Grace Paley, “volevo scrivere una poesia, invece ho fatto una torta”, edizioni SUR Gennaio 2022
Prefazione di Paolo Cognetti. Traduzione di Paolo Cognetti e Isabella Zani
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LA SPORADICA ALTERNATIVA DELLA POETESSA
Volevo scrivere una poesia, invece ho fatto una torta ci ho messo / più o meno lo stesso tempo / ovvio la torta era una stesura / definitiva una poesia avrebbe richiesto / un pochino di più giorni e settimane e / parecchia carta straccia
la torta aveva già un suo / pubblico vociante e capriolante tra / camioncini e un’autobotte dei pompieri sul / pavimento della cucina
questa torta piacerà a tutti / ci saranno dentro mele e mirtilli / e albicocche secche molti amici / diranno e perché diavolo / ne hai fatto una sola
questo con le poesie non capita
per via di irriferibili / tristezze ho deciso / stamattina di accontentarmi dei / miei voraci avventori non voglio / aspettare una settimana un anno una / generazione perché si presenti / il cliente giusto
Periodicamente, io mi sento costretta a rifocillarmi nell’incontro con Grace Paley – chi altri, se non, necessariamente, una donna che aveva ben già detto, con il suo stile assertivo e determinato:
È responsabilità del mondo lasciare che il poeta sia poeta
È responsabilità del poeta essere donna (qui)
E ora questa – ultima? – raccolta, postuma, pubblicata dalle Edizioni SUR ad inaugurare il gennaio di questo 2022 con un misto di pezzi per lo più inediti in Italia, dopo avermi fatto compagnia chiede di essere condivisa.
Sarà stata mai capace, Grace Paley, di coniugare per sé, oltre che per altri, per noi, poesia e un sentimento buono della vita – dell’amore, dell’amicizia (che è la stessa cosa), per non dire dell’impegno politico, che a sua volta, ben inteso, è amore: lei, “femminista che amava gli uomini”, come disse di lei Paolo Cognetti.
La responsabilità del poeta, di “essere donna”, fa sì che tutto il vivere debba essere assolto, sia o non sia facile, gratificante o molto, talvolta troppo faticoso – la cura dei figli, della casa e del piccolo mondo in cui viviamo i nostri giorni e le nostre vicinanze; le cose da fare, possibilmente non scordando una torta – “e perché diavolo ne hai fatta una sola” – e il grande mondo dove ci sono altre cose da fare e con cui dovremmo scambiare poesie: perché ci si possa ascoltare, e conoscere, e condividere, e assolvere la bellezza così come la fatica e, certo, anche il dolore – come potremmo evitarlo.
Ma com’è – e deve aver a che fare con l’essere donna proprio del fare poesia – che anche il dolore in Grace Paley è, quasi sempre, quello altrui – con il proprio nascosto tra le righe, sommesso, giusto per dire sto con voi e vi dico di qualcosa che conoscete bene.
Ha avuto una vita facile Grace Goodside (1922 – 2007)?; terza figlia di un medico ebreo emigrato dall’Ucraina negli U.S.A. con la moglie. Probabilmente no.
Nata a New York dove ha vissuto la maggior parte della sua vita, per concluderla a Thetford, un paesino del Vermont, impegnatissima nei confronti delle vite che la circondavano, con donne e uomini; nelle battaglie per i diritti, delle donne e di tutti.
Ed ecco, non sono io a poter dire che la sua è grande poesia – pure se non manca, se così vogliamo dire, l’alto riconoscimento “ufficiale”. Non occorre la mia voce per dire la forza della sua prosa, nella forma racconto che – e mi ripeto con profonda determinazione – è ancora e sempre poesia: sempre di ciò si tratta, di quella musicalità interna, di quel transitare diretto della parola all’ascolto personale, unico, per ognuno.
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COME RACCONTARE UNA STORIA (IL MIO METODO) (QUASI SEMPRE)
E adesso prosa
Trovare il paragrafo che / tenga ferma la poesia / per sei e otto pagine /
la narratrice aspetta / la voce la gola / è ancora chiusa aiuto / aiuto griderebbe se potesse
forse è terrorizzata da / quelle arti l’invenzione e la / memoria il calore della solitudine
qualè la sua lingua? provare a / radunare i bisbigli di / sua madre? il modo che ha suo padre / di innalzare una frase / e poi tacitarla? quale / tra gli anni del mondo li ha resi liberi / di rivolgere la parola agli estranei? e / perché ridono?
speriamo non si perda la poesia / nel racconto del giorno per / giorno perché il soggetto / è il tempo il luogo è solo / la pagina la storia è ancora / un rompicapo la narratrice / sa perché
Personaggi? Trame? Quando mai! impossibile se, in ogni storia, in ogni sequenza di versi, una voce, una storia, diverrà quella di ognuno che legga, che la farà propria, unica.
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TRA I PIÙ DOLCI DOLORI DELL’ETÀ
Le ho chiesto / questo è successo prima che ti trasferissi a New York o / subito dopo che hai affittato la casa quella che / una volta era una rimessa era propria carina alla fine o / è stato dopo quando hai trovato quella vecchia / colonica / lontanissima dal paese sulla strada sterrata quand’è stato…
Lei ha risposto / perché parli così sono tutti smemorati / cosa cerchi di dimostrare
cara ragazza io STO invecchiando
oh mamma mamma…
Una voce unica, nella poesia: voce forte, serena, voce che dice speranza, e caparbietà di vivere le difficoltà dei giorni. Che dice legame, amicizia, per uomini piante e bestie.
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CAMMINANDO NEL BOSCO
È stato allora che ho visto il vecchio acero / un paio delle sue spesse braccia spezzate / un braccio reclinato mezzo marcio / nel terreno nero della deliziosa / ospitalità del marciume verso / le più piccole creature
l’albero non stava davvero morendo viveva / meno ampiamente a testa alta e verde / sopra il folto fogliame degli altri / alberi un tremendo slancio verso il sole / solo per sopravvivere ma se ti è / piaciuta la vita lo fai
Una voce che dice il passaggio e il legame tra i tempi della nostra vita e le generazioni – amicizie, amori, corpi che si incontrano, il bambino e il tuo vecchio uomo, o donna che sia; carne e piacere del vivere, comunque vadano le cose. In cui mettere impegno, e fatica; allegria e appartenenza.
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QUI
Eccomi qua in giardino a ridere / una vecchia coi seni pesanti / e il viso gradevolmente segnato
com’è potuto succedere / o be’ è quello che volevo essere
finalmente una donna / vecchio stampo seduta / cosce robuste aperte sotto / una gonna ampia nipotino che mi scivola / su e giù dal grembo piacevole / sudore estivo
quello laggiù in fondo è mio marito / sta parlando col tipo del contatore / gli racconta la triste storia del mondo / che l’elettricità è petrolio oppure uranio / e così via io dico a mio nipote / vai corri dal nonno e chiedigli / di sedersi un momento accanto a me che / di colpo sono sfinita dalla voglia / di baciarlo sulle dolci labbra saccenti
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Qui, una interessante intervista a Grace Paley, pubblicata sul sito della CE SUR