Di cosa parla quel libro? E’ un bel thriller

Ordine internamento
L’Ordine Esecutivo 9066, emesso il 19 febbraio 1942 dal 32esimo presidente degli Stati Uniti d’America Franklin Delano Roosevelt, decretava che tutti i residenti sul territorio degli Stati Uniti di origine giapponese, anche se nati in territorio americano, dovevano essere rinchiusi in un campo di concentramento. In: http://www.youkosoitalia.net/storia-giapponese/i-nisei-americani-e-lordine-esecutivo-9066/

Avevo segnalato, in Racconti, letture del tempo lento, tra la narrativa in attesa di lettura, il romanzo di David GutersonLa neve cade sui cedri”. Lo sto leggendo, lettura notturna.

Questa, infatti, non è una recensione. Ne parlo qui, brevemente, perché, rispetto a questo libro, mi si pone il problema della sua difficile reperibilità. Diciamo che, quantomeno, occorre cercarlo; magari lo si può trovare in biblioteca. Io, come ho raccontato, ne ho trovato una copia di seconda mano. E’ un libro interessante, e non solo o non tanto per il fatto di essere un buon thriller.

Il romanzo racconta la storia un processo per un omicidio del quale viene accusato un americano di origine giapponese, negli anni immediatamente seguenti la fine della seconda guerra mondiale; dopo, dunque, Pearl Harbor e l’internamento in campi di concentramento dei cittadini americani di origine nipponica, al momento dell’entrata in guerra degli USA contro il Giappone, alleato della Germania nella seconda guerra mondiale.

In realtà, la storia – l’omicidio, l’accusa, il processo, l’esito (suppongo) con trionfo della giustizia – è e non è centrale. Il libro è un’approfondita, e interessante, descrizione di un’isola, dei suoi abitanti, della sua società, di cui sviluppa, indirettamente, il tema dell’integrazione; mostra la ferita, profonda, che la guerra ha portato dentro una piccola comunità, conclusa in sé, che ha dovuto fare i conti con la fragilità di rapporti che magari si credevano stabilizzati – e cosa meglio di una piccola isola per avere a portata di mano tutti gli elementi.

L’amica che me l’ha consigliato, ne ha segnalato subito quest’aspetto, un pezzo di storia americana oggi forse poco o per niente conosciuto dalle generazioni più giovani.

Nel 1980, il Congresso americano condannò l’”Ordine Esecutivo 9066”, emesso il 19 febbraio 1942 con cui il presidente Franklin Delano Roosevelt disponeva l’internamento di tutti i cittadini di origine nipponica, anche se cittadini americani, nati negli USA, riconoscendo che tale scelta fu dettata da pregiudizio razziale e da nessuna giustificazione militare. Ma tant’è.

Il romanzo tuttavia non prende direttamente a tema questo fatto storico, il tema è il processo per omicidio; non tratta il tema del pregiudizio razziale in quanto tale, ma mostra, descrive, in modo approfondito, le relazioni dentro una piccola società chiusa in cui tutti si conoscono bene, sono stati compagni di scuola, e intrattengono formali relazioni di amicizia e di buon vicinato, con ciò mantenendo le differenze, dall’una parte e dall’altra.

Con la guerra, e con il respingimento sofferto dalla comunità di origine nipponica, viene scoperto il diverso significato della ‘differenza’, che poteva sembrare un quasi-riconoscimento, reciproco, delle rispettive specificità culturali, il rispetto di aree di tradizione che, di comune accordo, non venivano intruse dalla vita comune (mentre la giovane generazione nippo-americana, ragazzo e ragazza, sta già realizzando il miglior modo di integrazione possibile), ma era invece grave pregiudizio razziale, inatteso e doloroso.

Ma – qui sta la domanda – chi lo sa dove il lettore americano di questa storia pone l’accento; sulla storia, la trama, nella quale l’origine nipponica dell’accusato è certamente un elemento di rilievo e il tema della discriminazione gioca il suo ruolo, ma il tutto è mantenuto nell’ambito di <quella> storia, in <quella> piccola comunità. O non invece, come accade ad una giovane lettrice europea, oggi, diventa preminente nella lettura il tema della discriminazione, e la storia dell’internamento dei nippo-americani considerati nemici dentro la loro stessa patria.

Molto interessante. E si sposa, guarda un po’, con temi sociali oggi impossibili da non incontrare nella quotidianità, neppure a volerlo.

Si riapre il tema di quella linea nascosta che porta dall’uno all’altro libro, che fa scegliere e scartare letture non solo rispetto alla qualità ricercata ma soprattutto al concatenarsi, al richiamarsi dell’un tema con l’altro; la linea che lega i libri al mondo reale in cui viviamo, creando sentieri al pensiero, tortuosi fin che si vuole ma che, alla fine, aiutano a far ordine là dove non si credeva di aver cercato, dove non si sapeva di possedere un pensiero non chiaro, talvolta neppure saputo, ma importante. Pensieri che cambiano noi e il nostro sguardo sulle cose intorno a noi, i significati, la rilevanza, le priorità.

I libri portano tante cose senza che si siano volutamente scelte; cose che, spesso, restano marginali nella nostra consapevolezza, perché non sono il tema (il libro parla d’altro), ma si insinuano, operano in modo unico per ognuno di noi, legandosi al nostro mondo e alla nostra storia personale.

Il bello è che l’autore non lo può sapere. Non conosce chi incontrerà il suo libro né, peraltro, sa di avervi messo quella certa cosa che una certa persona raccoglierà. Anche solo di sponda, tra le righe.

Il libro, la vita del libro, dipenderanno da chi è il lettore, dall’incontro autore-lettore, e c’è di che provare una profonda curiosità per le infinite possibilità che quel libro apre, per i tanti mondi in cui qualunque narrazione entra divenendone parte.

E il senso del recensire un libro? Una lettura in cerca di risposta e confronto, dentro quei paletti che costituiscono regole più o meno prescritte, o che stabiliscono nuove regole, della narrazione, che servono a facilitare il confronto, talvolta una particolare proposta di lettura.

Incontrare l’autore? Perché poi. Lui c’è già, c’è il libro, l’autore ha già avuto il suo spazio, e lo ha usato, non può più uscire dalla sua opera. Non spetta a lui reinterpretarla. Né asserirne un’interpretazione.

All’autore dovrebbe piacere moltissimo incontrare i suoi lettori non per parlare del ‘suo’ libro ma per incontrare gli altri libri che, dentro le sue pagine, ognuno ha riscritto. Per ascoltare.

Poi, vale per il libro ciò che vale per gli esseri umani: non tutte le persone sono uguali e così è per i libri. C’è il libro che produce infinite letture, addirittura nei secoli, da parte di genti diverse, e c’è il libro che esaurisce il suo discorso in breve, come avviene in un incontro casuale, che non si proponeva di avviare una relazione, o non conosceva la lingua per farlo.

Avevo accennato, nell’ultima chiacchierata, anche al libro di Paolo Cognetti, “A pesca nelle pozze più profonde. Meditazione sull’arte di scrivere racconti”. Ne sto completando la lettura, lo sto centellinando, ne vale la pena, in attesa di proporlo a chi, oltre ad essere interessato all’argomento, cerchi un piacere nelle parole ma non solo. Sarà la prossima recensione, in attesa di leggere altro, di questo autore che, a sua volta, raccontando di racconti (con il risultato di creare un appassionante racconto) apre infinite possibilità di lettura.