Prosegue, lentamente, il riordino delle scaffalature di cui raccontavo la scorsa settimana che non solo non si avvicina minimamente ad essere concluso (il che è il meno), bensì non si avvicina minimamente a trovare una organizzazione che consenta il prevederne la conclusione.
Sempre più incombe il problema, che non risolverò (a favore della doppia fila), del come poter far uscire da casa dei libri. Cosa dovrei fare: rileggere libri abbandonati (e ce ne sono) per convincermi che, se sono tali, un motivo ci sarà? Così, ho comunque spulciato tra i vecchi Oscar Mondadori; ho aperto un libro più o meno a caso, «Agente 007 missione Goldfinger», letto qualche pagina, e che ti trovo?
“Dopo cinquanta anni di emancipazione le qualità femminili andavano scomparendo o si trasferivano ai maschi. Gli <incerti> dei due sessi andavano aumentando, non erano ancora omosessuali, ma non sapevano più nemmeno loro cosa erano esattamente. Il risultato era una massa di spostati, infelici, aridi e pieni di frustrazioni, le donne col desiderio di dominare e gli uomini di essere coccolati. Gli facevano pena ma non aveva tempo da perdere con loro.”
Oh che cavolo! Garzanti 1965. Prima edizione 1959. Immagino che Fleming esprimesse un’opinione comunemente accolta. E immagino un editore che oggi – ma no, perché immaginare. Verificare e, accidenti, sì, il romanzo si trova ancora, e leggo persino buone recensioni (peraltro, per certi versi, giustificate, il buon Fleming non scriveva poi male).
I libri non si buttano. Documentano un tempo, una società, documentano anche “i tempi del tempo”[i]. E tuttavia, magari si possono anche “riporre”, che so, ecco, dove?
Tra gli Oscar Mondadori benemeriti ci sono bellissimi libri oggi introvabili, o reperibili con difficoltà. E c’è parte della mia vita, di quello che ero, di quello che, forse, pensavo, mio dio! Con la forza e l’inconsapevolezza dell’ovvio, dell’aria del tempo che si respira. Difficile. Meglio lasciare che il pensiero su questo problema si depositi. Solitamente funziona.
Il riordino, in effetti, richiede una filosofia. Non è un’attività, come dire, meccanica.
Si tratta di questo: quando si sia trovato un modo per organizzare gli scaffali e individuato il posto dove ogni libro <dovrebbe> stare, il fatto che tale libro permanga disperso, fuori posto, non deve costituire problema alcuno. È ciò che succede sempre dopo che si è fatto ordine, vale anche per calzini e mutande, ed è ciò a cui l’ordine serve: far sì che il disordine costituisca il modo normale di utilizzare le cose, essendo stabilito il luogo in cui, volendo, qualora se ne ravvisi l’opportunità, troverebbero il loro giusto posto. Come dire: l’ordine serve a rendere fruibile il disordine, che nessuno è in grado di evitare a meno di non rinunciare all’utilizzo delle proprie cose.
È un po’ come quando si viaggia: è perfettamente possibile vivere da girovaghi, starsene a girare il mondo undici mesi e mezzo su dodici, purché si sappia dov’è la nostra casa e si sia certi di potervi tornare. Per poi ripartire (immagino: io sono una assoluta stanziale). Il disordine in casa funziona allo stesso modo e io lo amo, molto, purché sia chiaro, stabilito, dove quella cosa dovrebbe trovarsi – e dove, di conseguenza, sarà perfettamente inutile cercarla.
Sono certa, davvero, di voler riordinare?
Nel frattempo: il percorso che porta a cercare il libro giusto, quello che si desidera leggere, che non riesce ad emergere perché i desideri sono molteplici e, nello stesso tempo, vaghi, percorre strane vie. Che stanno nella testa, e non sugli scaffali.
Decidendo di seguire un consiglio pregevole ricevuto, e rispettare il mio desiderio, pur se vago, eccomi ad uno scaffale (uno di quelli riordinati!) di narrativa italiana, che, alla fine, mi pone tra le mani «L’isola di Arturo» di Elsa Morante. Lo depongo sul tavolo, pronto, dove si trova a fronteggiare tutti gli altri libri in predicato di lettura, sfogliati, sospesi, ripresi, lasciati e, tra questi, (abbandonato? No!): Vita Sackville-West, «Passaggio a Teheran» che avevo, si fa per dire, iniziato, e il cui incipit avevo trovato demotivante.
Vero, non sempre un ottimo incipit mantiene le promesse e viceversa – ma il libro, in quel momento, era da considerare momentaneamente in attesa di lettura.
