Sta accadendo qualcosa alle mie abitudini di lettura

Questo è un pistolotto, temo. Che dovrebbe chiudersi – ma è meglio mettere il nocciolo del tutto in premessa – con una comunicazione.

Questa: La libraia virtuale manterrà aperti i propri locali nel corso di tutta l’estate (niente ferie o chiusura); altri libri entreranno ad arricchire gli scaffali; e si faranno altre chiacchierate (sono irriducibile, a questo proposito, temo), ma, almeno per tutto il periodo estivo, ridurrà la propria attività.

Lo farà riducendo il numero di nuovi libri che troveranno posto nei propri scaffali; nonché orientando le proposte di lettura –  le eccezioni non costituiranno una disconferma – su testi che il tempo abbia già accreditato; su testi, magari, perché no, di seconda linea, forse un po’ dimenticati.

Che dire: lo avevo già detto, senza sapere che lo avrei fatto. Forse sto desiderando di essere (anche) una bancarella di libri usati.

O forse ho solo un grande desiderio di schiodarmi dalla tastiera, di uscire, di andarmene al bar, al ristorante, a fare shopping, a incontrare gente. E tutto il resto è una scusa.

Resta, tuttavia, un fatto-problema: sta accadendo qualcosa alle mie abitudini di lettura.

È indubbio: e ora ne sto solo prendendo consapevolezza. Con qualche stupore, direi. Ponendomi tuttavia, nel contempo, una domanda; confusa, importante.

Eccola: c’è davvero, nelle mie abitudini di lettura, un cambiamento in corso o non sono, invece, i libri che stanno divenendo qualcos’altro; qualcosa di diverso? Nella loro anima, direi. Da cui un loro uso compulsivo, usa e getta (per fortuna sono e-book): cerca una storia, bevitela a canna; ricerca un’altra storia-svago, preda di una acuta insofferenza, alla ricerca di non si sa cos’altro.

Libri? No davvero. Passatempi: a stampa.

Quel tale libraio (qui) parlava di libri di consolazione: bellissimo concetto, altra cosa. Parlava di libri, veri, anche al di là del loro valore intrinseco; di libri che sarebbero rimasti nella nostra memoria comunque, legati ad un momento di vita, ad un’età. Libri che sono stati per noi le parole giuste al momento giusto.

Samuel Butler

Ci sono, certo, anche i libri di intrattenimento: buone storie, finalizzate allo svago del lettore, che potranno variare dal libro di qualità al libro che non meriterebbe di venir conservato. Mai, tuttavia, si tratterà di libri acquistati con un intento usa e getta!

Qualche volta si riveleranno inattese letture importanti. Ed è felicità quando si inciampa in pagine capaci di integrare una funzione di intrattenimento con un apporto di conoscenza, maturazione di idee e – vorrei dire soprattutto – con la pulizia, la compiutezza della scrittura: non una riga in più o in meno, non una parola che non sia proprio quella, la nota giusta, della giusta lunghezza, nella battuta.

Ed è lettura: niente di più niente di meno. Perfezione: che consola di molte cose.

Ma c’è un cambiamento nell’aria; e sta infiltrando le mie abitudini di lettura, intruse da un usa e getta pagine che avrà pure a che fare con la vita da divano di questo tempo ammalato (tempi morti nel corso del giorno, attesa del telegiornale, addormentarsi senza ritrovarsi a giocare con un pensiero che finirà per cacciare il sonno), ma che ha anche a che fare con qualcosa che sta accadendo ai libri.

C’è – lo sento e non credo di sbagliarmi – una saturazione, un’invasione di pagine alla qualunque, che stanno soffocando il lettore così come le librerie; che stanno soffocando l’editoria.

Imperversa nei social – e pare normale! – una forma di editoria d’accatto che invita chiunque abbia un manoscritto nel cassetto a farsi avanti con il proprio diario o la propria storia più o meno fantasy più o meno horror; offerte di pubblicazione senza selezione! senza cura professionale del testo; qualcosa a metà tra il self-publishing e…non so. Idem per le agenzie letterarie, un tempo sconosciute, che ora emergono e si autopropongono a pioggia.

Nel mentre, l’editoria “ufficiale”, dei grandi marchi, ha dimenticato i tempi in cui (immagino io? Forse) riteneva suo compito lo scouting letterario, l’aver cura di far “crescere” il giovane autore; e si limita ad acquisire, in seconda battuta, autori accreditati da piccole-grandi case editrici di qualità che, in parte, svolgono, pare, tale funzione per, di fatto, il grande marchio.

Operazione che – posso dirlo? – talvolta risulta mortifera per l’autore che si troverà a doversi misurare non più con i propri tempi e la propria creatività ma con forti esigenze di mercato. Che potrebbe trovare in questa operazione la propria morte.

