Avvento, tempo di silenzio e di attesa: di un nuovo giorno

Ci avviciniamo alla fine d’anno. Non che, nell’aria, ci sia sentore di feste, anche se le nostre città mostrano già più di qualche sbrilluccichio natalizio fuori tempo e fuori contesto: essendo il Natale una Festa assegnata alla categoria del religioso, questo periodo si chiamava, un tempo, Avvento, ed era dedicato al raccoglimento in attesa della nascita del Messia.

Da non credente, mi dispiaccio del fatto che, a quanto pare, si sia gettata l’acqua col bambino, come si dice; cancellando il bisogno di una consonanza con la ciclicità delle stagioni di vita, con la nostra stessa ciclicità di esseri umani, capaci persino di una rinascita attraverso il prenderci cura del tempo e di chi verrà dopo di noi.

Così, ogni anno vengo colta, a iniziare da quest’epoca, dal bisogno di un personale tempo di Avvento da vivere nei modi che da sempre appartengono alle comunità umane, fin da quando gli uomini hanno avuto nozione – e paura – del buio che ogni giorno si allunga mentre tutta la natura, pur in grande bellezza, sembra morire e la luce lasciarci; vengo afferrata dal bisogno di compiere riti, di creare intorno a me un silenzio, e un tempo, per propiziare il ritorno del giorno e la rinascita della natura.

Sul mio tavolo attendono alcuni libri, tra cui:

di Tullio Pericoli, “La casa ideale di Robert Louis Stevenson”, Adelphi 2017. Una Nuova Versione di un testo breve di Stevenson, che viene pubblicata, a tredici anni dalla prima, ridisegnata da Tullio Pericoli quale equivalente di un “testo a fronte” di quanto la sua fantasia traduce dalle parole in immagini.

E soprattutto – omaggio al mio personale tempo di Avvento – un libro di Emil Cioran, “La caduta nel tempo”, Adelphi 1995. Mi pare l’autore adatto, in quanto nulla di ciò che Cioran scrive richiede di essere condiviso, ma unicamente percorso, come pensiero che si fa, e particolarmente come pensiero del buio che, paradossalmente, indica la possibilità della luce.

Per recuperare, il Cioran lettura-diurna lo richiede, ho trovato per la notte una interessante serie, tre romanzi seriali, gialli ma anche no, di una giovane autrice, Alice Basso, con una protagonista che, di professione, fa la “Ghostwriter” per una bieca grande casa editrice: è bastato questo a incuriosirmi e, dopo il primo, mi sono ritrovata a scaricare gli altri due libri.

Vi ho trovato una buona scrittura, personaggi e trama godibili; il genere di libro che si legge d’un fiato, nonostante una buona lunghezza, e che, in aggiunta, regala qualche risata da soffocare nel cuscino mentre si combatte il sonno per continuare la lettura.

Non so se ne racconterò, ma vedete voi, segnatevi l’autrice, se volete una lettura leggera, di buona scrittura, con personaggi a loro volta di buone letture, e un po’ di allegria.

Nel frattempo, la fiumana trascina, me come tutti, chi più chi meno, presi dall’urgenza di dilapidare i magri guadagni, e l’aver superato indenni un Black Friday consola poco (ma, da noi, il via alla corsa per gli acquisti non era sempre stato dato il 9 dicembre, superata la Festa dell’Immacolata?)

Così, anche le librerie diverranno un inferno, per un tempo davvero troppo lungo. Un caldo abbraccio ai librai delle grandi catene!

E tuttavia. Chi ha, o ha avuto bambini intorno a sé, sa bene l’attesa, e la meraviglia dei regali, anche se la devastazione ha iniziato a infiltrare pure loro, inquinando la festa, distruggendone le ritualità. Non ci si fa caso, perché i bambini sono pochi, talmente rari nella nostra quotidianità da infastidire una maggioranza che non ne frequenta – non so voi ma io, quando sento le filippiche sulla maleducazione dei bambini odierni e i commenti sul permissivismo e l’incapacità dei loro genitori a ricoprire il proprio ruolo, costretti, con i loro bimbi, in un mondo sempre più stretto, di spazi alieni, che non prevedono né bimbi né genitori, ricordo: eravamo tanti, ogni adulto era contornato da bambini, che erano di tutti, non solo dei genitori; ne combinavamo di tutti i colori e, certo, al ristorante magari stavamo composti a tavola per qualche minuto ma, a ben pensarci, chi mai ci andava al ristorante? E quand’anche, ci sarebbe stato sicuramente uno spazio, esterno, composto di terra sassi e erba, e in ogni modo c’era sicuramente uno spazio nelle teste degli adulti, dove ogni bambino trovava posto con tutti gli altri bambini, tanti e tutti più che previsti, nel loro rumoreggiare, e si fosse trattato solo di quello.

