Ho appena terminato la lettura di “Tempo di regali”, di cui ho già anticipato qualcosa qui. Un libro-viaggio la cui prima tappa si chiude in Ungheria, su di un ponte che separa le due sponde del Danubio, con un’ultima importante parola: “CONTINUA”:
E io avrei dovuto-potuto leggere queste pagine ad un’altra età, ma va bene ugualmente. Dopotutto, fa parte della vita il fingersi immortali.
Ora, mi attende la lettura di “Fra i boschi e l’acqua”, il secondo tratto del percorso che il diciottenne Patrick Fermor ha compiuto a piedi, solo, dall’Olanda a Costantinopoli, per restituircene la cronaca, molti anni dopo, ad un’età arricchita dalla maturità, che permette di meglio vedere la nostra prima giovinezza.
Sarà un proseguimento di lettura da non intraprendere nell’immediatezza – e da non ritardare; il tempo di far depositare ciò che è stato vissuto, per riprendere un cammino che (mi) porterà verso terre, e favole, credo, sconosciute. È il 1935. Alle spalle un anno di cammino, mentre l’Europa si avviava alla tragedia, e forse, ancora, non sembrava possibile.
(Come ci sentiamo noi, oggi? Come ci si sente, prima che tutto accada? Quando si lotta per piccolezze, per aspetti di dettaglio dentro grandi problemi pur di chiudere gli occhi; e con tanta più violenza quanto più diviene difficile non vedere, non guardare.)
Farò dunque una piccola sosta prima di superare quel ponte. Nel frattempo, dovrò scegliere i libri che mi accompagneranno nel viaggio. Occorrerà scegliere con cura almeno un libro – il diciottenne Patrick Fermor aveva portato con sé L’Oxford Book of English Verse (che, leggo, era considerato il “libro da zaino”, e che lui perse, tempo un mese, insieme al sacco a pelo: senza grandi rimpianti, né per l’uno né per l’altro) e il primo volume delle opere di Orazio.
Ed ecco un tema importante: un ragazzo, scapestrato a scuola, che aveva collezionato espulsioni su espulsioni in più occasioni; che alla fine lasciava la scuola per andarsene a conoscere il mondo; uno che, sul passaporto, alla parole “professione” voleva scrivere “vagabondo” e fu indotto da un sorridente addetto dell’ufficio passaporti a preferire “studente”, opta per <quei> due libri, in un tempo in cui c’era di che scegliere, se pure non si godeva della disponibilità e della foresta di libri che oggi sono alla portata dell’immediatezza e di tutte le tasche (quantomeno confrontando il costo/valore di un libro con quello di altri beni di uso comune, a carattere voluttuario, e dunque molto limitatamente necessari).
Da tempo, e credo di averne quantomeno accennato, mi chiedo se, oggi, paradossalmente, non si legga troppo, con esiti correlati alla legge economica che associa la grande disponibilità di un bene alla sua perdita di valore (con la perdita di qualità connessa). Da prendere in considerazione.
Nel mentre, ho in corso la lettura di “I racconti del libraio” di Martin Latham, “Rizzoli 2021. Una storia del libro e dei lettori scritta da un tale che ha lasciato una carriera accademica al suo inizio, scegliendo di fare il libraio.
In “I racconti del libraio” si parla, tra molte altre cose, di “libri di consolazione”. Tema interessante. Ha pure una bella copertina. Chi sono quei tali, disegnati all’interno di una libreria? C’è almeno Virginia Woolf, direi.
E chiude (e va bene, ho sbirciato) così, con i Ringraziamenti:
“Per cominciare, grazie a tutti voi, acquirenti e amanti dei libri: Ogni giorno siete la prova che la vita non è solo guerre e bucato. (…) Io sono cresciuto in una casa con sette fratelli e sei inquilini. Le conversazioni con mia madre mentre stendevamo la biancheria…”
Non c’è dubbio, a casa sua i fili della biancheria dovevano essere stabilmente gremiti. Immagino un prato…
Anche questo è un libro che fa viaggiare il proprio lettore: nello spazio e nel tempo. Tra biblioteche, librerie e bancarelle ci racconta non <la> storia ma <tante>, varie, storie del libro; e dei suoi lettori – quelli reali, niente a che fare con la critica paludata.
Sarà, forse, la prossima “recensione” anche se credo di sapere già, fin da ora, che finirà per essere altro; so che amerei chiacchierare, a partire dal libro, del fatto che, oltre a regalarmi spunti di lettura, aneddoti, vite e storie di lettura vissuta, spaziando letteralmente nei millenni, questo libro mi sta regalando un reale benessere, facendomi sentire cittadina di un grande mondo nella mia vita di lettrice. Mi sta anche dicendo che qualcuno ha avuto il coraggio di lasciare tutto ciò per cui aveva studiato, su cui aveva investito tempo e impegno, per essere un libraio: accidenti a me; sarebbe stato possibile farlo – ma già questa è una soddisfazione; il fatto che lo sia, che qualcuno, ancora e sempre, lo faccia.
