libro di tale (alter ego dell’autore) S. Morgenstern, da regalare al ragazzino: il libro che aveva segnato la sua infanzia lontana e fatto di lui un lettore irriducibile.
Con un’avvertenza: “Digli che quando ritorno, la settimana prossima, gli chiedo quello che ha letto e che non è obbligato a farselo piacere, ma che se non gli piace mi sparo. Riferiscigli esattamente quello che ho detto. Non voglio fargli pressioni o roba del genere”
Senonché, il libro, finalmente trovato, si rivelerà molto diverso da quello che lui ricordava e il figlio gli dovrà confessare di trovarlo illeggibile; mentre il padre scoprirà che, in effetti, si trattava di un libro diversissimo da quello che lui ricordava.
Era un libro mortalmente noioso, infarcito di descrizioni sulla storia della casa regnante del Paese di Florin, dove le vicende si svolgono; paese di (fantasiosa) provenienza del nonno.
L’adulto William Goldman non ci aveva, dice, mai pensato prima: in effetti, egli non aveva mai letto quel libro; non in proprio, diciamo. Da lì in poi, aveva letto ogni libro di avventura disponibile. Ma non, mai, “La principessa sposa”. Ne aveva sempre richiesta la lettura al padre.
“Anche quando fui in grado di leggere da solo, il libro rimase suo. Non mi sarei mai sognato di aprirlo. Era la sua voce, il suono delle sue parole che io volevo. In seguito, persino dopo anni, qualche volta gli chiedevo: “Cosa ne dici del duello sul dirupo tra Inigo e l’uomo nero?” e mio padre, sbuffando e brontolando, prendeva il libro, si umettava il pollice per girare le pagine fino all’inizio della tenzone. (…) La principessa sposa apparteneva a mio padre.”
Che fare? Si rendeva necessario ripulire quel testo dalle incrostazioni che soffocavano la bella favola; avrebbe dovuto farla divenire una favola vera, capace di far sognare un bambino; trasformarla in una favola che risultasse bella comunque fossero andate le cose, perché le favole son tutte belle e finiscono sempre, tutte, bene, chi potrebbe dubitarne, e questa non avrebbe potuto far eccezione: senza dimenticare, tuttavia, che ogni buon finale sarà un finale diversamente colorato nelle diverse età della vita.
La storia, riscritta, diventerà così una “possibile” vera fiaba e, con altro titolo, una vera, bellissima fiaba nel film “La Storia Fantastica”, che in molti avranno certamente veduto.
(e inserisco, ora, qui, l’informazione per me inattesa: il film è stato trasmesso alla TV proprio ieri, giorno di Natale; e sta venendo riproposto oggi! e io me lo ero appena guardato, due giorni fa, su “Prime”, non avendolo in precedenza mai veduto!)
Vediamo dunque la storia – poca cosa, cercando di evitare uno spoiler spudorato anche se è quasi impossibile non farlo con una fiaba, la cui fine è necessaria e le cui vicende sono, a loro volta, più o meno previste.
Le cose, a grandi linee, stanno dunque così.
Buttercop è una bellissima ragazza, totalmente indifferente alla propria bellezza. Lei ama unicamente andare a cavallo e tormentare Westley, il suo garzone di stalla.
Westley è, a sua volta, un gran bel figliolo che lei tratta a suon di ordini perentori e di indifferenza – “fai questo, fai quello” – cui lui risponde sempre con la stessa frase: “Ai tuoi ordini!”
Accade quel che deve accadere e Buttercop, che si accorge di essere amata, finirà per ricambiare l’amore di Westley. E il loro sarà un “Vero Amore”, da favola, per l’appunto, di quelli che hanno la caratteristica del “per sempre”.
Come da regola, Westley partirà per far fortuna (altrimenti, vero amore o non vero amore, come avrebbe potuto sposarla?). Ma un brutto giorno giungerà notizia della sua morte in mare, a seguito di un assalto alla nave da parte del terribile pirata Roberts.
Compare nella storia il malvagio principe Humperdinck, che impone a Buttercup di sposarlo. E lei, disperata per la morte di Westley e certa che non amerà mai più nessuno, si rassegna.
Nel mentre, il perfido Conte Rugen tesse intrighi e assolderà, per conto del principe, un trio di malvagi per far rapire e uccidere Buttercop. Che, rapita, vedrà intervenire in sua difesa un uomo mascherato che: chi sarà?
Conosceremo il trio dei cattivi (ma non troppo):
Vizzini, il siciliano: “Tu vorresti rapire ciò che io legalmente rubai!”
Inigo Montoya, il più grande spadaccino esistente, di cui conosceremo la storia, che comprende il suo impegno a ritrovare lo sconosciuto che aveva ucciso suo padre, per vendicarne la morte: Inigo ha pronte le parole che dirà, al momento della sua vendetta:
“Mi nombre es Inigo Montoya. Tu hai ucciso mio padre. Preparati a morire”
E conosceremo Fezzik, il gigante tonto e buono (si fa per dire) la cui unica passione è parlare in rima.
Ora, un adulto come si deve sa bene che, nella realtà, ci sarà pure l’amore ma non tutto, sempre, luccica. E sa che, se in una fiaba tutto funziona comunque, e lascia tutti contenti, si dovrà pur tenere in qualche conto anche la realtà, vale a dire il fatto che no, la vita non è giusta, e perché mai dovrebbe esserlo?
Ma l’adulto sa pure che niente ci obbliga a rinunciare a una bella favola, che, a sua volta, potrebbe anche materializzarsi, e proprio per noi, proprio nella nostra vita: dopotutto, i pirati sono sempre esistiti, i malvagi pure e quelli delle fiabe, gli uni e gli altri, non sono mai stati i peggiori, anzi. Sognare non costa nulla e fa pure bene.
Si sorride, dentro questa favola; meglio, dentro i modi del racconto, scritto da un adulto per adulti, perché lo possano, poi, raccontare, tralasciando i dovuti dettagli, ai loro bambini; e poi perdersi, con loro, nella meraviglia.
Una storia avventurosa, dunque; e personaggi indimenticabili, tutti, o quasi, da amare – quasi, certo, perché i cattivi delle fiabe devono essere totalmente cattivi, altrimenti come potremmo amarli così tanto che, se non ci fossero, dovremmo inventarli, che è, per l’appunto, ciò che facciamo.
Così: se abbiamo bambini, e anche senza averli, ponendoci nella giusta condizione di spirito, il film è godibile. Ma il libro è altra cosa. E ci si resta anche un po’ male, qui e là, non dico di no. Che ci fanno quei rattoppi di realtà nel mezzo di una favola? Irritante! Davvero!
E tuttavia si ride. Perché è una storia scritta da un adulto, come tutti, mai del tutto cresciuto ma, sempre come tutti, ancorato alla realtà quel tanto che basta a prendere atto del valore delle pastiglie per la tosse. E capace di ironizzare e sorridere di sé e della vita, con noi.
William Goldman è stato anche un grande sceneggiatore (Misery non deve morire, Il maratoneta, Tutti gli uomini del Presidente…). Ma non lo conoscevo come scrittore e vorrei davvero leggere qualcos’altro di suo.