Andar per libri, con sorprese e curiosità

Settembre…È tempo di migrare? È certamente un tempo che richiama una fine ed un inizio. Saranno rimembranze dei tempi di scuola, sarà che c’è un sentore di fine estate, di “rientro” da qualche luogo, a qualche cosa. È quasi una chiusura d’anno: come un quaderno bianco, intonso, tra le mani.

Due brevi gite in libreria. E sul mio tavolo giacciono, ora, alcuni nuovi libri in attesa. Quattro di questi recuperano una mia colpevole assenza degli ultimi mesi dalle proposte dell’editrice Santi Quaranta, dove, tra cose vecchie e cose nuove, ho trovato ben quattro libri che segnalo, prima ancora di averli letti, ma di cui credo, nel tempo, racconterò.

Antonio Russello, “La luna si mangia i morti”, 2011. Un autore italiano dimenticato, dopo esser stato, erano gli anni cinquanta/sessanta, autore di narrativa e di opere teatrali molto noto e quotato. Siciliano trapiantato, come insegnante, in provincia di Treviso, è stato un autore prolifico; questo romanzo, considerato il suo capolavoro, è stato pubblicato, nel ’59, da Elio Vittorini per Mondadori nella prestigiosa collana “La Medusa”: ed è stato best seller. Una storia nella e della Sicilia del primo dopoguerra, ambientata a Favara di Agrigento, paese natale dell’autore che, in una breve Premessa, lo indica, rivendicando un bisogno, per ogni autore, di essere fedele alla propria terra e alla propria storia, perché “C’è una fedeltà al di fuori della quale se l’autore si mette, rischia di essere orfano, rischia che la sua terra gli diventi matrigna”.

Già qui, in Premessa, viene indicata una scelta di scrittura, e sottesa l’appartenenza a una scuola narrativa, con una perentoria scelta di campo che meriterebbe un bel confronto di idee, se così posso dire. Una scelta, peraltro, da cui sarebbe stato difficile sfuggire nell’immediato secondo dopoguerra – il tempo della storia, della riconquista di una identità, del bisogno di dare conto; il tempo, quasi obbligato, del neo realismo italiano.

Oggi, pare a me, torna ad essere importante ricordare, rifondare la nostra memoria, dopo che più di un autore di quel tempo è stato dimenticato – ancora per un, diverso, obbligo storico. L’oblio di un autore ha le proprie ragioni; anche i libri, e i loro lettori, vivono il proprio tempo – ma tale oblio, per un libro di valore, è come un fiume carsico: il libro riemergerà al tempo giuto suo, senza nulla aver perduto della sua forza.

Oggi, e da oltre dieci anni, l’editrice Santi Quaranta sta, direi cocciutamente, e meritoriamente ripubblicando l’opera di Antonio Russello.

 

Ora un altro libro; che si colloca in un altro tempo, e mostra un altro modo del radicamento alla terra – e dello sradicamento, dello spezzare e del mettere radici – addirittura la scelta di una nuova lingua.

Claudio Segat, “Una sognatrice a Trieste, 2017. Il personaggio di Cora, una giovane donna di Friburgo, la bellissima cittadina del Baden-Württemberg, ci parla del bisogno, dell’urgenza di aprire gli occhi a un nuovo panorama, a un luogo da scoprire, a un nuovo territorio da cui trarre linfa: che sarà Trieste.

Ovviamente sto quasi fantasticando, mentre attendo con una qualche fretta di leggere questo libro, rispetto al quale non ho riferimenti, se non il trovarmi bene nelle pagine leggiucchiate qua e là, e nell’attrazione per un senso, positivo, dello sradicamento quale possibilità dello spirito: mi faccio sempre conquistare, oltre che dagli incipit, e dall’incontro con una frase, un periodare con cui assono, dall’esergo che, in questo caso, regala dei versi di Ingeborg Bachmann:

In questi giorni, non mi duole / di saper dimenticare / e di essere costretta a ricordare.

Amo. Fino all’incandescenza io amo, / e ne ringrazio biblicamente il cielo.

L’ho imparato in volo. / In questi giorni, io ripenso all’albatro / che mi ha sollevata e trasportata / in un paese che è un foglio bianco.

Un nuovo quaderno da iniziare. Intonso. Quanti echi.

Leggo dalla quarta di copertina, che l’autore, Claudio Segat, classe 1960, è un figlio di emigranti veneti; nato in Svizzera, tornato in Italia, con la famiglia. Ecco, una storia che, fronteggiando quella di Russello, affonda le radici in un altro modo dello sradicamento. Sono davvero curiosa. Del libro e dell’autore (che ha scritto altro, che non conosco ancora).

 

E per finire: altri due libri di questa casa editrice: al cui acquisto si è aggiunta una piccola curiosa, combinazione.

Theodore Fontane: una edizione recente di “Viaggio attraverso la Scozia”, 2018, e “Infanzia sul Baltico”, un’edizione del 2000.

Non ho mai letto Fontane, avendo sempre evitato il suo libro più noto, e più rintracciabile, “Effi Briest” – non per caso: non amo il genere (anche se esistono pure per me eccezioni). E a questo proposito, ecco lo strano caso.