A compensare l’assenza di bambini, ecco tuttavia un grande dispiegarsi di merci per loro – tra cui cose ottime, non c’è che dire. Vogliamo dire i libri? In ogni libreria ci troveremo di fronte ad un paradiso di colori, materiali, dimensioni, disegni, suoni, lettere dell’alfabeto che parlano, lampeggiano, giocano tra loro.

Un mondo talmente enorme, e rutilante, che diventa molto difficile per un bambino il desiderare –intensamente, con tutto se stesso, niente di più niente di meno – UNO di quei libri, di quei giochi di lettere e pagine e parole e disegni e colori, e quaderni che vorrebbero illudere, almeno ci provano, farti credere che colorare, scrivere le paroline, e i numeri, e contare, sommare torte e mele e gelati e barchette in mezzo al mare e casette e gattini conigli serpentelli e tigri sarà divertente, chiusi in una stanza – niente più cortili, o una strada dove andar a giocare con altri bambini, niente più la mamma che chiama solo all’ora di cena.

Gli adulti ci si perdono, al reparto libri per l’infanzia, travolti dal sogno di poter avere, tramite quegli oggetti, il figlio che parla prima, più correttamente degli altri, che se ne starà buono in un angolo assorbito nella visione-non-ancora-lettura-ma-ci-vorrà-poco senza chiedere il loro intervento-hanno già-tante-cose-da-fare; ma anche nell’immagine di sé bravi papà brave mamme che leggono le favole al bambino-bambina incantato in ascolto – buono silenzioso e fermo, che si addormenterà sognante.

Resta, non può sparire, quella cosa meravigliosa che, per un bambino, meglio ancora per un gruppetto di bambini, è qualcuno che, la sera, racconta una fiaba; che la legge, e la ripete, raccontamela ancora, e dev’essere di paura, mentre si sta al sicuro, certissimi della vittoria finale del protagonista, e la paura, quella cosa senza forma che ti prende al momento di dormire, che viene nei sogni, ecco, ora prende una forma e sarà affrontabile, soprattutto da chi pare debole, e piccolo, e incapace, e deriso da tutti, proprio come un bambino, che non se ne fa niente del cavaliere possente, dopotutto il principe azzurro di Biancaneve è solo un premio finale, niente di meno ma niente di più (ammesso che sia un premio, ma questo le bambine ancora non lo sanno). E Giovannino senza paura, e l’informazione, che servirà per la vita, sul dover aver paura solo della paura.

D’accordo, mi lascio prendere dalla passione per le fiabe e per il raccontarle – certo, quando ci sono dei bambini, quando è ora di metterli a letto ma, a ben guardare, temo mi piaccia anche ascoltarle per me, perché no. Ascoltarle, non leggerle. C’è bisogno di qualcuno che racconti. Vale per grandi e piccini.

Per la lettura in proprio, si dovrà attendere. E giungerà un tempo difficile, quello da cui tutto dipenderà, per il futuro lettore e per chi non leggerà mai un libro.

Ci sarà bisogno di buoni libri, capaci di trattenere a sé grandi e piccini perché non c’è età per godere di ciò che è bello e una buona storia è sempre buona e se non è una buona storia non andrà bene per nessuno.

Ci sarà ancora bisogno di qualcuno che legga, al bambino, e che, leggendo, provi piacere, che aspetti, anche lui, che giunga di nuovo le sera per poter continuare.

Non so ancora, è solo un’idea, mi piacerebbe proporre dei libri, degli autori, per ragazzi, senza regolarità, come prescritto per i blog, ma con qualche regolarità (magari sarà possibile regolarsi sulle fasi della luna invece che sul calendario solare: sarà meglio la luna piena o la luna nera?)

L’ho già fatto, per dire il vero, ma potrebbe essere altra cosa farlo di regola, con “piena coscienza e deliberato consenso”, si diceva un tempo, come per un bel gustoso peccato mortale d’altri tempi in forma letteraria, così che possa venir perdonato e anzi, persino goduto.

Potrebbe essere un progettino per il nuovo anno. Ci penserò. Tanto per variare il menu.