Ho sempre più il problema di dare una sistematicità alla mia biblioteca, che chiede di essere riordinata, censita, e in parte smobilitata mentre mi ritrovo incapace di liberarmi di un solo maledetto libercolo che mai più leggerò, la cui lettura mai ho completato, di cui non sentirei la mancanza (e invece sì, chissà perché).
Che dite: apro una bancarella (appena se ne andrà questa pandemia)?
Perché il problema non è, non realmente, il rinunciare a un certo numero, o anche a molti, dei miei libri. Dopotutto, ci sarà un perché nel fatto che li ho sempre prestati e perduti. Il problema è che voglio farli adottare da qualcuno che ne abbia cura, che li ami, che li faccia propri. Il problema è come fare a far trovare loro una casa sicura, dopo che avranno lasciato la mia. Ecco. Si tratta di questo, ne sono certa; il problema sta tutto qui.
Prima o poi, il mercatino mensile dei libri riaprirà; dovrò farmi una chiacchierata con qualche bouquiniste.
Per ora, ho scelto i due libri da portare con me, nella prosecuzione del viaggio verso Costantinopoli. Tenendo conto del fatto che si tratta di un viaggio della vita (che, ebbene sì, si può fare anche con un libro, o con più libri; con il vantaggio, rispetto a un viaggio reale, di poterlo ripetere ad libitum ritrovandolo sempre nuovo e diverso).
La scelta dei due libri per il viaggio è stata compiuta; ed è stata, credo, un frutto della serendipità di un incontro. In libreria. Non stavo cercando questi libri.
È stata una gita in libreria memorabile, ecco. Perché ora sono tornata in libertà (anche se cosa me ne faccio, vivendo dentro una comunità di prigionieri? Ma è una sensazione potente, davvero).
Vaccinata, un buon AstraZeneca monodose, avendo avuto io la fortuna di aver contratto un Covid deliziosamente asintomatico e curato a sigarette. La fortuna pare aiuti sempre chi non lo merita, e io pare me la sia accaparrata a piene mani, armata solo di un’attitudine verso la vita alla Micawber: “Qualcosa dovrà pure andare per il verso giusto”.
Ho scelto i miei due libri, dicevo, che so essere quelli giusti per me, ora.
È questo un tempo in cui non mi cattura un romanzo, una storia, una fiction; neppure un racconto, anche se meglio accolto, si presta veramente al bisogno. Ci può stare un vecchio giallo-passatempo, che è pura evasione e, pur se di qualità è, a suo modo, riposo, intermezzo; qualcosa di diverso dal bisogno e dal piacere della lettura.
Credo che questo avvenga perché, per entrare in una storia, bisogna provenire da una storia, e in questi giorni anomali, senza storia, vaccinata o no, trascorsa l’euforia del momento, sono ancora imprigionata dentro questo perdurante giorno della marmotta che dovrà finire per tutti o non finirà per nessuno.
E allora ecco: mi occorreva altro; occorreva qualcosa che avesse a che fare con un tempo lento e, perché no, con un non-tempo. Con la lentezza. Con la solitudine e con relazioni.
Virginia Woolf, Lytton Strachey, “Ti basta l’atlantico? Lettere 1906 – 1931”. A cura di Chiara Valerio e Alessandro Giammei. Edizioni Nottetempo 2021
John Milton, “Paradiso perduto”. A cura di Frank Kermode, Con un saggio di T.S. Eliot. Testo inglese a fronte. Mondadori 2020
Un epistolario, dunque, di due importanti autori-personaggi della scena letteraria e sociale del ‘900 (e, nel caso di Virginia Woolf, di una scrittrice, ma non solo, molto amata). È una lettura che rispetta i tempi del vivere con lentezza. Potrebbe essere interessante – anzi, lo sarà – sorseggiare queste pagine avendo atteso, tra l’una e l’altra, che arrivi il postino.
“Paradiso perduto”: una bella edizione, questa di Mondadori, ristampa di un libro che non si trovava più facilmente.
Desiderio di uscire dal tempo, momento giusto per una lettura che chiederà di non misurarlo, il tempo. Non solo di questa lettura. Una parentesi da istituire, che certo non potrà essere condivisa ma che potrebbe portare frutti. Non lo so. Mi pare la giusta compagnia per il viaggio. Poi si vedrà.