Alleggeriamo (si fa per dire)

Camilla Cederna, “Camilla, la Cederna e le altre”, Bompiani 2021.

A cura di Irene Soavi

Per chi c’era, almeno negli anni centrali in cui Camilla Cederna scriveva, e per chi non c’era: una interessante raccolta di articoli, che coprono gli anni dal 1943 al 1992, tratti dalla rubrica “Il lato debole”, che la Cederna ha tenuto sull’Espresso dal 1956 al 1976 e da articoli pubblicati su altri quotidiani o periodici.

Nata nel 1911, ci ha lasciati nel 1997: milanese, figlia della borghesia imprenditoriale e culturale italiana, è stata a lungo una testimone della temperie sociale dell’Italia del dopoguerra, che ha descritto, dalla caduta del fascismo alla fine della Prima Repubblica, in chiave satirica, dal punto di vista del mondo femminile, dei suoi miti e dei suoi riti.

I suoi articoli l’hanno resa rapidamente una delle voci più note del giornalismo di costume italiano, molto apprezzata e, ovviamente, appassionatamente odiata da parte delle vittime della sua satira. Nei confronti della sua penna, impossibile l’indifferenza.

Dal 12 settembre del 1969, tuttavia, in seguito alla strage di Piazza Fontana, ha iniziato a seguire anche gli eventi della politica italiana; ed è stata la voce antagonista e appassionata della vicenda Pinelli, l’anarchico morto per essere precipitato – caduto per un malore-suicidatosi-ucciso? – dalla finestra della Questura di Milano mentre veniva interrogato come sospetto di strage. Camilla Cederna riteneva l’ipotesi di un suicidio, così come l’ipotesi di caduta per un malore, insostenibili.

Era il suo parere; era il parere di molti. La sola cosa importante è che, a tutt’oggi, se è certa, come lo è, l’innocenza di Giuseppe Pinelli (e di Pietro Valpreda) le circostanze della sua morte restano irrisolte.

Giuseppe Pinelli

Da quel momento, Camilla Cederna è stata una voce che si è levata alta nel giornalismo italiano, una voce appassionata, dalle certezze incrollabili, venendo esaltata dagli uni e accusata dagli altri finanche di esser stata la mandante morale dell’omicidio di cui rimase vittima il Commissario Luigi Calabresi che aveva condotto, con i suoi uomini, l’interrogatorio di Giuseppe Pinelli.

Da allora, Camilla Cederna ha mantenuto alta la sua attenzione per le vicende politiche italiane.

È stata una delle voci che hanno condotto, il 15 giugno 1978, poco dopo l’assassinio di Aldo Moro, alle dimissioni dalla carica del Presidente della Repubblica di Giovanni Leone, al tempo accusato di nefandezze varie e la cui innocenza è stata in seguito riconosciuta.

I casi della vita: potremmo dire che dobbiamo a Camilla Cederna, alla sua appassionata e talvolta incauta partigianeria, l’elezione del Presidente Sandro Pertini? Del Presidente che (comunque si voglia giudicare, politicamente, la Presidenza Leone) è stato, per gli italiani, e per riconoscimento unanime, un elemento di coesione e identificazione; che ha sostenuto con grande autorevolezza il contrasto al rischio eversione che l’Italia stava vivendo, in anni ben definiti dal titolo di un libro e di una serie di inchieste televisive del giornalista Sergio Zavoli: “La notte della Repubblica”.

Va detto, altresì, che Camilla Cederna fu in seguito condannata per calunnia nei confronti del Capo della Stato e un suo libro, Giovanni Leone: la carriera di un Presidente, ritirato dalle librerie, le copie residue distrutte.

Questa raccolta copre dunque, possiamo dire, l’intero arco di tempo della sua attività di giornalista, da quando, nel 1943, dopo la caduta di Mussolini e l’insediamento del Governo Badoglio, aveva pubblicato, non comprendendone bene il rischio, un ironico articolo di costume in cui sbertucciava le donne-fasciste impegnate, nella loro sgraziata e triste divisa, a quando, nel gennaio del ’92, scriverà un resoconto-ricordo di quel suo articolo, narrando l’arresto che ne era seguito.

Chiuderà quest’ultimo articolo con una frase che pone il sigillo definitivo sulla sua personalità. E se vi verrà voglia di leggere questo libro, non andate a spulciarne d’anticipo l’ultima riga; a meno che, a un certo punto, non desideriate lasciarlo; in quel caso, fatelo.

Nel mezzo, la storia della giovane Repubblica Italiana, non sempre emerita, per anni drammatica.

Gli articoli di “Il lato debole” avevano già avuto pubblicazione in volume; così pure molto di questa giornalista è reperibile (pure se, ormai, solo nel mercato dell’usato) dalla sua autobiografia “Il mondo di Camilla”, del 1980, ma questa nuova raccolta ha, dalla sua, un pregio: la selezione che ne ha compiuto la curatrice, Irene Soavi, fissando un obiettivo.

Irene Soave ha voluto, qui, comporre un ritratto, far conoscere, attraverso i suoi scritti, la giornalista e la persona – il carattere, la scrittura, la passione, le opinioni, al di là della condivisione delle stesse; mostrare la forza e l’irriducibilità di uno sguardo sagace e coraggioso, da giornalista di razza, sul mondo in cui viveva; in un tempo che la storia giudicherà ma sul quale un’ultima parola è ben lungi dall’essere stata scritta.

