Un cuore che si protegge

Abdou M. Diouf, “Il pianista del Teranga”, goWare 2020

“Sapete cosa? È faticoso essere noi.

Il libro si apre con una “Presentazione”: dolorosa; e che ogni pagina smentirà, dicendo l’importanza dell’altro, dell’amicizia, del dialogo e dell’ascolto.

Avere la consapevolezza di saper stare bene da soli con se stessi è una gran fatica. Facciamo paura alle persone (…) Si spaventano per il troppo che abbiamo da dare. Credo sia così…

Un cuore che si protegge…”

Il luogo è perfetto: un piano-bar, un luogo in cui è possibile stare, insieme, in silenzio e in relazione; in cui si va per ascoltare; dove l‘ascolto silenzioso e condiviso è dialogo.

In lingua wolof è “teranga”: ciò che si offre all’ospite e che lui si sentirà impegnato a scambiare e a ricambiare, nella reciprocità; qualcosa che dovrà essere comunicato attraverso la buona accoglienza, senza parole necessarie, a chi entra.

Teranga è dunque un luogo dove si entra per essere accolti e accogliere.

Capitolo I: ancora un incipit, in versi.

Piano bar

Un pozzo profondo e oscuro è il mio cuore,

la musica il secchio arrugginito che,

di tanto in tanto,

porta in superficie le cose,

le emozioni, i sentimenti, le storie.

Le parole.

“Il pianista del Teranga” è una storia essenziale, piana, e insieme contenitore di tante storie, dove vite si incontrano, si intersecano, si parlano, attraverso i tempi e la distanza. È una storia di storie.

Narrata, alla prima persona, dal giovane pianista del Teranga, protagonista senza nome, di cui conosceremo una vita che si va facendo, nel momento dell’incertezza, della solitudine, della domanda e dell’ascolto; mentre, ci sarà chi racconta storie, o lascerà sfuggire pezzetti della propria vita – difficile dire che ne conosceremo i fatti; ma vero è che non saranno i fatti a dirci di qualcuno chi è, o chi diventerà.

Pianista – così lo chiamano ascolta storie, suonando le canzoni che i clienti, per lo più presenze fisse, gli chiedono; ascolta le storie che, fuori orario, o se arriva al lavoro con un po’ di anticipo, gli racconterà Samba, il proprietario e unico gestore del piano-bar.

A poco a poco, Pianista cerca una strada per condurre a un porto la propria storia, mentre il suo pensiero narra al lettore il punto in cui la sua vita si è inceppata, o il fatto che è sempre stata inceppata; e ascolta storie di altre vite, e di come possono incrociarsi con la tua, tra di loro, separarsi, rimanere unite in tanti modi.

Pianista ha il cuore chiuso, e ha bisogno di essere curato. Pianista è balbuziente, e questo lo porta ad avere molta cura delle parole, a sceglierle.

Abdou M. Diouf

Samba, origini senegalesi, con l’aspetto, ci viene detto, da gigante montanaro, è stato per trent’anni pianista di piano-bar, poi basta. Per qualche suo motivo.

Porta dread colorati; veste una tunica fatta di quadrati di stoffa di diversi colori che gli ha cucito la moglie.

“Si chiama boubou. Ogni pezzo lo ha scelto e cucito mia moglie. Dentro ognuno di noi abitano tante, troppe persone, mi piace pensare che ogni pezzo di stoffa sia una di quelle persone e che mia moglie, amandoli tutti, indistintamente, li ha uniti insieme.”

Il Teranga è lui; sono le persone che lo abitano, ogni sera, o per un sola sera; per ascoltare i propri pensieri, fare e ascoltare musica; e storie, bevendo qualcosa di speciale che Samba prepara a misura di ognuno.

“C’è chi viene qua per due ore e non torna più, chi viene per poi tornare quando gli va e chi viene perché ha trovato il suo posto nel mondo.

C’è Mr. Tambourine, che canta sempre la stessa canzone, e tutti ascoltano.

C’è Naoko, la donna dalla bellezza indescrivibile che indossa sempre un kimono e ha, per sé, un bicchiere speciale, la cui storia non racconterò perché è bellissima e dovrete leggervela.

C’è una donna, piccolina, che “quando cammina sembra quasi danzare, come un passerotto, e canticchia sempre “Padam Padam.”

E, fuori dal Teranga ma dentro Pianista c’è, con la sua “Lei”, Nina Simone; la voce, la musica, la domanda: Vorrei sapere come ci si sente a essere liberi.

I tavolini del Teranga, al posto del numero, sono contraddistinti da un bonsai, a ogni cliente il suo, un posto fisso. Le pareti sono ricoperte da fotografie, quadri, vinili. Uno spazio libero è stato dipinto con il disegno di Bansky della bambina che lascia sfuggire, o a cui sfugge, il palloncino: il disegno della speranza, dirà Samba, che “a volte sembra sfuggirti dalle mani ma in realtà è sempre lì vicino.”

Samba è un uomo di poche parole; che tuttavia sa raccontare e ama farlo: e che inizierà a narrare a Pianista la storia di ogni fotografia, di ogni oggetto, di ogni “memento” che le pareti mostrano. Storie note e meno note; e nuove storie da scoprire.

C’è la foto di Giovanni Falcone che sussurra all’orecchio di Paolo Borsellino, storia di amicizia, consapevolezza e coraggio, che è altro dal non aver paura – che il racconto fa vivere, per dettagli, ricordando:

“Due teste di minchia che avevano sognato niente meno che sconfiggere la mafia applicando la legge. Li volevano morti. Li hanno resi immortali.” Con Francesca, Vito, Rocco, Antonio.

