Il fatto che, pensando a ciò che sta succedendo nel mondo del libro – e non solo nel breve momento attuale, in Italia – io mi sia trovata a rileggere, e proporre, “Fahrenheit 451. Il tempo della Fenice”, è evidentemente non casuale. Neppure programmato, ma si tratta certamente di un libro che viene al punto, come si dice.
Non so bene come potrò proseguire, per la verità; so che ho in testa tante cose, meglio, la sensazione che ci siano tante cose su cui riflettere, e trovo difficoltà a metterle a fuoco, dentro un discorso organico. Così, scelgo, quale metodo, il lasciare che sulla carta, scrivendo, le domande e i pensieri si formino, partendo dalla domanda che ho posto e mi sono posta nel titolo dell’ultima chiacchierata: “Chi sceglie cosa noi vogliamo leggere?”
A questa domanda, così formulata, ha fatto seguito l’altra, con risposta annessa che, tuttavia, mi pare ora, riflettendoci, una risposta poco utile e, in parte, fuorviante.
“Siamo veramente liberi nello scegliere un libro e scegliamo secondo il nostro bisogno e il nostro desiderio? No, scegliamo all’interno delle scelte editoriali poste a nostra disposizione.”
Si tratta di un’affermazione in parte fuorviante perché, se da un lato è vero che non possiamo essere totalmente liberi nelle nostre scelte, tale ‘costrizione’ è anche il frutto, positivo, dell’aiuto che ci viene dato, per discriminare, dal nostro essere animali sociali.
L’appartenenza linguistica (anche se plurale), tanto per dirne una, è la maggiore delle limitazioni, e costituisce una prima grande discriminante per le nostre scelte; l’appartenenza ad un gruppo, alle varie sottoculture che ci ospitano e regolano la nostra vita sociale e personale, anche incrociandosi, con tutti i mescolamenti del caso (ne ha parlato con molta efficacia Amartya Sen), realizza un secondo limite che ci porta ad essere prigionieri per scelta e per necessità, non so se mi spiego. Tutti noi, cerchiamo là dove l’illuminazione data dall’ottica cui apparteniamo illumina gli angoli. Non possiamo cercare dove i nostri occhi non vedono.
Poi, certo, scegliamo tra ciò che l’editoria pone a nostra disposizione ma, in un sistema democratico, e di ‘libero mercato’ è anche possibile che l’editoria sia portata a metterci a disposizione tutto ciò di cui si formi una domanda: di gruppo, certo, ma questo è appunto il limite e la risorsa che ci contraddistinguono.
Perché risorsa? Perché, sappiamo bene, la ‘libertà’, intesa come totale assenza di limite, di confini, appartiene al regno della massima costrizione, al regno della paralisi, della non identità, del non-essere (me lo passate?).
Io sono libero, in qualunque ambito, nella misura in cui trovo delimitato un territorio e una serie di articolazioni al suo interno, in cui muovermi. Il confine, ponendo un limite, definisce uno spazio reale, dove una libertà può concretamente essere esercitata.
C’è tuttavia un ma. Tutto questo è vero solo a un patto: che i limiti non vengano (im)posti da un’autorità, meglio, da una forza che, sottratta al controllo (non mio, individuale, per quanto si è detto, ma certamente del gruppo, dei gruppi) risponda a bisogni propri, estranei alle appartenenze e ai meccanismi di libero mercato che la dovrebbero vincolare ‘al servizio’ delle persone.
Anche le Case Editrici, come le persone, si muovono all’interno di limiti che circoscrivono, nel relativo, il loro operare libere scelte.
Un Editore è, per definizione, una persona, un gruppo di persone, una Società che, ponendosi dei fini su ciò che vuole comunicare all’esterno attraverso la stampa e la diffusione di opere (librarie e non solo), produce e propone il proprio Catalogo dovendo tener conto dei gusti del pubblico, della concorrenza, delle leggi di mercato; dovendo avere a disposizione dei canali di distribuzione. L’editore sperimenta i confini attraverso tutto ciò. È, cioè, qualcuno che <si propone il proporre>, scusatemi il bisticcio di parole, ma mi pare spieghi. Non può, voglio dire, <proporsi di imporre>, e in conseguenza, avere a propria disposizione un mezzo capace in assoluto di orientare le idee, le scelte, del pubblico. Qualcosa che ha che fare con la sicurezza della nostra democrazia.
Non può? Siamo sicuri?
Sicurissimi! L’Editore produrrà un proprio Catalogo, che dovrà misurarsi con altri Cataloghi, con altre offerte, e per questa via contribuirà ad espandere la libertà reale, concreta, del pubblico, dentro quel terreno di gioco dato, come si diceva, dai confini condivisi e dal territorio che questi creano.
Sicurissimi! Perché gli Editori, e i Cataloghi, sono multipli, perché chiunque lo voglia è in grado di farsi editore, misurandosi con il limite, con la domanda esistente, con la propria capacità di crearla, avendo, quali confini alla propria libertà (e dunque quali spazi reali per la stessa) l’attività di altri editori, il confronto con la concorrenza.
Cosa succederà se, invece, per una distorsione del mercato che, lasciato a sé, non si autoregola, ormai lo sappiamo bene, lo sa l’ultimo degli economisti e il più inconsapevole dei cittadini comuni (esiste questa categoria? Dubito); cosa succederà, dicevo, se si realizzasse una situazione di monopolio di fatto di una sola casa editrice? Di un solo gruppo editoriale?
Succederà che quella Casa Editrice, quel Gruppo Editoriale, avocherà a sé il controllo del mercato del libro; avocherà a sé il controllo della distribuzione (e oggi, si dice, questo è già un problema non da poco); avocherà a sé, creandolo, il consenso su ciò che deve essere letto; avocherà a sé il possesso e il controllo delle librerie (e già oggi le librerie cosiddette di catena, espressione di grandi gruppi editoriali, fanno la parte del leone). E affosserà per sempre le piccole librerie, come le piccole e medie case editrici, indipendenti.
Riprendo la domanda: Siamo ancora sicurissimi che l’editoria non può <proporsi di imporre>…! No, non lo saremo più, se si realizzerà qualcosa come l’acquisizione di RCS Libri da parte del Gruppo Mondadori.
La posta in gioco non è banale, non è il reperire l’opera omnia di Barbara Cartland in edizione cofanetto (a proposito: c’è, si trova? Improvvisamente mi vien voglia di leggerla. Dopotutto, ai miei verdissimi tempi, ho apprezzato qualche Liala, soprattutto perché mamma non gradiva e le amiche suggerivano.
Non è uno scherzo. E’ necessario fare attenzione. E’ necessario che ognuno si faccia carico. I tempi accelerano e la Fenice, ai giorni nostri, potrebbe costruire la propria pira non più ogni quattro – cinquecento anni, ma con frequenza tale da non darci più il tempo di ricostruire.