La mente, e i luoghi dove condurla

Terry Pratchett, “L’arte della magia”, Salani editore 2016

Raffaele Simone, “La mente al punto Dialogo sul tempo e il pensiero”, Laterza 2002

Zerocalcare, “Kobane calling”, BAO publishing 2016

Estate. Tempo di vacanza o, quantomeno, tempo in cui è bene e salutare sentirsi in vacanza: un particolare modo di comportarsi “come se”. Al bisogno, l‘ho sempre trovato molto utile.

Ci sono i giorni in cui ci si trova a godere, senza averlo programmato, di letture multiple, e molto diverse tra loro. Avviene, quando il nostro tempo è segnato da impegni frazionati nella giornata, ad ognuno dei quali corrisponde, potendo godere di un qualche momento di sosta, una diversa lettura che ci accompagni.

Per me c’è, dunque, in corso di rilettura, “La mente al punto Dialogo sul tempo e il pensiero”, di Raffaele Simone, Laterza 2002; un testo che propone una riflessione sul tema della mente che invecchia, sulla mente nel tempo e al tempo suo. Quindici anni fa lo avevo trovato molto interessante e lo trovo oggi diversamente interessante: un nuovo libro per una nuova età. Spero che riuscirò a raccontarne; e chissà se riuscirò ad agganciare il cambiamento di questa lettura nel tempo; e a porre in essere, insieme, quell’operazione di sospensione del tempo individuale che può consentire il trascenderne.

Poi, il punto diviene, per la mente, la realtà dell’oggi, che si impone, con la solidità rocciosa dei fatti.

Ed ecco, ho tra le mani Zerocalcare, “Kobane calling”, BAO publishing 2016. Oggi sappiamo della morte – fisica, reale – di Ayse Deniz Karacagil, a Raqqa: l’ha comunicata, con un messaggio su facebook, lo stesso Zerocalcare:

È sempre antipatico puntare i riflettori su una persona specifica, in una guerra dove la gente muore ogni giorno e non se la incula nessuno (…) A morire sul fronte di Raqqa contro i miliziani di Daesh è stata Ayse Deniz Karacagil, la ragazza soprannominata Cappuccio Rosso,(…) chi s’è letto Kobane Calling magari si ricorda la sua storia (qui)

Cappuccio Rosso”, personaggio, nella trasfigurazione che la ritrae nelle strisce di questo bellissimo libro che vorrei, ci proverò più avanti, ma sicuramente non saprò restituire come merita – un linguaggio che frequento poco ma che, quando ciò avviene, mi conquista, del quale sono tuttavia irrimediabilmente analfabeta, capace unicamente di goderne sapendo di perdere molto, io capace solo di balbettarlo.

Ed ecco, tra le pieghe degli impegni, il libro per il tempo del relax; il libro che ritaglia e definisce lo spazio e il tempo per le altre letture, modulando e riempiendo i piccoli spazi dei tempi diversi.

Un tempo di lettura ben speso. Che aiuta.

Terry Pratchett, “L’arte della magia”, Salani editore 2016

Un libro divertente, e intelligente, nella misura in cui regala un mondo altro in cui abitare, a nostra misura, come quel vecchio alberghetto del paese di vacanza, conosciuto, familiare, dai colori e dai sapori buoni e noti, mentre un riuscito impasto di humour e fantasia veicola, senza parere, qualche piccola demolizione di luoghi comuni, e riporta alla concretezza del buon senso quel poco o tanto di magia che, sfrondato dal gioco di un mondo impossibile, ci riappacifica con qualche inciampo del vivere.

Nella fattispecie, riconcilia con l’inciampo di essere donne (o uomini) e doversi confrontare con il mondo degli uomini (o delle donne) che trovano sempre (le une e gli altri) il modo per creare qualche guaio tra di loro: da cui – con l’intervento di una buona strega, e purché si riesca a trovare qualche briciola di senso pratico in un mago (già più difficile) – c’è sempre modo di uscire, con vantaggio per tutti.

 “Questo è un racconto sulla magia, su dove va, e cosa più importante, da dove viene (…e) può contribuire a spiegare perché Gandalf non si è mai sposato e perché Merlino era un uomo. Perché questo è anche un racconto sul sesso. Anche se, probabilmente, non nel senso di atletiche acrobazie molto spinte. A meno che i protagonisti non sfuggano totalmente al controllo dell’autore. Il che è possibile.”

Naturalmente l’ambientazione ha un suo peso nell’agganciare l’attenzione del lettore ad una storia; ha un suo peso nel farci illudere di poterci sganciare – per qualche ora, dentro qualche pezzetto di tempo rubato – dalla fatica, più o meno grande, dei nostri giorni e delle cose che vi accadono.

