“E uccisero un uomo e discussero tra loro” (Corano, Sura della Vacca, 72)

il mio nome è rosso_recensioneOrhan Pamuk, Il mio nome è rosso, Einaudi 2005

E uccisero un uomo e discussero tra loro. (Corano, Sura della Vacca, 72)

E non sono uguali il cieco e il veggente (Corano, Sura del Creatore, 19)

Ad Allah appartengono l’Oriente e l’Occidente (Corano, Sura della Vacca, 115)

Le tre citazioni dal Corano poste in esergo con cui si apre il racconto di Pamuk costituiscono una sintesi esemplare della storia che viene narrata. Istanbul, anno 1591, regna il sultano Murat III, che commissiona un libro miniato al maestro miniaturista Zio Effendi, con l’incarico di lavorarvi in segreto. Il libro avrebbe dovuto contenere il ritratto del Sultano.

Il racconto si apre con la voce di Raffinato Effendi, il doratore, assassinato, che racconta il proprio omicidio, ad opera di un miniaturista di cui non viene fatto il nome. Viene aperto il tema del movente: Raffinato Effendi voleva denunciare l’opera richiesta dal Sultano in quanto in difformità dai principi islamici per i quali è proibito ritrarre o disegnare esseri viventi: ma si tratta di un divieto incerto, le opinioni non sono univoche.

Nel gruppo dei miniaturisti, che trascorrono la vita ad istoriare libri e dibattono sul necessario rispetto dei canoni rappresentativi tramandati dai grandi maestri, è presente il tema della cecità che colpisce il maestro dopo anni di lavoro a miniare disegni dove ogni soggetto – cavallo, albero, fiore, persona umana – è richiesto di essere un archetipo, l’idea platonica del soggetto, come è nella mente di Allah: infatti, se fosse rappresentato nella sua singolarità, ciò confliggerebbe con i dettami della religione. E la cecità è vista come il momento supremo del vedere, ogni singolo disegno essendo, nella sua perfezione, nella mente del Maestro.

Zio Effendi ha una figlia, bellissima, di cui era innamorato da ragazzo Nero, un calligrafo suo nipote che, ritornando a Istanbul dopo un’assenza di dodici anni, ritrova il suo amore nella condizione di donna sposata, con due figli, il cui marito è scomparso in guerra e di lui non si sa se ritornerà. C’è la storia di un amore che rinasce.

Ci sono i miniaturisti di Maestro Osman, che vanno la sera, di nascosto, a lavorare al libro richiesto dal Sultano e a dibattere sulla richiesta, che Zio Effendi tiene parzialmente segreta, di inserire nel libro il ritratto del sultano stesso, dipinto secondo i canoni occidentali: un ritratto consente a chiunque, anche dopo la morte, di venir conosciuto; ciò equivale a cercare l’immortalità e questo offende Allah. Inoltre, il disegno, non più inteso come infinita replicazione dello stesso soggetto così come gli antichi maestri l’avevano rappresentato, farà sì che si possa individuare l’autore del disegno stesso: si apre il tema dello ‘stile’ che differenzierebbe un miniaturista da un altro, rendendo la sua opera unica, identificabile. Ma “Quello che chiamano stile è solo un errore che consente di lasciare un segno personale”

E i miniaturisti (Cicogna, Oliva e Farfalla, come li aveva soprannominati Maestro Osman), colleghi dell’assassinato Raffinato Effendi, il doratore, tra i quali c’è l’assassino, mostrano le loro diverse personalità nel racconto di Zio Effendi e di Maestro Osman, e nel racconto che ognuno di loro fa degli altri.

C’è la vita della casa, la vita delle donne, ci sono gli intrecci amorosi, con lo scambio di lettere per il tramite di una donna ebrea, Esther, commerciante di corredi che, per mezzo del suo commercio, entra nelle case e nelle vite delle donne. C’è l’amore.

Il libro è organizzato in cinquantanove capitoli, in ognuno dei quali parla uno dei personaggi, compreso l’assassino senza nome; ma parlano anche il colore rosso, il cane disegnato che il cantastorie mostra come illustrazione della storia che racconta, il disegno dell’albero.

Ogni capitolo è un racconto a sé. In ognuno c’è la necessità di una lettura lenta, in ascolto. Ma il libro è lungo 450 pagine, che alla lettura sembrano, sia pur godibilmente, molte di più. La scrittura è accattivante, scorrevole, ma richiede attenzione, richiede pensiero, l’accesso ad un tempo e a una cultura diversi mentre la storia accosta universali appartenenti a ogni tempo e a ogni gente.

Come fare? A mio parere, questo è un libro che non va semplicemente letto, va ‘abitato’. Ogni personaggio a sé, ogni capitolo a sé, nella lentezza e nella rilettura. Una scorta di lettura piacevole, di frequentazione e di conoscenza. Chi è l’assassino? Come in ogni noir che si rispetti, lo si saprà alla fine, ma soprattutto, a ben vedere, importa poco.

Assolutamente da leggere.