Peter Cameron, “Paura della matematica”, Adelphi 2008
Sette racconti di un autore che, avendo iniziato con il racconto il proprio percorso artistico, è giunto al meritato vero successo con il romanzo, in particolare con “Quella sera dorata” (2002, film 2009) e con “Un giorno questo dolore ti sarà utile” (2007, film 2011), romanzi consacrati, come ormai sembra sia necessario e regolare, dall’esser stati trasposti in versione cinematografica. E si tratta, indubitabilmente, di due bei romanzi di un autore che, a mio parere, nella misura breve raggiunge risultati, non vorrei dire migliori, ma di assoluta eccellenza.
“In un modo o nell’altro”, la prima pubblicazione italiana di Peter Cameron, del 1986, portata in Italia dalla Casa Editrice Rizzoli nel 1987, è infatti una raccolta di quattordici racconti. Le successive opere di Peter Cameron furono editate da Adelphi, divenuto il suo editore italiano.
In “Paura della matematica”, vengono ripresi sei dei quattordici racconti pubblicati all’epoca con l’etichetta Rizzoli, con l’aggiunta, si direbbe a mo’ di Prefazione, in qualche modo a giustificazione di questa nuova e diversa edizione, del racconto “Il mondo del ricordo” che apre il libro.
La struttura del libro appare singolare. L’indice segnala una divisione dell’opera in due “Parti”, dove la “Prima Parte” è costituita dal solo nuovo racconto, otto pagine scarse, mentre la “Seconda Parte” riprende sei dei vecchi racconti: “Memorial day”, “Paura della matematica”, “Qualche scena del lago dei cigni”, “Compiti a casa”, “Lavori strani” e “Scorrimento veloce”.
Si tratta di sette veri gioielli. Un piccolo grande libro, piccole storie i cui protagonisti vivono ore normali, o giù di lì, ore o giorni nei quali nulla di altamente particolare accade se non per la possibilità, totalmente nelle mani del lettore, di immaginare sviluppi possibili, quelli che, in ognuna delle nostre vite, ognuno pensa non quando si trova di fronte alle grandi scelte, a decisivi bivi della vita, ma semplicemente dentro lo scorrere della quotidianità. Con una punta di malinconia, con la piccola ma essenziale consapevolezza della propria personale unicità – sono io, sono qui, con le persone che mi sono accanto, che fanno parte di me, e dovrò compiere scelte – insieme a un (rassegnato?) approccio ai giorni e alla vita, che forse sceglieranno da sé, con un po’ di dolore e un po’ di serenità.
In queste storie, disegnate con tratti essenziali, il lettore si identifica, ed è in grado di creare luoghi, colorarli, di immaginare percorsi, sviluppi.
Leggendo, si prova il sentimento spiazzante di essere alle prese con racconti autobiografici, con un preciso e impossibile raccontare di sé dell’autore: giovane uomo/vecchio padre che sta morendo; giovane donna alle prese con un esame di matematica e con un percorso di esami di vita; partner di una coppia gay in visita, con il proprio compagno, a una deliziosa vecchia nonna con cui giocare a fingere il non dire; diciottenne con la propria famiglia, la scuola, una sorella che lavora a un ‘baracchino’ di sviluppo rapido di foto: in visita alla sorella, nel suo luogo di lavoro, Michael vede scorrere foto, sempre le stesse, sul nastro di un macchinario, a simulare lo sviluppo immediato dei rullini, delle vite: “diploma, diploma, compleanno, montagna, bambino, bambino, macchina nuova, sposo, sposo e sposa, casa…”.
Nella semplicità, nella linearità di questi racconti, e della prima persona, non è ben chiaro chi la prima persona rappresenti o nasconda. E sotto questo aspetto, il primo racconto – “Il mondo del ricordo” – è esemplare.
Un figlio e un padre. Un figlio, la prima voce narrante, che il padre, alla morte della moglie, ha lasciato crescere da solo e che, prossimo alla morte, richiama a sé. Il figlio accoglie l’invito e ascolta una storia. La voce del padre racconta. Due prime persone si alternano. Il duetto richiama, in chiusura, la terza persona, la madre, solo nominata per definirne l’assenza e la significanza nella vita di ambedue. E la chiusura sarà un’immagine potente, il richiamo di un ricordo infantile.
Di chi parla il racconto? Di quale prima persona si tratta?
Ho scritto nell’ultimo “Parliamone” che, a mio parere, il racconto si colloca tra il narrare in poesia e il narrare in prosa: a suo modo. Perché il racconto è un genere che, quando la misura realizza compiutamente la storia narrata, richiede, come la poesia, che il lettore venga catturato nella sua propria fantasia, nella sua propria capacità, desiderio, potenzialità di creatore. Nel racconto, l’autore deve trattenere la storia, rendere essenziali i personaggi, solo tratteggiarli e regalarci, per questa via, identità alle quali chi legge possa aggiungere colore, sfondi, prospettiva. Che possa far uscire dalla presa devastante del tempo e del sé.
Un piccolo grande libro, con aspetti a-tipici per quanto riguarda la pubblicazione. Perché solo sei dei quattordici racconti della prima edizione Rizzoli? Specialmente tenendo conto del fatto che il libro, in totale 104 pagine di cui, da leggere, 88 pagine scarse, sfiora il limite della pubblicabilità. C’è di che incuriosirsi. Gli altri racconti non valevano la pubblicazione? Mi par difficile.
E a margine, come curiosità, un divertente refuso, in seconda di copertina, anche questo a-tipico, che sembra fornire al libro quasi un’aggiunta di pregio, un po’ come avviene per quei francobolli il cui valore viene creato da un difetto di stampa in un’emissione.
Il refuso: Si legge, in seconda di copertina, che la raccolta comprende “oltre a sei racconti scritti in origine negli anni Ottanta, un inedito assoluto” e questo inedito viene denominato “Il ricordo del mondo” in luogo di “Il mondo del ricordo”. Gran bel refuso, non banale, in una collana che, di norma, è molto accurata nelle sue produzioni. Capita, certo, e fa simpatia, personalizza il libro, un dettaglio che si inserisce bene, a suggellare la leggera anomalia di questa scelta editoriale.
Mi sono chiesta perché, tempo fa, io abbia acquistato questo libro, rinviandone poi la lettura. E come è avvenuto che solo ora, per la prima volta, io mi sia decisa a leggerlo, rileggendo più volte ogni racconto?
Credo di conoscere la risposta alla prima domanda: sono stata attratta da un titolo accattivante (la matematica è un grande amore impossibile della mia vita adulta ed è stata il grande terrore dei miei anni di piccola scolara) e, data la brevità dei racconti, ne ho letto uno in libreria, dopodiché non ho più potuto riporre il libro. Salvo poi tenerlo là, in attesa del momento giusto per questa lettura, sempre a girare, sempre fuori scaffale, va a capire, fino ad ora.
Non fate come me. Leggete questi racconti, subito. Con lentezza. Ne sarete conquistati.