
Avevo scritto, poco tempo fa:
Accade quasi sempre che un libro parli di altri libri, che un personaggio ci dica del libro che sta leggendo, che le sue pagine contengano riferimenti. E sceglieremo un libro consigliato per questa via per continuarne la lettura, per ampliarla, entrando in altre pagine da cui, anche, è nato. (qui)
Ero rimasta, nell’ultima chiacchierata, a un libro di Carofiglio, un autore cui ricorro con una qualche frequenza, anche con riletture, quando desidero far due passi in compagnia. Scelgo, se possibile, un tempo notturno e, se vi ho incontrato per caso, di strada, l’avvocato Guerrieri, ecco l’occasione per due chiacchiere, gironzolando tra i vicoli di Bari vecchia, negli interstizi di una storia che si finge: Cosa? Un legal-thriller? Anche sì, ma non solo.
Si incontra gente diversa dentro quelle pagine, vagando per strade e luoghi, tra pensieri e occasionalmente una buona conversazione. Possibilmente durante una sosta all’Osteria del Caffellatte: la conoscete, credo.
Girovago, così, dentro libri già letti; che rileggo a spezzoni, parentesi estemporanee in un tempo indaffarato (a fare cosa, poi?), così come ci si ritrova a passeggiare con una cara amica, a “chiacchierare cose”, a conversare sul già detto; sulle cose che ci uniscono e che, come avviene per i matrimoni di lungo percorso, come avviene in ogni relazione importante, hanno/avrebbero bisogno di essere richiamate – sono sempre io? Sei sempre tu?
Cambiamo ogni giorno, in verità; e il bisogno continuo di riconoscerci, di guardare l’una/l’uno all’altra/all’altro, per confermarci il nostro essere in due, non è mai risolto. E sta proprio lì la possibilità di cambiare insieme; disvelandoci, prima che i cambiamenti non saputi diventino frattura; scoprendo nuovi interessi nella relazione, con la curiosità del pensiero che evolve, muta, si rinnova.
La mia progettata “disintossicazione” dalla lettura compulsiva (le mie ferie-progetto di questi giorni) passa, nel frattempo, attraverso pagine importanti, da leggere con cura e lentezza, accompagnate da pagine dentro le quali, per l’appunto, cercare compagnia, dialogo, amicizia; quella buona cosa che si chiama incontrarsi e che, oggi più che mai, manca.
In compagnia di Gianrico Carofiglio, dunque, e in procinto di cedere al sonno, mi sono trovata a confrontarmi con un racconto[i], tra quelli di “Non esiste saggezza” e con una “Intervista impossibile” tra l’autore e Tex Willer.
Eccolo, l’eroe dell’infanzia e della prima giovinezza di molti tra noi, il modello principe del maschile di un tempo, di un maschile che… lasciamo stare; che sarà stato necessario attraversare, immagino; quantomeno fino al momento in cui il dialogo, l’intervista, non aprirà quel certo tema. Di cui non si parla/non si parlava con i ragazzini.
Qualcosa non mi torna: a proposito di un modello del maschile, e di Tex Willer, dicevo. È stato anche <il mio> eroe di un tempo. Chissà dove e quando ho abbandonato quell’immagine di “Uomo” che, lo vedo solo ora, deve aver dialogato anche con me. Accidenti! Certo che, tra cazzotti e morti ammazzati! Per non dire di quell’assenza totale del femminile (Lilith, la moglie morta di Rex, era, per l’appunto, morta, e basta là; e che dire invece dell’amico Kit Carson, e di Tiger Jack; e del giovane Kit Willer. Mah! Erano anni così. Anni di silenzio.)
E com’è che Tex Willer continua a farmi simpatia? Alla mia età? Incredibile!
Poi avviene, rimestando nei vecchi bauli dei ricordi, tra cose scordate, anche un po’ rotte, simil-leggere, di inciampare su pepite di inatteso spessore, da incontrare così, in scioltezza.
L’intervista si svolge, un po’ aspra, segnata da un certo qual tono accusatorio da parte del nostro autore – e mi par bene – giungendo infine a una domanda, forse inopportuna, decisamente intrusiva, come peraltro avviene – come deve avvenire – in ogni intervista che si rispetti.
Tex cercherà di deviare la palla in angolo; in uno di quegli angoli dove, frugando, inciamperemo nella pepita d’oro puro. Ma poi:
WILLER: (dopo una pausa e un sospiro).
Lei sa cosa sono gli spazi tra le vignette?
(…) C’è tutta la vita che non è mai stata raccontata. Ci sono le vicende che non diventano storie – per scelta o più spesso per caso – e si perdono nei gorghi del tempo che passa. Ci sono le occasioni non colte, e cose che non vogliamo ricordare o che non vogliamo sapere di noi stessi e degli altri. Gli spazi fra le vignette sono il sottosuolo della nostra coscienza (…)
(…) Ci sono tante cose precipitate negli spazi fra le vignette.”
Ed eccolo, il racconto, se avete voglia di ascoltarlo:
Dentro la pagina di un libro ci sono gli spazi tra le righe, là dove ogni lettore precipita, e riscrive, e poi nuovamente riscrive, ad ogni lettura, il <suo> libro. E riscrive un po’ la propria vita, forse.
È strano come, nel dismettere le attività routinarie e dedicarsi ad un sano rallentamento dei nostri ritmi abituali, ci si trovi profondamente invischiati con cose che stavano proprio lì, dentro quegli spazi vuoti – spazi tra le righe – spazi tra le vignette; che neppure sappiamo mentre attraversiamo in corsa le nostre strade, tesi ad un obiettivo creduto necessario; di cui si finisce per scordare il cosa e il perché: accade veramente come nei matrimoni di lungo corso di cui è necessario, periodicamente, fare il tagliando…
Ed ecco, mi disperdo in chiacchiere.
