Ci sono giorni che chiedono una favola, e un viaggio

Pat O’Shea, “La pietra del vecchio pescatore”, TEA 2010

Titolo originale: “The Hounds of the Morrigan”

Traduzione di Pier Francesco Paolini

 

Come accade che, tra le mani, ti arrivi un libro, datato e a te sconosciuto, quello giusto per il tuo desiderio e per la particolarità del momento? A me è arrivata notizia, subito colta, di questo libro in quanto citato in un altro libro: un riferimento en passant, come si trattasse di una storia che tutti conoscono.

Bene: voi magari sì. Io no. Mai in precedenza ne avevo avuto notizia. È un libro catalogato nel genere Fantasy; e nel genere “per ragazzi”: ed io, su questo, al solito, non concordo. È sicuramente un libro <anche> per ragazzi – pur se con qualche riserva di cui, se ci riesco, dirò –  e viene descritto come un classico della narrativa fantastica di lingua inglese.

Prima edizione 1985, in Italia è stato pubblicato nel 1988 da Longanesi e, in seguito, da TEA (Tascabili degli Editori Associati S.p.A, di cui Longanesi fa parte) nel 1994, nel 1999 e, ultima edizione, anche digitale, nel 2017.

Ora l’ho letto, e ho trovato piacere in questa lettura (ancora, con qualche piccola riserva, che non mi avrebbe mai indotta a lasciarlo; una di quelle cose un po’ così, da vecchia sputasentenze, temo). Dunque, confidando di non essere la sola a non averlo in precedenza conosciuto, e in ogni caso per il piacere (la speranza), nel caso inverso, di un confronto, ne scrivo.

La pietra del vecchio pescatore”: titolo che non rispetta l’originale – “I cani della Morrigan” – sicuramente più centrato. Il motivo della, in apparenza strana, scelta editoriale, potrebbe risiedere nel fatto che, per lettori anglosassoni, “La Morrigan” è, credo, un personaggio mitologico ben noto, è “La Grande Regina del Male, a tre teste, dea celtica della guerra”: in Italia, il titolo originale non avrebbe trovato alcuna eco.

La “favola” – molto lunga, circa cinquecento pagine – è l’opera prima di Pat O’Shea, (1931 – 2007), un’autrice irlandese di libri per l’infanzia che, di suo, pare non aver scritto molto altro, tre libri in tutto: sul terzo, paiono esserci incertezze; e comunque mai pubblicato in Italia).

La pietra del vecchio pescatore”, alla cui scrittura l’autrice ha dedicato dieci anni, sfugge tuttavia alla classificazione assegnata: al di là, o forse nonostante, la volontà dell’autrice stessa.

Per la cronaca, mi sono affrettata ad acquistare una vecchia copia del suo altro libro tradotto – “Finn e gli otto poteri”: in questo caso, si tratta di una vera storia per ragazzi, illustrata come si conviene al genere, per un totale di circa ottanta pagine, illustrazioni comprese; che rapidamente leggerò, in previsione di una lettura ai nipoti. Alla prima occhiata: è simpatico.

Tornando al nostro libro, l’editrice TEA lo presenta così: “Un emozionante e suggestivo capolavoro della narrativa fantastica che ha incantato generazioni di lettori. Due ragazzi e la loro strabiliante avventura in mezzo a streghe e folletti, spiriti maligni e geni benefici, giganti e animali parlanti nell’incantevole scenario della magica Irlanda.”

I protagonisti sono due bambini, fratello e sorella: Pidge, un ragazzino undicenne e la sorellina Brigit, di cinque anni, che vivono in un paesino irlandese con la zia Bina e, molto saltuariamente, un padre, di regola assente per lavoro e sempre molto atteso dai due ragazzini.

L’incipit, un Prologo, pone in campo, da subito, la Morrigan, nella sua triplice natura, facendoci incontrare due delle tre personalità che ne comporranno la figura; e segnando quella che sarà l’atmosfera – meglio: il mondo, la realtà – in cui il lettore finirà immerso.

”Levandosi in alto, su su, salirono in cielo e volarono. Da Ovest e oltre l’Ovest, controvento e col vento, sorpassarono innumerevoli lune e soli. Una rise e, brevemente, portò fra i capelli un diadema di gocce di pioggia iridate. Poi diede malignamente un calcetto a una nube e provocò una pioggia che riempì d’acqua una barca.

A volte si tuffavano entro la scia della luna sulla cupa superficie del mare e, aperte le bocche, ne inghiottivano l’argento. A volte, planavano sul luccicante strascico del sole nell’oceano verde-blu e, spalancate le bocche, ne trincavano l’oro. (…) Silenziose, sempre; tranne quando picchiavano con l’unghia sui denti, ed erano lampi; o quando ridevano di gioia, e causavano tuoni. (…)

Risero, adesso, quando sorvolarono Connemara, la provincia irlandese sull’Atlantico selvaggio, le cui avide onde danno azzurri morsi alle sue verdi coste; e quella risata bastò a distruggere un campo di spighe dorate (…) virando sulla sinistra, volteggiarono nei pressi del lago Corrib (…). Qui sostarono e presero forma, comparendo alla vista: due strane donne in arcioni a una possente motocicletta”

“Aspettavano l’avvento di una terza donna – la Morrigan (…). Tutto questo perché un ragazzo si accingeva a comperare un certo libro, in una libreria di libri usati, nella piccola grigia città di Galway”.

