José Saramago, “”Le intermittenze della morte”, Feltrinelli 2005 – Traduzione di Rita Desti
In esergo:
Pensa per esempio di più alla morte, – e sarebbe in effetti singolare se tu, in questo modo, non dovessi apprendere nuove rappresentazioni, nuovi ambiti della lingua.
(Ludwig Wittgenstein, Diari 1936 – 1937)
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Incipit:
“Il giorno seguente non morì nessuno. Il fatto, poiché assolutamente contrario alle norme della vita, causò negli spiriti un enorme turbamento, cosa del tutto giustificata, ci basterà ricordare che non si riscontrava notizia nei quaranta volumi della storia universale, sia pur che si trattasse di un solo caso per campione, che fosse mai occorso un fenomeno simile, che trascorresse un giorno intero, con tutte le sue prodighe ventiquattr’ore, fra diurne e notturne, mattutine e vespertine, senza che fosse intervenuto un decesso per malattia, una caduta mortale, un suicidio condotto a buon fine, niente di niente, zero spaccato”
Excipit:
“Il giorno seguente non morì nessuno.”
E NO, NON È UNO SPOILER! Non ho rivelato come il tutto andrà a finire, dato che ciò è già rivelato nel titolo; dato che, parlando di “intermittenze”, l’autore ci porta a subodorare una circolarità di qualche tipo, non necessariamente data e tuttavia possibile.
Nel mezzo, una storia, fantastica come lo è la quotidianità. Con qualcosa di più.
Nessuno, in effetti, sa mai quanto possa essere esteso il regno del possibile.
La vita, nei suoi vasti e diversi campi, presenta alquante complessità – chiedere al Governo, alle Società di Assicurazioni, alle Imprese di Pompe Funebri, ai responsabili dei servizi di assistenza agli anziani, ai lavoratori dei servizi; e che dire degli affiliati alle organizzazioni mafiose; e, per farla corta, chiedere ai cittadini o ai sudditi di un Paese qualunque, chiedere alle famiglie, su cui poi ogni problema, sociale od economico che sia, finisce per ricadere.
L’importante – il suggerimento che il titolo nasconde, dentro un ti vedo e non ti vedo – sta nel mezzo, tra nascita e morte: si chiama vita.
In quel giorno l’entusiasmo fu esplosivo – nel Paese si era avverato il sogno universale: vivere in eterno!
Un sogno! IL Sogno! (Ma poi. Sogno o incubo?)
Di certo, nel Paese era accaduto qualcosa che avrebbe dato luogo a infiniti problemi pratici, organizzativi.
Prima tra tutti la Chiesa chiese conto al Governo della sua blasfemia: niente morte, equivale a dire che non ci sarà bisogno alcuno di credere in una resurrezione e con ciò ecco servita la FINE DI OGNI RELIGIONE (e ti pareva che, quel simpatico miscredente di Saramago, per quanto perso nelle sue fantasie, non ne approfittava! Quando gli sarebbe ricapitato!)
Occorreva invitare il popolo a pregare – sia fatta la volontà di Dio! Nessuno osi indagare i Suoi Scopi (le maiuscole, per chiarezza, sono mie: Saramago non le usa) nel mettere il suo popolo a questa dura prova!
E le Case di riposo per anziani? Cosa accadrà? Perché pare, anzi, in breve tempo è lapalissiano, che la fine della morte non equivalga ad una eterna giovinezza; e ognuno invecchierà e invecchierà, sempre più decadendo, rattrappito, povere ossa fragili pelle accartocciata pensiero svanito, senza poter morire e…
… i vecchi si accumulavano e chi dava assistenza ai vecchi sarebbe invecchiato e infine…
Ma insomma, un rimedio si sarebbe dovuto trovare, per ogni aspetto del problema. Si trattava solo di affrontarne un aspetto per volta: a questo serve il Governo di un Paese che, peraltro, pareva trovarsi a governare il solo Paese in cui tutto ciò accadeva e dunque…
Saramago ci tratterrà a lungo in un flusso di pensiero, a scomporre problemi che, quando credi di averli risolti, te li ritrovi di fronte in altra forma – e poi, si sa, la gente fa conto sul Governo, attende indicazioni. Sempre!
Ognuno, tuttavia, si impegna a trovare piccole soluzioni individuali; che diventeranno una soluzione fiume; che il Governo si intesterà, dando luogo alla creazione di altri problemi….
E che dire degli aspetti filosofici che il fatto – quel fatto, che avveniva, era avvenuto, in quel Paese – poneva.
La Chiesa invitava a pregare e a non meravigliarsi perché quando mai si era dovuta meravigliare di alcunché o era stata richiesta di spiegare qualcosa?
Forte di venti secoli di miracoli, la Chiesa parlò di una “morte rinviata” senonché qualcuno chiese come aveva saputo, la Chiesa, di questa “morte rinviata”? E poi la morte di chi? Era all’evidenza di ognuno che era stata cancellata – o rinviata? – la morte dei soli umani, in un solo luogo. E dunque?
Eravamo di fronte alla sparizione della Morte o di una sola morte? E quante sono le morti? Domanda altamente filosofica, che dunque sarebbe rimasta senza risposta se non fosse arrivata la domanda economica a chiudere il dibattito: come si sarebbe potuto far fronte al pagamento delle pensioni a milioni di persone; cui si sarebbero aggiunti, via via, altri milioni?