Non è, dunque, un libro che riepiloga la storia di quegli anni. È, per certi versi, un libro “partigiano di lei” – e va pure bene, nella misura in cui è ciò che voleva essere, come la curatrice, Irene Soave illustra efficacemente nella Introduzione dove ripercorre gli eventi che hanno segnato il suo giornalismo.

In venti pagine, la curatrice riepiloga la storia di vita e professionale della Cederna, dalle accuse al Presidente Leone di essere una persona inadatta al proprio ruolo per “lo stile politico cafone” forse prima ancora che per i sospetti, poi caduti, di una sua compromissione  nello scandalo delle tangenti Lockeed  (ed è normale che, oggi, chi non c’era, neppure sappia di cosa si è trattato) così come per gli articoli sulla morte dell’editore Giangiacomo Feltrinelli e gli scambi di, vogliamo dire insulti, con il collega Montanelli.

In proposito, la curatrice invita, infatti, a leggere la sua autobiografia-intervista condotta dalla collega Grazia Cerchi. Per parte sua, invece, selezionerà, in ordine cronologico, gli articoli che, a suo parere, possono metterne a fuoco la personalità, e l’obiettivo professionale che dichiarava appartenerle: “trattare con serietà le cose frivole e con leggerezza le cose gravi”.

Peccato che, su questo, Cederna si contraddicesse, rivendicando con grande passione il dovere di sapersi indignare:

“Bisogna vivere sempre indignati, diceva Zola, e nel mio piccolo, con tutti i guai annessi, l’indignazione è stata la mia molla costante: guai a chi perde la capacità di indignarsi, ho sempre pensato, quindi non ho mai rinunciato a quella che considero una forma di giovinezza (interna, s’intende). E così ho scandalizzato i benpensanti, cioè quelli che vivono nel chiuso di poche idee sbagliate”[i] 

La curatrice ha dunque selezionato, per questo ritratto, alcuni articoli che riassumono il periodo 1943 – 1956; e che già mostravano la voce che Camilla Cederna manterrà lungo tutta la vita. Faranno seguito articoli di costume, satira al e sul femminile.

Nel mezzo, solo, spicca  un articolo pesante come una intera storia – titolo: “Una notte in Questura”.

Camilla Cederna narra la notte del 15 dicembre 1969 quando, con i colleghi Corrado Stajano e Gianpaolo Pansa, correrà all’Ospedale Fatebenefratelli a conoscere  la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli.

Quel giorno, nel Duomo di Milano, c’era stato il funerale delle vittime della Banca dell’Agricoltura. Poi, l’articolo da scrivere, ricordare nei dettagli l’orrore. Giornata difficile.

Il sonno non veniva, quando i colleghi avevano suonato per dirle dai, vieni, svelta, un uomo si è buttato dalla finestra della Questura (…).

In realtà, non sono tutti e solo articoli di satira; ci sono eccezioni: per ricordare la madre, Ersilia; per un ricordo riverente e empatico di Maria Callas, in occasione della sua morte; per, ancora, un articolo-ricordo in morte di Brunella Gasperini; articoli per i quali non credo si possa utilizzare il solo nomignolo irriverente di “coccodrilli”; mentre sicuramente lo era la sua capacità di conoscere le persone, la capacità di provare e esprimere stima e amicizia. E di scriverne. Anche d’anticipo, certo: anche “coccodrilli”, per l’appunto.

Una panoramica, dunque, per farci conoscere la giornalista forse più osannata e più insultata d’Italia. E, ancora forse, per indurci a rivedere, o a conoscere, un tempo difficile che ha segnato la storia d’Italia ma ha anche veduto operare personalità, e cittadini, capaci di fronteggiare e difendere la nostra democrazia.

Il tutto, senza che le pagine a firma Camilla Cederna mostrassero contraddizione alcuna tra lo sguardo pesantemente ironico, talvolta fino a più che sfiorare la “cattiveria” nello staffilare un certo mondo femminile, e il mostrare nel contempo la forza che, al di sotto della levità di molti suoi articoli, quella giovane nascente democrazia, e anche quelle donne, sapevano esercitare per crescere, per aprire spazi alla propria vita.

Camilla Cederna ha rappresentato (staffilato, dileggiato, con un sottofondo di appartenenza in cui, forse, occorrerebbe scavare) il mondo dell’aspirazione femminile all’ascesa sociale; ne ha descritto i manierismi, le mode, le frequentazioni, le strategie di accesso ai salotti “importanti”; e i modi delle cadute rovinose, dopo aver tanto arrancato.

Brunella Gasparini

Una borghesia in ascesa vedeva il boom economico aperto dinnanzi a sé, la scalata sociale a portata di mano, a dire il vero proprio là dove la moglie, con la sua cura delle relazioni, del voler appartenere, sapeva rendersi utile. Salvo qualche tonfo. Qualche disfatta. Per non dire di qualche deragliamento dal sacro vincolo.

Pagine leggere ma non troppo, non del tutto; in effetti per nulla. Pagine che, allora, erano impossibili da NON leggere, soprattutto da parte delle vittime. A dire il vero, poteva essere perdente non apparire, in quei suoi articoli.

A ben vedere, sarebbe stato difficile collocare quegli articoli settimanali al di fuori di una lettura, in senso proprio, politica.

Non a caso, da quella notte del 15 dicembre 1969, tutto è cambiato; e, insieme, la voce di Camilla Cederna è rimasta la stessa. Si trattava, inequivocabilmente, dello stesso mondo. E della stessa penna.


[i] Articolo, 5 aprile 1989,  Corriere della sera: “L’indignazione sentimentale”