Il giorno seguente all’acquisto dei libri di Theodor Fontane, leggo la recensione di Vittorio Ducoli su Il cugino Basilio, di José Maria de Eça de Queirós (qui); leggo di un romanzo che non conosco e di un collegamento a quella che Viducoli definisce, con espressione molto felice, “La trilogia dell’adulterio”: Madame Bovary, Anna Karenina e, per l’appunto, Effi Briest, capolavoro di Theodor Fontane. Penso, vedi che strano. Non è frequente, oggi, che qualcuno ricordi questo autore e, vedi un po’, a mia volta ci sono incocciata proprio ieri.

E mi interrogo, su di me: perché, letteralmente, mi irritano quelle due donne, sia Emma Bovary sia, un po’ meno, ma insomma, Anna Karenina? Sta a vedere che alberga in me una qualche radicata rigidità che mi porta a condannare, senza se e senza ma, l’adulterio? Non può essere!

Segue, naturalmente, la ricerca del libro in Google – lo si trova ancora? – che si conclude su Amazon con risultati divertenti: Tre possibilità cartacee, equivalenti: Il libro si può avere per euro 6,80, oppure 7,65, oppure euro 1.094,99. Ma in e-book, il costo è di euro 0,99: sic!

Mi sa che finirò (non l’ho ancora fatto) per acquistare e leggere Effi Briest (Amazon, cartaceo, a euro 6,80, direi). Si vedrà.

Per ora, mi godrò i due libri di Fontane acquistati. Non proprio immediatamente. Hai visto mai, potrebbero essere preceduti dalla lettura di Effi Briest (a verifica su di me e sulle mie sospette rigidità finto borghesi) – essendo ampliamente acclarato che le donne, borghesi e non, si dedicano all’adulterio né più né meno dei loro uomini. Cosa che, ammesso che ne valga la pena e se ben gestita, forse salva pure molti matrimoni.

 

Devo tuttavia spendere un po’ di parole, rinviando di raccontare della seconda gita in libreria, con il racconto di un altro incontro particolare con un autore interessante: mediatore, anche in questo caso, un blogger.

Negli stessi giorni, forse il giorno prima forse il giorno seguente, sul blog “Libroguerriero”, leggo la recensione del romanzo “L’ombra del campione” di Luca Crovi, editore Nero Rizzoli (qui). Mi incuriosisce, anche se, diciamo di regola, non amo le storie che riprendono personaggi figli di altri padri, e la storia ha, quale protagonista, il Commissario Carlo De Vincenzi, celebre figlio, anni ’30, di Augusto De Angelis. Potrebbe costituire, proprio ora, una buona lettura – è notte e occorre trovare qualcosa da leggere per dormire; sono molto stanca, è esclusa qualunque lettura che richieda particolare attenzione.  Un buon giallo, un e-book al volo, sarebbe la soluzione.

Nel frattempo, mentre riapro Amazon per cercare il libro, il mio pensiero permane su Augusto De Angelis: l’età fa i suoi scherzi, la mia memoria vacilla. Sono certa di conoscere questo autore ma, al momento, affronto un vuoto. La cosa non è rassicurante. Penso: è tardi, sono stanca.

E tuttavia: mentre cerco nella mia testa una collocazione per De Angelis, la mia ricerca lascia Crovi e si rivolge all’autore dimenticato: perché mai dovrei leggere il nuovo libro di Crovi e non invece le storie originali del personaggio? Che sono certa di conoscere e che, dunque, è probabile io apprezzi (i libri che non mi piacciono li ricordo sempre perfettamente, con radicato astio!)

Un veloce controllo. Eccolo, 1888 -1944 e, per la verità, non è stato, come riferisce l’articolo, un antifascista che ha (solo) subito il carcere per le sue idee. È stato ucciso, una volta uscito dal carcere, da un picchiatore fascista. Non che la cosa c’entri con la sua scrittura, si può essere antifascisti e scrivere male, e viceversa. Rimango tuttavia certa di aver letto suoi libri (cosa che, nel mio caso, significa possederli). Scorro nella mente la mia biblioteca gialla (Mondadori no, altre raccolte no, mah!) e non trovo.

Amazon: ed ecco, Tutti i gialli di De Angelis a euro 4,99; per 50 ore e spiccioli di lettura! Stelline: dicono che l’e-book è stampato male, che l’indice lascia a desiderare e, nella mia casa, sicuramente, l’autore c’è. Pure: no. Alle due della notte non si cerca un libro, si buttano cinque euro (per possibili cinquanta ore di lettura) e ci si infila a letto.

Il giorno seguente, sono andata dritta allo scaffale dei piccoli Sellerio ed eccoli: ben tre storie di De Angelis.

Leggerò anche Crovi, la curiosità impera ma, in questi giorni non ho lasciato il De Angelis notturno. Vero, non ricordavo, ma ho ritrovato un autore di prim’ordine. Storia poliziesca a parte; dopo essere stata, per decenni, una fan, da qualche anno, confesso, non amo più particolarmente il genere. Troppo affollato di Commissari improbabili, spesso afflitti da storie amorose che rovinano tutto.

Ma non è un po’ strano che mentre Sellerio dal 2002 al 2014 ha pubblicato dieci titoli su quindici di questo autore, Nero Rizzoli pubblichi: un seguito? Come lo si può definire?

Alla prossima