È chiaro dunque che la storia, i fatti, perderebbero molto del loro fascino senza un bel po’ di messa in scena. Come va dunque che, poi, una volta agganciati da un bel mucchio di effetti speciali, ci troviamo a casa, nel mondo noto?

Lasciamo perdere. “Comunque, questo è anzitutto il racconto di un mondo. Eccolo che viene. Osservate con attenzione. Gli effetti speciali sono assai costosi. (…) lo scenario raffigura la tenebra del profondo spazio, rotta da poche stelle brillanti come la forfora sulle spalle di un dio.”

In quello spazio naviga “la Grande A’Tuin”, la tartaruga che trasporta sul proprio carapace quattro elefanti che sorreggono il disco piatto del mondo.

In quel mondo troveremo: il paese di Cattivo Somaro, tra i monti, dove sta arrivando un vecchio mago, tale Tamburo Billet; un fabbro con sua moglie e sette figli, più un ottavo che si trova lì lì per arrivare; e Nonnina Weatherwax, la strega del paese che, in quanto tale, fa la levatrice, la guaritrice che conosce le erbe e i loro usi, nonché molte altre cose. Nonnina Weathervax è molto molto stimata dalle donne del paese, e anche oltre. Quanto al giudizio degli uomini, diciamo che non conta, anche se pure loro sanno bene che non è il caso di contrariarla (e di contrariare le mogli). E si regolano di conseguenza.

Poi viaggeremo, e troveremo un mucchio di altra gente interessante.

La storia:

Terry Pratchett

Tamburo Billet, il mago, prossimo alla morte, arranca, con il suo bastone, verso il paese di Cattivo Somaro, nelle Ramtop Mountains, “una terra di cime frastagliate, di dense foreste, di fiumi che scorrevano in strette vallate così profondamente incassate che, non appena la luce del giorno aveva raggiunto il fondo, era già ora di lasciarlo di nuovo”.

Il paese è piccolo, uno di quei luoghi che non lasciano grandi tracce nella storia, se non, talvolta “una piccola lapide a indicare che, contro ogni probabilità ginecologica, un personaggio molto famoso è nato a metà altezza di quel particolare muro”.

Là vive un fabbro, ottavo figlio dei suoi genitori, la cui moglie sta per dare alla luce il loro ottavo figlio: questa collocazione nell’ordine di nascita predice la natura di mago del nascituro. E Tamburo Billet, affiancato da Morte, deve trasmettere al nuovo nato il proprio bastone, quale investitura e strumento del suo destino.

I tempi sono perfettamente sincronizzati: Morte ha concesso pochi minuti, giusto quelli che servono al mago per annunciare al padre del nascituro il futuro del figlio,  prendere il piccolo dalle mani della levatrice e chiudere la sua manina sul bastone.

La levatrice, agitata, cerca di obiettare a questo rito, ma viene zittita – “lei è una strega, signore, non le presti attenzione”, dice il fabbro al mago – e tutto si compie, con piena soddisfazione del fabbro e del mago cui, finalmente, la donna riesce a rivolgere la parola.

“Sei contento di te stesso?” chiese la levatrice.

“Eh? Oh sì. Si, certo. Perché?”

La donna scostò un lembo della coperta. Il fabbro guardò giù e deglutì.

(….)

Il mago è sconvolto. “Che cosa ho fatto? Gemette”.

“Hai dato al mondo il suo primo mago femmina” disse la levatrice. “Chi è il furbastro, allora?”

Tutto segue – e non si tratta di un tutto qualsiasi.

Nonnina Weatherwax si farà carico dell’istruzione e della sorveglianza della bambina, che cresce, pare, molto normale, anche se c’è qualcosa che non va. Il padre è preoccupato. “Il guaio con la figlia (…) non consisteva tanto nelle normali disubbidienze, quanto nel vezzo che aveva di seguire implacabile il filo di un argomento anche parecchio tempo dopo che avrebbe dovuto smettere.”

Ora, diciamolo, le donne non dovrebbero comportarsi così. A meno che non siano quel che si dice “delle vere streghe”. Maghi, invece, le donne, mai! Maghi no. Non si è mai visto!

Anche per Nonnina era difficile “Non sapeva mai bene cosa fare con i bambini, che lei considerava (se pure le capitava di pensarci) una via di mezzo tra gli animali e gli esseri umani. I neonati li capiva. Bastava dargli del latte da una parte e mantenere l’altra parte pulita per quanto possibile.” Ma cosa fare con i bambini?

Alla fin fine, “per quanto ne sapeva, era sufficiente impedire che gli succedesse qualcosa di fatale e sperare che tutto finisse per il meglio.

Così inizia la storia. Per sapere il seguito, rocambolesco, se siete curiosi, dovrete leggere. Vi farà bene, fidatevi. Guadagnerete buonumore e anche, perché no, qualche vaga ideuzza – su come va e come invece potrebbe andare il mondo – talmente ovvia da non averci mai pensato prima.