C’è la storia di Peppino Impastato.

C’è la foto di Thomas Sankara, il Presidente del Burkina Faso che fu assassinato il 15 ottobre 1987 insieme a dodici ufficiali in un colpo di stato sostenuto da Francia e U.S.A.

Ci sono Miriam Makeba e Italo Calvino. In compagnia con Francesco Guccini. E con tanti altri.

Storie: vere, universali, e personaggi di invenzione totalmente veri, e oggetti – esisterà davvero una chitarra, chiamata Mare di Mezzo, costruita con legni recuperati dai relitti dei barconi arrivati a Lampedusa? Non è importante: pensarla è renderla vera. Perché è una strana cosa la verità, ed è sempre reale.

Dimenticavo un personaggio, non secondario, che sta a di fuori dal Teranga, dentro la stanza dove Pianista vive e trascorre le sue notti scrivendo.

È Olivetti 32, il cui acquisto era stato accompagnato dalle singolari parole della venditrice:

“È una macchina da scrivere speciale, passata di mano in mano a tante persone…Artisti che hanno scelto il ticchettio dei tasti per raccontare il mondo che avevano dentro. Ognuno di loro ha lasciato qualcosa di suo tra questi tasti: le proprie emozioni.

Se scrivendo non ti verranno le parole, fermati, ascolta bene la macchina da scrivere: ti parlerà.”

C’è anche la storia di Pianista dentro queste pagine; ed ha la sua importanza, e si intreccia con il Teranga e tutto il resto. Ed è una buona storia: non facile, né consolatoria. Che lascia al lettore la sua responsabilità.

È una storia che sta anch’essa nello speciale luogo della verità. Quello in cui ognuno si riconosce.

Non so dire se questo libro sia un capolavoro: è sicuramente “Un Libro”, di quelli che restano con te. Mi ha catturata in un modo che quasi non ricordavo; nel modo in cui mi accadeva troppo tempo fa; quando incontravo pagine scritte proprio per me, pagine per sempre. Accadeva quando ero molto giovane.

Poteva accadere, ma non è questo il caso, anche con libri che, oggi, forse, neppure considererei leggibili; accadeva con grandi libri che prendevano le mosse da una domanda particolare, che aveva a che fare con me in quel modo, dimenticato, che chiedeva la scoperta del mondo, e di me dentro il mondo; pagine che oggi avrebbero forse il sapore dell’ingenuità: una scusa, per pagine da cui oggi potremmo sentire di doverci difendere.

Appartiene tuttavia, e per fortuna, ad ogni età l’incontro con libri che incrociano domande al momento giusto.

E chissà come, e perché, questo libro mi richiama alla memoria un libro totalmente diverso…

In queste pagine, oggi, come in quelle altre pagine, un tempo, mi sono persa, mi ero persa: oggi, nei ricordi delle domande, e nelle domande, che non chiedono – le vere domande non lo fanno – una risposta.

“…e pensavo al laghetto di Central Park (…). Chi sa dove andavano le anatre quando il laghetto era tutto gelato e col ghiaccio sopra?” – domande importanti, che hanno un’età, e persino irritano quando quell’età non c’è più.

Mi correggo, domande di fronte alle quali oggi sceglierei, forse, di irritarmi, per cacciarle, perché un po’ fanno male.

“Il pianista del Teranga” non è un romanzo di formazione; Niente a che fare con “Il giovane Holden” (dovrò rileggerlo?); molto a che fare con storie, con pezzi di realtà e vite che, riportate al ricordo, destabilizzano la quotidianità, quella che ci consente di percorrere le ore e gli impegni del giorno senza – per l’appunto – domandarci, come accadeva in un altro nostro tempo, dove siamo, e cosa ci facciamo nel posto che la vita ci ha riservato, complice il nostro aiuto mai innocente.

Un bel libro? Sì. Una buona scrittura, capace di consentire al pensiero di scorrere dentro la pagina e appartenere al mondo che le apre dinnanzi

Vi troveremo storie di vite esemplari, note e meno note; storie che il tempo ha conservato integre o lasciato che se ne andassero, cullate dalla corrente della vita che continua, dentro cui hanno lasciato una traccia; storie che farà bene farà male riprendere tra le mani e nel cuore, nel pensiero, così da ridar loro forza e riportarci a un tempo in cui le domande non ci irritavano.

Padam Padam” – cantava Edith Piaf;

«Il dit “rappelle-toi tes amours”

Rappelle-toi puisque c’est ton tour

Y a pas de raison pour que tu ne pleures pas

Avec tes souvenirs sur les bras»[i] 

Ritroveremo canzoni – o scopriremo canzoni, che a loro volta saranno, o ricondurranno a ricordi o a domande che lasceranno ad ognuno la scelta di rispondervi.

Dimenticavo, ed è forse l’essenziale: Uno entra al Teranga e percepisce un odore, buono, particolare e, che strano, è un forte odore di libro nuovo. Chissà perché.

Ci sarebbe qualcosa da dire dell’autore; e della CE. Un’altra volta.


[i] Edith Piaf, “Padam padam”:

«Dice:” Ricordati i tuoi amori”
Ricordati perché è il tuo turno
Non c’è nessun motivo perché tu non pianga
Con i tuoi ricordi tra le braccia»