Segue: (da qui)
Il Novecento. Anni ’30. Il Commissario De Vincenzi indaga. Ed è, per me che leggo, una Milano dei ricordi; di una bambina molto piccola, giorni e settimane a casa dei nonni, Porta Genova, Porta Ticinese, quartieri, allora, popolari, di case a ringhiera; i Navigli, il Parco Solari; il cono di “latte e miele”, panna montata con una spruzzata di cannella, mai più gustato.
Si andava, Via Cesare Correnti, Via Torino, a Piazza al Duomo, e a Piazza della Scala – era bello, lo è ancora, lo sferragliare del tram. Ma si andava anche a piedi, e la città ad ogni incrocio, si faceva più splendente.
Sono ricordi, storicamente, non molto lontani dai tempi del Commissario, ma appartengono ad un mondo totalmente altro. La guerra è finita, le macerie ci stanno tutte ma, ecco, non si sta “ricostruendo”: si sta “costruendo”. Ciò che sta nascendo, ciò che appartiene ai miei ricordi, è un mondo nuovissimo, carico di entusiasmo. Nella volontà della gente, nel cuore, negli atti.
(Davvero? Che ricordi saranno mai quelli; bagliori, impressioni, dei nostri primi anni. Ricordi di atmosfere, qualcosa come un sentimento di vita che resta in noi, in cui memoria racconti e desideri si confondono; attese di qualcosa. Poi leggiamo dei libri e li coloriamo di questi ricordi, che agganciano qualcosa – una parola, uno scorcio, la descrizione di un incontro che, per identità o alterità, risuonano in noi.)
La nostra memoria si espande; risponde a richiami che portano, eco su eco, a riconoscere per nostro il vissuto altrui, quello dei racconti di chi c’era – gli abiti, le pettinature delle signore, la brillantina che sbrilluccicava sulle teste degli uomini sono le stesse. Ed è ricordo: come esperienza personale, diretta, partecipata, nella lettura, nell’ascolto, e nei richiami diversi dei sensi.
Commissariato di zona di Piazza San Fedele. Alle spalle il Teatro Manzoni, quello vecchio; che sarà bombardato durante la seconda guerra mondiale e poi, sì, “ricostruito” – un’altra storia, una storia che continua nel cambiamento, come tutto ciò che vive. Diversa, vicina, la collocazione (qui)
Che storie! Giallo segue a giallo (come forse ho detto, ho tra le mani un e-book con TUTTE le vicende del Commissario De Vincenzi, del “Cavalier” De Vincenzi – l’epoca prevedeva l’uso del titolo, e lui non gradiva).
Che personaggio! “Poeta”, lo chiamano i colleghi; psicologo; appassionato lettore, non di gialli, no, le sue letture scorrono da Pirandello a Platone, passando attraverso Lawrence, “Il serpente piumato”, prima edizione francese 1926. Il nostro Commissario, (a parte Platone: un piccolo vezzo), era al passo con i tempi e con le novità editoriali. Il romanzo di Lawrence fu tradotto da Vittorini nel 1935, ma De Angelis lo cita con il titolo originario francese.
Il grande Pirandello, Premio Nobel, fascista della prima ora, era all’apice del successo, in libreria e in teatro; mentre si approssimava alla fine della sua non lunga vita, avvenuta nel 1936.
Da e con Pirandello, il Commissario legge Freud, ed è, pare, un cultore delle sue teorie.
Ma le storie! Le donne svengono più o meno di default, pure se si tratta di maliarde dai trascorsi equivoci, rotte ad ogni esperienza, uguali uguali, in questo, alle “zitelle” doverosamente acide, in versione secca o in versione cicciotta, secondo gli stereotipi del tempo – che, si badi bene, erano pessimi tanto quanto quelli, diversi ma ugualmente perniciosi, che frequentiamo oggi, e che saranno veduti solo dai nostri nipoti, dalla necessaria distanza prospettica; di là da venire, impensabile, per una donna, il concetto di single al di fuori di uno stigma di zitella o di maliarda dai facili costumi,
Gli uomini hanno vite segrete, intenti biechi, trascorsi indicibili alle spalle; custodiscono segreti inconfessabili. Sono gente che frequenta la Scala, medici di grido, professori universitari, nobili decaduti, faccendieri rampanti. Niente poveracci – ma questo è un cliché del giallo classico. Nell’immaginario comune, e nel desiderio di lettura degli amanti del genere, i poveracci commettono delitti banali, azioni prive di pensiero, dove mancherebbe la componente di analisi sociale che caratterizza, sempre, il genere. A ben vedere il giallo è, pur celandolo abilmente, un romanzo “politico”: crea, o denuncia a se stessi, la coscienza sociale.
Gli ambienti; ci sarà anche Roma – una “trasferta” del nostro Commissario, e un delitto, l’omicidio di un importante regista che, ovviamente, si verificherà a Cinecittà: nata nel ’37, realizzazione del Regime fascista che considerava il cinema un potente veicolo di propaganda e aveva bisogno di escludere dalle sale italiane i film stranieri, la location si prestava mirabilmente a rappresentare, per l’antifascista Augusto De Angelis, una sentina di vizi, malaffare, sordide trame tessute da equivoci personaggi.