“Fu necessario che i filosofi e astratti vari vagassero ormai persi nella foresta delle proprie elucubrazioni sul quasi e sullo zero, che è il modo plebeo di dire l’essere e il nulla, perché il senso comune si presentasse prosaicamente, impugnando carta e matita a dimostrare che con a + b + c c’erano questioni ben più urgenti cui pensare.”
Difficile dire che si ride, dentro queste pagine dalla scrittura ininterrotta, come lo è il pensiero quando si fa ossessivo e niente può distoglierlo da un tema, da un quesito, da una domanda, da un incubo; quando, certamente, la soluzione è semplice; basterà, come si dice, ricordare che a tutto c’è soluzione e dunque, mentre i vecchi non muoiono e la processione rallenta e un’accozzaglia di non-cadaveri non-tumulabili si ammassa e…
Si ride – si attende, diciamo, il riso che verrà, che qua e là si lascia intravedere; catturati, nel frattempo, da ogni riga da ogni pagina perché – quando mai ci eravamo accorti di quante parti e intrecci e concause e regole e trucchi e domande e risposte compongano la nostra vita ordinaria, quella di ogni giorno in cui non accade mai nulla; e quando poi accade, per l’appunto, un nulla di più tutto si complica, o rivela la complessità non saputa, vai a sapere.
Si ghigna, sicuramente; ma c’è, là sotto, un qualcosa che odora di affetto, intriso di comprensione per questa cosa che tutti noi siamo, anche per quelli che, a ben vedere, non ci facilitano la vita, oppure sì, in certi casi, di necessità, occorre aver a che fare anche con…
E le Società di Assicurazione? E la Mafia?
Pure, se non possiamo dire che, dentro le pagine di Saramago – proprio proprio – ci si diverta, si tratta di pagine che non si fanno lasciare perché, e va bene, confessiamolo, non si dovrebbe ma sì: un po’ si ride davvero; un po’ si condivide; un po’ c’è l’ansia che cresce cala cresce e, quella pagina, non la puoi davvero lasciare.
Tra un sorriso-smorfia e l’altro il tema si mostra, i contorni si definiscono; tra il ti vedo e non ti vedo, scherzo ma anche no, e c’è poco da scherzare, e sicuramente non c’è nessuno che possa chiamarsi fuori e…chissà come dev’essere leggere queste pagine a vent’anni invece di leggerle a…metti caso si trattasse dell’ultimo libro che leggerò? E dopotutto, per quanto mi riguarda, non avrei potuto leggerlo a vent’anni, non era ancora stato scritto e Saramago stesso, dopotutto, lo ha scritto non sapendo dei cinque anni ancora che aveva dinnanzi a sé e…un sentimento curioso.
Per di più, proprio quando (a metà percorso?) si sta pensando che, e dài, abbiamo capito, ma come se ne esce, dove andrà a parare quest’uomo che ci strattona i nervi e ci trattiene, impastoiati dentro un flusso di pensiero che anche diverte, certo, ma anche no – proprio allora: ecco, una storia prende abbrivio; una storia veduta dall’altra parte. Una storia fantastica.
Accade che morte (non è un refuso, niente maiuscola, niente a che fare con Morte: è qualcosa di diverso livello, bisogna capire bene, anche le morti non sono una, e ognuna avrà una sua storia e qui si sta parlando di <questa> morte, che poi, bisognerà capire anche lei, alle prese con la sua filosofia e le sue burocrazie, niente è mai facile per nessuno, se non, forse…ma sì…
…per un violoncellista, che ha per compagno un cane, e suona in un’orchestra e – che bella storia, quando accade che… )
…morte, dicevo, si trova a dover affrontare un problema.
E no. Nessuno spoiler, dicevo. E tuttavia:
“La falce aveva sentito dire che poteva accadere (…) ma pensava si trattasse di una storia, di un mito, di una leggenda come tante e tante altre, la fenice rinata dalle proprie ceneri, per esempio, l’uomo della luna che trasporta una fascio di legna sulle spalle perché ha lavorato in un giorno santo, il barone di münchausen che, tirandosi per i capelli, si salvò dal morire affogato in un pantano insieme al cavallo che montava, il dracula della transilvania che per quanto lo ammazzino non muore, a meno che non gli piantino un paletto nel cuore, e c’è comunque chi ne dubita, la famosa pietra, nell’antica irlanda, che urlava quando la toccava il vero re, la fonte dell’epiro che spegneva le torce accese e infiammava quelle spente, le donne che lasciavano scorrere il sangue delle mestruazioni sui campi coltivati per aumentare la fertilità della semina, le formiche grandi quanto i cani e i cani grandi quanto formiche, la resurrezione al terzo giorno perché non era stato possibile il secondo.”
Sarà desolante veder finire una storia tanto bella, una storia che non può finire. E non la voglio lasciare questa storia. Proprio no. Non può capitare di doverla lasciare, una storia così.
Una storia d’amore. Una storia tanto dolce. Bella.
Le storie d’amore lo sono sempre.
Soprattutto, le storie, per fortuna, non finiscono, mai. E, quando sono proprio belle, una musica le accompagna.