Inizio a leggere Morante. Meraviglia! Il pomeriggio, e il suo tempo dedicato alla lettura, sono assicurati. Ascolto, guardo, annuso, i rumori i suoni gli odori di Procida, della Casa dei guaglioni, lo sguardo alle stelle e alle fantasie di Arturo Gerace ragazzino, il piccolo mondo concluso di un’isola che allunga lo sguardo allo spazio infinito; il sole, il mare; e proseguo, ancora guardo, ascolto, perché questo fa Elsa Morante, crea un mondo – e un disagio si insinua, non so di cosa si tratti; una sottile crepa, invisibile, incrina quell’Eden.
Ecco il padre di Arturo, Wilhelm, e la crepa – che sta nelle pagine o nel mio ricordo, che anticipa la storia? Talvolta vorrei davvero non aver mai letto un libro e poter vivere tutta nuova la meraviglia; è bello rileggere, ma quale rischio!
Oppure no, il problema sta semplicemente nel fatto che chi legge, oggi, è un’altra da chi aveva letto allora; e forse un’altra età, le esperienze di vita (l’esperienza vera no, quella non c’è per nessuno, mai) incistano la meraviglia, inducono a non crederla, non so.
Eppure no; forse, giovane alla mia prima lettura, non avevo sentito, o non ricordo, la crepa che sta, tutta, nelle parole della Morante, nel suo sguardo. Che c’è. E c’era.
E arriva Nunziata. (Se non lo avete letto, non vi viene il desiderio di farlo? Io ci provo a farvelo desiderare. Come posso. Perdonate.)
Per questo pomeriggio il mio tempo di lettura è concluso, mi avvio ad altri compiti. Riporre Sackville-West? No. Solamente spostarla sul tavolo, con gli altri libri in attesa.
Di passaggio, riapro il libro, qualche minuto si può ancora dedicare, vuoi vedere che l’incipit, era il momento sbagliato, rileggiamo, e no. Non va.
Pure. Questo è un libro da leggere. Sackville-West, Bloomsbury, Virginia Woolf, nulla di quel mondo deve sfuggirmi. Nulla.
Mi accorgo di non aver mai proposto un romanzo di Virginia Woolf, vedi un po’. Certo, c’è stata «Una stanza tutta per sé»; ma nessun romanzo. Non che sia facile. Cosa ho riletto, abbastanza di recente? Certo, «Mrs. Dalloway» e «Tra un atto e l’altro», dopo aver recensito «Le ore» di Michael Cunningham, non poteva essere diversamente; non molto di recente, in effetti, questo blog era ai suoi inizi, è trascorso un bel po’ di tempo.
Vita Sackville-West: la sua vita è forse più interessante dei suoi scritti, ma desidero leggere quel libro, che ora ha richiamato Virginia Woolf
Il pensiero va, inevitabile, ad «Orlando», al libro “dedicato” a Vita.
Eccolo qua – anche gli autori <morti> anglosassoni sono già stati riordinati e si trovano sulla strada che, dal corridoio, porta alla cucina – c’è una cena da preparare.
Il libro è vecchiotto, un tascabile Garzanti del 1978, in buone condizioni pure se mostra i segni del tempo e del consumo. Peccato maneggiarlo – so bene che riprenderò a sottolineare e glossare.
Altri cinque minuti, la cena può ritardare, di poco. Amazon, sicuramente un e-book costerà poco, ecco qua, un euro e 99. Vale la salvezza del libro ed è comodo da leggere a letto.
E Morante? Certo, magari per il giorno. Sackville-West aspetterà. Vedremo.
Click. Il dito finisce sul tasto sbagliato.
Meraviglia! Una copia di «Orlando Furioso raccontato da Italo Calvino». Che non possiedo e non ho mai letto! Dovrò acquistarlo!
Che dire. Mai farsi mancare una favola! Specialmente se cade dal cielo! Un mito, una fantasia, un sogno, un’altra geografia, un mondo, tutto per me!
Secondo click. «Orlando», di Virginia Woolf. Salviamo il cartaceo. Fatto!
E Italo Calvino. Come volevasi dimostrare: desideravo un autore italiano del tempo.
L’ho sempre detto io, i libri giusti ci pensano da sé a trovarti. Ora, certo, c’è un po’ di assembramento. Fa niente. Mi ci districherò.
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[i] Titolo di un bellissimo libro di tutt’altro genere, “I tempi del tempo. Una nuova prospettiva per la consulenza e la terapia sistemica” di Luigi Boscolo e Paolo Bertrando, ed. Il Saggiatore