Il mio tempo di lettrice sembra tornare al suo giusto ritmo, e sono reduce da un giro in libreria. Relativamente breve, per la verità, ma fruttuoso, per una qualità inattesa degli acquisti – scarsi ma entusiasmanti: per me, e per motivi personali. E perché considero questa breve gita solo un aperitivo, cui programmo di far seguire un pasto luculliano.
Sono rientrata a casa con soli due libri tra le mani, non c’era tempo per una sosta più lunga (e, per la verità, c’era anche un’intenzione, per quanto vaga, di contenere la spesa).
Ho dunque acquistato due libri che non avevo cercato, cui non pensavo lontanamente, due vecchi ricordi di cui uno da tempo perduto, con dispiacere, e il secondo, in realtà, mai neppure letto; non sono neppure certa di una edizione italiana degli anni ‘70: per la mia generazione e per il mondo dei miei vent’anni o giù di lì, era stato tuttavia una lettura/citazione obbligatoria per qualunque giovinezza antimilitarista e di opposizione alla guerra del Vietnam. E si tratta, per di più, di uno di quei libri che si possono conoscere fin nei dettagli senza bisogno di averli letti: non è un paradosso, capita; ricordo che Umberto Eco ha parlato di questo interessante fenomeno in un suo libro, e ora dovrò recuperare il dove il quando e a quale proposito.
Nominiamoli, è meglio: sono due libri molti diversi, anche se hanno avuto ambedue a che fare con un identico tempo, e con un preciso modo di avvicinare la lettura e la vita. Eccoli:
- Joseph Heller, “Comma 22”, Bompiani 2016.
- Marie Cardinal, “Le parole per dirlo”, Bompiani 2016.
Volendo parlare di “Comma 22”, va detto che, al tempo, bastava leggere regolarmente, su Paese Sera, grande quotidiano perduto, le strisce delle Sturmtruppen e si “sentiva” di averlo letto. Era sufficiente citare quella “norma”, quel Comma, appunto, per conoscere tutto ciò che ritenevamo necessario sul tema.
«Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo.»
Tradotto da Bonvi, il papà delle Sturmtruppen: “Comma 22! Vietato impazzire!”.
Il gioco dei paradossi, dei ragionamenti a circolo vizioso, possono essere un divertimento infinito, non essendo di alcuna rilevanza il fatto che una norma quale il Comma 22 non è ovviamente mai esistita: in effetti, è meglio che vera, rende perfettamente l’idea delle logiche paradossali che regolano l’esistenza di tutti gli apparati burocratici, non solo di quelli militari.
“Comma 22”, una storia, molte storie, ambientate in Italia, è stato la bibbia dell’antimilitarismo; è stato l’arma morale-satirica di chi obiettava alla guerra del Vietnam. Anche se l’autore aveva scritto a partire dalla sua esperienza a bordo di un bombardiere durante la seconda Guerra Mondiale, quando collaborava a sganciare bombe sull’Italia, e anche se ai critici i due contesti sono sembrati, al tempo, non sovrapponibili. E il libro non è sembrato questa gran cosa, dal punto di vista letterario. Ne è stato tuttavia prodotto il film, di scarso successo.
Per chi esprimeva la propria opposizione alla guerra, per i ragazzi americani renitenti alla leva, il romanzo è stato una leggenda, come la figura del protagonista, il Capitano Yossarian che, sconvolto dal susseguirsi e dall’intensificarsi delle missioni di volo, fa di tutto per evitarle, cercando di farsi credere pazzo. Quantomeno, questo è il non-ricordo del libro che mantengo nella memoria e nel cuore. Che ora potrò confrontare con la realtà, misurando la tenuta del libro al tempo mutato (non poi molto, a ben vedere).
Passiamo al secondo libro: Marie Cardinal, “Le parole per dirlo”. 1975
Il primo grande romanzo autobiografico di una autrice che, per la verità, in Italia, pur pubblicata, non mi pare abbia in seguito avuto grande successo. Questa sua opera prima è stata tuttavia una pietra miliare della scrittura del femminile, e della riflessione su di sé delle donne – utile, disutile, giusta, sbagliata, tutte queste cose insieme, immagino. Vera: in un tempo del mondo in cui, comunque la si pensi, è nato, anche, ciò che, donne e uomini, madri e figli, confusamente sono, ora.