Perché non riesco a scrivere, come vorrei, con frasi brevi, incisive? Senza deviare dal tema?
Non trovo modo. E so bene che “chiacchierare cose”, come ho scritto, è errore grave. So bene che il verbo è intransitivo; ma mi va bene così: in questi frangenti non si chiacchiera <di>, o <su> cose, che nulla importano; potremmo addirittura affermare che sono le cose a venir chiacchierate da noi. Se dobbiamo adeguarci a giorni francamente sballati anche le parole dovranno adeguarsi, e basta là.
Il fatto è che, impegnata a disintossicarmi da lettura e scrittura, cosa potevo fare, se non rifugiarmi in libreria? E alle bancarelle di vecchi libri di un inatteso mercatino?
Ora ho una bella, piccola (non troppo), pila di nuovi vecchi libri da leggere, di cui per ora non dirò.
Dovendo permanere in zona relax, proseguo a curiosare dentro le storie di Gianrico Carofiglio, rintraccio le molte indicazioni di lettura che l’uomo sparge tra le pagine, prestando i propri libri ai personaggi, con l’aggiunta di canzoni, di colonne sonore – tutte cose che causano interruzioni nella lettura: ed ecco inserirsi l’onnipresente smartphone che invita a interrompere per richiamare vecchie melodie, a indulgere in nuove scoperte libresche, a farsi trascinare fuori argomento, a percorrere sentieri laterali.
Saranno ricordi, luoghi, compagnie, accadimenti dimenticati. Cose leggere, cose pesanti. Rimergerà la memoria di quel libro un tempo amato; si verrà catturati da un libro sconosciuto, da un tema che chiama a sé; occorrerà appuntarselo.
George Perec, “Je me souviens”, Editore Fayard 2013: l’edizione italiana, (forse la sola, Bollati Boringhieri, “Mi ricordo”, Torino 1988) è al momento introvabile. Sarà sicuramente reperibile in biblioteca. Temo che cederò dell’acquisto dell’edizione francese – ma non ora. Mi accontenterò, per il momento, di proporvi una quarta di copertina, di mano dell’autore (abbiate pazienza, la traduzione è mia):
“Questi “Mi ricordo” non sono dei veri oggetti-ricordo, e soprattutto non oggetti-ricordo personali, sono pezzi di quotidianità, cose che, nel tale anno o in un altro, tutti quelli che avevano una certa età hanno visto, conosciuto, condiviso, e che poi sono spariti, sono stati dimenticati: non c’era motivo di ricordarli, non meritavano una parte nella Storia né di figurare tra le memorie degli uomini di Stato, degli alpinisti, dei mostri sacri. Capita tuttavia che si ripresentino, anni dopo, intatti, piccoli, per caso o avendoli ricercati una certa sera, tra amici: erano qualcosa che era stato imparato a scuola, poteva essere un campione, un cantante, una stella del cinema che ci aveva colpito, un ritornello che tutti canticchiavano, una rapina o una catastrofe che aveva tenuto i titoli del giornale, un best-seller, uno scandalo, uno slogan, un’abitudine, un modo di dire, un certo abito o un modo di portarlo, un gesto, o qualcosa di ancora più inconsistente, inessenziale, semplicemente banale, miracolosamente sottratto alla sua insignificanza, recuperato per la durata di un solo istante, capace tuttavia di suscitare, per pochi secondi, una piccola impalpabile nostalgia. G.P.”
Ditemi voi se non è irresistibile. E come controprova, ecco a voi un assaggio di cui, per ora, mi accontento; e che condivido
Perec è l’autore, anche e soprattutto, di “La vita, istruzioni per l’uso”, 1978, libro che Italo Calvino aveva definito “l’ultimo vero avvenimento nella storia del romanzo” (e io non l’ho mai letto!) e ora dovrei trattenermi anche dallo scaricarlo, di getto – e niente, non ce l’ho fatta; peggio ancora, ho ordinato il cartaceo, che avrò tra le mani già domattina.
La copertina è proprio come piace a me e pazienza se è un mattonazzo e se contraddice ogni mio buon, pure se temporaneo, proposito. Colpa di Gianrico Carofiglio.
Interessante autore, George Perec. Membro, con Italo Calvino, dell’OULIPO – Ouvroir de littérature potentielle (Laboratorio di letteratura potenziale), fondato da Raymond Queneau e da François Le Lionnais, un matematico.
Il Laboratorio è tutt’ora operante, leggo: dovrò curiosare.
Chiudo con un ultimo, per ora, incontro di un libro dentro un libro:
In “La regola dell’equilibrio” ci troveremo tra le mani “Aden Arabia”, di Paul Nizan, che basta l’incipit per innamorarsi:
“Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita.”
Credo di doverlo rileggere. Non che sia l’ideale per il buonumore ma consentirà di rovistare bene negli spazi tra le vignette, tra le righe. Dovrei trovarvi tante cose.
Mi fermo qui, ma mi piacerebbe costruirmi un mio catalogo dei libri che si trovano in altri libri – chissà che percorso nel percorso, che intrico di strade ne potrebbe uscire. Una mappa; ritratti; ad ognuno il suo, attraverso i libri che troverò, che ognuno troverebbe, tra le pagine dei <suoi> libri.
Ora torno al libro che sto leggendo, che sarà, spero, la prossima recensione:
Pier Vittorio Tondelli, “Camere separate”. Il suo ultimo libro.
[i] Gianrico Carofiglio, in: “Non esiste saggezza”. “Intervista a Tex Willer