Devo dire la verità, ultimamente mi pare di aver consigliato alcuni libri, se possiamo dire così, un po’ impegnativi. D’altra parte, novembre è il tempo giusto, non siamo precisamente in spiaggia, sotto l’ombrellone, alle prese con una lettura che deve tener conto della pallonata che arriva e del chiacchiericcio che ci circonda. Mi chiedo se non dovrei alleggerire un po’ le mie proposte. E dunque, mi chiedo, che fare?
Ora non ridete, ma mentre le dita scrivevano la domanda, la stessa è diventata un libro (quasi inevitabile, dato il titolo). Chi lo ricorda? No, non Lenin, no, chi lo ha preceduto, il buon infelice Gavrilovič Černyševskij (1828 – 1889) del romanzo “Che fare?”
Non lo avete mai letto? Quasi probabile, ma chi lo ha letto, se lo ha letto in un certo tempo ormai lontano, e da giovane, sa di una grande emozione per un libro che non entrerà mai tra i grandi della letteratura, anzi, diciamolo, non è un esempio di grande scrittura e che tuttavia, scritto in un carcere russo dell’800 e per le idee sulla libertà femminile che proponeva, resta un’opera importante.
La letteratura femminista, che giustamente prende in considerazione le grandi autrici ‘donne’ sul tema e, giusto per non essere discriminanti, la sola presenza maschile del buon vecchio John Stuart Mill di “Sulla servitù delle donne” (breve, essenziale, bellissimo e, purtroppo, attuale), non mi pare lo prenda in considerazione: d’accordo, non è una grande opera d’arte ma è un importante pezzo di storia.
E no, non lo recensirò mai, occorre anche vedere se si trova ancora – ora controllo – fatto – quantomeno in Kindle c’è – 0,89 centesimi.
Non recensirlo non impedisce di parlarne. E’ davvero un libro che val la pena leggere; in particolare oggi che ci siamo lasciati alle spalle l’esperienza del ‘comunismo reale’ ma pochi hanno ancora memoria del fatto che il vecchio Marx, e lo stesso Lenin, non venivano dal nulla, che ci sono stati altri scritti, di contemporanei, e prima di loro; e che nella Russia zarista si muovevano cose, e che – non solo là – c’era una storia sociale, oltre alle storia ‘politica’ di cui forse qualcosa impariamo a scuola, così, tanto per esser certi che venga ben nascosta la vita delle popolazioni ricoprendola di case regnanti, matrimoni dinastici, trattati “di pace”, e naturalmente guerre, anche quelle, dei generali, mai della truppa.
C’è, naturalmente anche il “Che fare?” di Vladimir Il’ič Ul’janov detto Lenin (1870 – 1924) che in omaggio al libro di Černyševskij (a lui era molto piaciuto), ha dato questo titolo a un proprio scritto: e Lenin, al di là di opinioni politiche oggi fuori tempo massimo, è stato un uomo la cui vita e la cui storia dovrebbero interessare molto, per necessità di conoscere e capire.
In compenso, di Lenin non è reperibile alcuna biografia (se mi sbaglio, correggetemi). Ed è strano a pensarci, un buco importante in campo storico, non foss’altro perché questo lascia un personaggio, e avvenimenti che della storia del novecento costituiscono una parte importante, alla cronaca e all’ideologia, impedendo una conoscenza e una lettura fornite della giusta distanza.
Ad esempio – faccio una capriola: mai letta “La Regina Vittoria” del quasi coetaneo di Lenin, e altrettanto morto precocemente, Lytton Strachey (1880 – 1932)? Una grande biografia, e una bellissima e godibilissima lettura. La raccomando di cuore.
Come sono finita qui? Da Gramsci, certo, di cui ho appena scritto, ed è ancora nella mia testa. Perché è così, ogni libro letto, ogni autore, apre lo sguardo alla costellazione di riferimenti entro cui lo stesso si muove, al periodo storico che lo riguarda, e porta a domande e interessi, nuovi o che si riaccendono. Questo avviene soprattutto per gli autori che diciamo ‘classici’, intendendo con questo termine quegli autori che sono sopravvissuti al loro tempo, e la cui lettura – parlo soprattutto dei narratori – sarebbe essenziale allo studio della storia: perché, nelle nostre (e altrui?) scuole non la si insegna facendo leggere romanzi d’epoca? Cosa significa ‘studiare’ a scuola la prima e la seconda rivoluzione industriale se non si legge Charles Dickens? Leggerlo è definitivo per la nostra mente e il nostro cuore, e ‘rivoluzione industriale’ diventeranno parole di carne e sangue, specialmente se si tratterà di una lettura ben accompagnata.
Per tornare all’oggi e ai miei programmi. Sono costretta ad un’altra capriola. Ora recupero e mi sposto.
Ho letto “La fine del mondo e il paese delle meraviglie” di Murakami. Non so se qui finirà la mia frequentazione del Giappone, ma credo di no, si è aperta una breccia, pur nella conferma (per me) di una percezione di distanza che neppure il contesto fantasy di questo libro può nascondere. Probabilmente, in un prossimo futuro, leggerò qualcos’altro di questo stesso autore. Poi si vedrà. Ne scriverò nel prossimo post.
Ultimo improvviso pensiero: ecco, forse non si tratta, o non solo, di ‘alterità’ della cultura giapponese, forse si tratta solo di banale ignoranza (la mia).
Torna il tema della storia. Vedi un po’ che non ero del tutto fuori tema (o almeno riesco a rientrarci, con un po’ di sforzo): non so quasi nulla del Giappone, non sono in grado di collocare in un tempo e in una società i suoi autori, e questo fa la differenza. Fa l’impossibilità di vedere e di capire.
Chiudo: per il prossimo futuro cercherò di tener conto, anche per me stessa, del fatto che ci si avvia al periodo natalizio. Non è la spiaggia ma dovrebbe essere un periodo di buoni sentimenti e dopotutto leggerezza e qualità stanno bene insieme. Non so se ci riuscirò. Già l’intenzione è mezzo risultato.