E le famiglie? Tanto per cercare una forma di “continua…” al cambio di secolo che, da lettrice, dopo l’Ottocento prussiano di Theodor Fontane, sto vivendo in Itali, a casa mia.
Il passaggio dall’800 al ‘900 mostra una discontinuità reale, potente. Com’è possibile (ma la domanda è, ovviamente, fasulla) che questi fossero i figli di quelli là?
Il salto di una generazione non dovrebbe essere, socialmente e culturalmente, grande cosa. Sia pure con qualche frizione, genitori e figli hanno sempre condiviso, almeno fino a un certo punto della vita, regole sociali, consuetudini, valori. Theodor Fontane, tedesco nato a Neuruppin, nel 1819, una vita trascorsa a Berlino, è morto quando Augusto De Angelis aveva dieci anni. Quest’ultimo, nato a Roma nel 1909, è vissuto, e morto, assassinato per mano di picchiatori fascisti, nel 1944, in Lombardia – nella dolce Bellagio, sul lago di Como. Mondi diversi che, di lì a poco, si sarebbero incontrati nella pazzia, e infine dissolti.
Un cambio generazionale potente – dirimente la Grande Guerra e una pace fasulla e devastante – separerà dunque i padri dell’Ottocento dai figli del Novecento.
Come avviene che riusciamo a parlare, tra noi, di un libro? La domanda parrà retorica fino ad essere sciocca, lo so. Pure, me la sto ponendo, trovandomi catturata da letture che, senza essere capolavori, mi stanno affascinando per: parole desuete che trovano una eco nella mia memoria, un humus culturale capace, lasciandomi incredula, di riportare a galla memorie, un tempo e le sue vicissitudini, da rivedere (anche) nei suoi miti sociali: perché, se il Ventennio tragico è finito a Piazzale Loreto, i suoi miti, arricchiti da un sostanzioso pacchetto di norme per autodefiniti “benpensanti”, ci hanno seguito a lungo; vogliamo dire che quella certa temperie culturale non solo non è mai morta ma ha pure figliato?
I gialli di Augusto De Angelis. Li sta, da tempo, pubblicando Sellerio, (qui) scegliendo, immagino, fior da fiore. Una scelta felice e culturalmente, ma anche dal punto divista letterario, importante.
Il personaggio del Commissario De Vincenzi. Un Maigret all’italiana, è stato detto, con una qualche forzatura, Le sue storie costituiscono, tuttavia, un prodotto di qualità; scritte in un linguaggio che, se ci sorprende con termini desueti, e peraltro curiosi, interessanti da raccogliere, sviluppa con maestria le sue trame, disegna personaggi dotati di vita, ci conduce su percorsi e in ambienti dove sentiremo anche noi di star accompagnando il nostro protagonista (con tutto il dejà vu del caso, ad ognuno e ad ogni età di lettura il proprio). Non va dimenticata una spalla, al personaggio del Commissario, che frequentemente lo accompagnerà nelle sue investigazioni, e che con ogni evidenza De Angelis, creando il primo, in assoluto, giallo italiano su un modello “classico”, anglosassone, ha ritenuto di non poter evitare.
“Il cappello duro, a tese rotonde piatte, nero, lucido per la spazzola, era senza un grano di polvere. La giacca a coda di taglio antico, di stoffa rigida e spessa, nera essa pure, appariva lustra ai gomiti e alle bordure filettate di saia[i]. E le scarpe a punta quadra opache, a elastici[ii], dovevano avere almeno 42 di numero e forse più, un numero che non si trova nelle botteghe.[iii]”
Il sig. Curti Bò – due parole, come lui ripete sempre, presentandosi – è un anomalo investigatore privato che tallona, ma anche aiuta, a modo suo, il Commissario. Ha un sua funzione di macchietta, e, perché no, di pensiero sul caso ma, per la verità, il personaggio appare un po’ appiccicato alle storie. Senza dar disturbo, peraltro, anzi.
Storie sicuramente da leggere. Scegliendo a proprio gusto nel mazzo, sapendo che, dopo il primo “giallo” sicuramente ne selezioneremo un secondo e, prima o poi, un terzo: se siamo amanti del genere, naturalmente; ma anche se ci interessa estendere il nostro tempo; e perché no, confrontare il nostro oggi del nuovo millennio con un ‘900 di cui siamo figli e che mi pare non si sia ancora esaurito.
Avviso in chiusura: se siete interessati, lasciate perdere l’e-book. E fatto davvero male; per dire, manca di un Indice. E i piccoli Sellerio sono sempre oggetti belli e molto fruibili.
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[i] Tessuto tipico inglese, twill
[ii] Sto cercando chi mi dica cosa sarebbero mai delle scarpe “a elastici”. Curioso
[iii] Temo che oggi sia un numero frequentato anche da molte signorine, alte e slanciate. A quanto pare l’avvento della democrazia in Italia ha portato una crescita anche della statura e dei piedi dei cittadini. E va bene: avere solide basi è utile.