Ne parlo sulla base del ricordo – non del libro, che pure è stato una lettura intensa e ripetuta di quegli anni; che dovrò rileggere, per recuperare, o respingere, ciò che, anche sulla sua base, è stato costruito in me e di me. Perché è così, ci sono libri che indirizzano il pensiero e, in conseguenza, la vita; che la orientano; che fondano il paradigma sulla cui base, poi, leggeremo e interpreteremo le nostre future esperienze. E non necessariamente sono i libri più grandi; o quelli che dureranno. Sono i libri in cui la parola e il tempo in cui abbiamo bisogno di udirla, si incontrano.
Di questo libro, tuttavia, nel mio oggi non ricordo praticamente nulla, se non l’argomento; nulla della storia. Permane invece il vissuto di un libro molto bello, che al tempo, per me, è stato importante e apprezzato. Un libro della cui mancanza è capitato che mi sia dispiaciuta, anche se non al punto di ricercarlo e ritrovarlo (cosa, come si vede, non difficile), anche perché era stato un regalo, ricevuto in un momento importante: la nascita di mio figlio. Mi era stato donato da un’amica che, beata me, consideravo anziana (avrà avuto quarant’anni o poco più), e che lo ha ritenuto la cosa giusta da offrire per l’occasione: la storia di una relazione madre-figlia disastrosa, di una terapia psicanalitica che la figlia, la protagonista, affronta per sopravvivere a una condizione disperata, per rielaborare, forse recuperare, non so, non ricordo, un legame mortifero: Regalo certamente alternativo, in luogo della solita tutina o del sonaglietto. Ma erano anni così.
Dovessi dire, non si tratta di libri per i quali io abbia provato un puntuale desiderio di rilettura, in un mio qui ed ora; quantomeno, non proprio: finché non me li sono ritrovati tra le mani. E non so dire se, dopo averli riletti, ne parlerò ancora. Nel desiderio sì, ma so che potrei trovarmi di fronte a qualcosa di molto diverso da ciò che sta nel mio ricordo, e nella mia emozione. So anche che desidero rileggerli e che la rilettura non rovinerà nulla; che aiuterà a dare un senso al mio tempo e a porlo, con i libri, al suo giusto posto. So che potrebbe restituirmi due libri interessanti, mentre ha già aperto le cateratte dei ricordi di altri libri: uno per tutti, appartenente al genere e al tempo, e che si segnala, oggi, ancora una volta per la sua sparizione dai miei scaffali, è “Diario di una schizofrenica” di Marguerite Sechehaye mentre possiedo ancora il credo introvabile “I figli di Giocasta”, di Christiane Olivier, Emme Edizioni 1981 – sottotitolo: “L’impronta della madre alla base del secolare antagonismo tra uomo e donna“: un approccio originale alla teoria psicanalitica fondato sulla relazione madre-figlia in luogo della freudiana centralità della figura maschile e del complesso di Edipo.
Occorrerebbe anche ricordare, e in parte recuperare, il grande lavoro editoriale, intorno agli anni ’80, di Rosellina Archinto e della Emme Edizioni del tempo. In questa specie di rimpatriata, mi trovo molto contenta dei libri di questa Casa Editrice che ancora possiedo, e rattristata delle molte perdite. Ma tant’è: da giovane, quando un libro mi entusiasmava, non lo prestavo a richiesta, ne imponevo praticamente il prestito a tutti coloro che ritenevo degni di condividere l’esperienza. Mi consolo pensando a quanti libri hanno potuto trovar posto in casa mia per merito di quelli che se ne sono andati; sperando solo che abbiano trovato l’amore che meritavano.
Nel frattempo, si sono accumulati sul mio tavolo, in attesa di lettura e rilettura, altri libri.
C’è ancora Wu Ming, “L’archivio e la strada”, editore Simplicissimus Book Farm 2013. Poi, Paul Eluard, “Poesia ininterrotta”, Einaudi 1976.
C’è Mo Yan, “Le sei reincarnazioni di Ximen Nao”, che desidero rileggere. Un libro inarrivabile per fantasia, un percorso dentro la storia della Cina moderna come non se ne erano mai letti; un libro sconvolgente, esilarante e saggio.
Nel frattempo, cerco di non distrarmi dalla lettura del libro in corso – Marilynne Robinson, “Le cure domestiche”, Einaudi 2016. Una scrittura pregevole. Una storia affascinante. Non so ancora se manterrà le promesse. Potrebbbe essere la prossima recensione.