La storia inizierà dunque con una libreria e con un anziano signore che consentirà a Pidge di prendere un vecchio libro malconcio, che il ragazzo si trova a desiderare fortemente senza motivo.

Attraverso le pagine del libro Pidge e Birgit entreranno, e noi con loro entreremo… Ed è proprio così. Ogni lettore lo sa bene. Come pure ognuno sa che, anche attraverso le più varie peripezie, da ogni luogo in cui un libro ci avrà trasporti sarà infine consentito il ritorno: pure se, a ben vedere, no, nessuno ritorna veramente. Quantomeno, non sarà la stessa persona a ritornare: non quella cui è avvenuto di trovarsi catturata dal viaggio dentro le pagine; tornerà solo qualcuno che le assomiglia.

Pidge e Brigit dovranno trovare un luogo dove recuperare una pietra che la Morrigan desidera avere poiché il possesso di tale pietra accrescerà il suo potere. Pidge e Brigit dovranno fare in modo che La Morrigan non si impossessi della pietra e dovranno anzi fare in modo che il potere della stessa venga distrutto.

Sarà tutto molto complicato, qualora volessimo seguire la trama sul fronte logico ma, come sempre in queste storie, sarà totalmente indifferente il fatto di trovare, ad ogni passo, una coerenza stretta con un prima, con un poi, con un perché: che si riveleranno solo alla fine, circa, pressappoco; che si riveleranno come benessere che accompagnerà il chiudersi della storia: Avete presente quella sensazione che prende quando, lanciato un aquilone, questo vola nel vento, libero, sicuro, e ogni cosa pare risolta, rimasta al di fuori del tempo?

I due bambini, più che affrontare e risolvere situazioni difficili, si troveranno, ad ogni passo, ad affrontare nemici che non possono superare, riuscendovi unicamente con l’aiuto di esseri magici, rappresentanti del “Dagda”, il Buon Dio che li protegge e che verrà descritto come “buono per ogni cosa, sapiente, mago, prode guerriero, artigiano, contadino, onnisciente e onnipotente”: il libro è dotato di un ottimo e opportuno glossario dei nomi e delle caratteristiche dei vari dei.

Il Dagda invierà loro, ad ogni passo, come amici, gli dei, le forze, di cui hanno bisogno; mentre Pidge e Birgit riusciranno nel compito di non arrendersi, di aver fiducia, di non abbandonare la speranza e la determinazione.

Chi legge, incontrerà a sua volta divinità amiche, potenti archetipi che appartengono ad ogni mitologia – e appartengono all’interiorità di ognuno di noi – dissimulati in personaggi caratteristici: il Vecchio Pescatore, e poi Cathbad, con la sua tunica bianca; Patsie e Boodie, e la Povera Donna con le anatre e le oche. E comprenderà infine di aver incontrato Birgit, la dea del focolare e Ongus Og, il dio dell’Amore e Maeve, la regina, e Cuchulain, il guerriero ed eroe; e di averne acquisito i doni.

Un libro per ragazzi? Forse sì, da parte mia con qualche solido dubbio.

I due personaggi sono bambini, con cui sarà difficile per un adolescente identificarsi (troppo impegnato a lasciarsi l’infanzia alle spalle). Nel contempo, un libro dalle dimensioni poderose: troppo per la lettura autonoma da parte di un bambino che non sia un decenne lettore eccezionale: e ce ne sono, certamente.

Il libro contiene anche aspetti che mi paiono difficili da accogliere, per un ragazzino, per una ragazzina – ma forse non ricordo più quante cose i bambini comprendono, e quante cose sanno di noi. Forse tendiamo a supervisionare la lettura dei nostri ragazzini per difendere noi stessi, non loro: dalle loro eventuali domande, dal confronto, anche, con la loro capacità di sofferenza, che preferiamo non vedere.

Dunque: è (anche) un libro per ragazzini – buoni lettori e/o aiutati nel compito.

Un libro sicuramente di interessante e piacevole lettura per un adulto che non tema di venir risucchiato dalla propria infanzia; che in questo libro troverà quegli aspetti, di forza, coraggio, immaginazione, fantasia, che non dovrebbero mai essere perduti; la cui perdita impoverisce – lo sappiamo tutti molto bene, nessuno escluso – la nostra quotidianità.

Ecco: l’autrice ha forse iniziato a scrivere questo libro con il progetto di dar vita a una favola per ragazzi: ha finito – ed è giusto così – con lo scrivere per sé: nel corso di dieci lunghi anni.