La crescita di un fenomeno, o di un insieme – e la popolazione dei libri, e dei lettori, non fa eccezione – superata una certa dimensione, ne cambia le caratteristiche: ed il “di più, sempre di più”, diventa il “qualcos’altro.

C’è poi il mezzo: l’e-book, per me, per la salute dei miei occhi, per la possibilità di avere sempre con me i libri cui tengo, è benemerito; e tuttavia: sta portando un cambiamento o ne è il frutto. Con quali esiti?

Ad esempio, ci rivela che quel mondo alfabetizzato finalmente divenuto realtà, quel mondo sognato dove tutti sanno leggere e scrivere; quel mondo informato e capace di pensiero (e lasciamo stare le storielle sull’analfabetismo di ritorno & co. Mai, in tutta la sua storia, il mondo è stato alfabetizzato come oggi, pure se si può sperare di meglio), quel mondo, dicevo, al risveglio dal sogno, si rivela “una terra desolata”.  

Le mie abitudini di lettura stanno cambiando, dicevo: e forse la pandemia ha offerto l’occasione per un disvelamento. E tutto ciò accade perché – e lasciamo stare anche la pandemia – il mondo che abitavo, che abito, se ne è andato per una sua strada e io là, ferma, a credere di abitarlo ancora.

Questo che sta accadendo (e sono molte le cose che stanno accadendo, inutile elencarle) sarà qualcosa a rischio di permanenza? Qualcosa che le contingenze del tempo hanno portato a massa – oppure alla fine (?) dell’<emergenza> (dell’una o dell’altra), torneremo: a quale mondo?  Tipo: a quello dove le librerie avevano una loro precisa e insostituibile funzione? Che peraltro, ad oggi, nulla ha sostituito.

Non torneremo, ed è bene, a quando librerie erano luoghi sacri, per pochi – per qualcuno di più – idealmente, nel desiderio, per tanti: non per tutti. A quando erano l’altare e lo abitavano dei sacerdoti.  

Ci sono cambiamenti in corso: lo sappiamo tutti. Potremmo addirittura dire che, ai nostri giorni, è di scena <Il Cambiamento>. Fingiamo di non saperlo; di poterlo pensare come esterno a noi. Noi siamo qui, armati del nostro modo di vivere, dei nostri strumenti, nonché, ogni giorno, di strumenti nuovi (che bello!) e lui, Il Cambiamento, è lì, fuori di noi, che dovremmo solamente trovare adattamenti per continuare ad essere quelli che siamo e fare la vita che facciamo. Rimanendo uguali. Magari quel tanto invecchiati, quel tanto cresciuti – avviati all’Età Forte! – ma pur sempre noi: che siamo qui, mentre il mondo è là.

Cambia il clima; cambiano le società e le loro organizzazioni; la nostra casa è affollata; siamo sempre di più a pesare sul pianeta, saremo sempre di più (sarà possibile? Male che vada ci saranno “Marte” o “Venere” o un po’ più in là).

Per ora è inutile pensarci. Per ora, restiamo qui, al più adattandoci. Ad alcuni andrà tutto bene, ad altri meno. Per qualcuno – per molti – la catastrofe è in corso.  Ci dispiace.

Sta accadendo qualcosa alle mie abitudini di lettura, dicevo. Pure se non so bene in cosa consista. Provo una lieve ma persistente sensazione di nausea unita ad un, questo sì davvero persistente, bisogno di pagine da ingurgitare: una forma di dipendenza che toglie piacere alla lettura.

Nel mentre, ci sono <I Libri>. Per fortuna, quelli non tradiscono.

Libri da leggere con lentezza. Da assaporare. Da cui farsi intridere. Libri in cui ritrovarsi. Che tuttavia appartengono, forse – come me? – ad un altro tempo; anche se freschi di stampa. Non lo so.

Ci diciamo che il mondo ha visto cambiamenti a iosa. Le sue società si sono succedute declinandosi diversamente, di era in era, senza perdere una linea di continuità che ci permette – è il Libro! – di raccontarci, di sapere e dire di noi.

Eppure, sappiamo tutti molto bene che le cose non stanno così; che decliniamo la Storia in quanto <nostra> – occidentale, bianca, suprematista – magari allargandone un po’ i margini, accogliendo nel club chi, più o meno, ha acconsentito al nostro punto di vista. Come siamo buoni noi! E ciechi.

A nessuno, peraltro, è dato prescindere, per la propria comprensione del mondo in cui vive, dalla propria cultura di appartenenza. Ne deriva, è inevitabile, la relazione di ogni lettore al Canone che il suo sguardo assolutizza e che farà da pietra di paragone per giudicare ogni artefatto (ogni norma di comportamento, ogni sistema di valori, ogni modalità di relazione) altrui.

Per bene che vada, potremmo impegnare un qualche sforzo per relativizzare, quantomeno a livello razionale, il nostro punto di vista; per saperlo orientato, provvisorio, parziale; e tenerne conto.

Nel frattempo, “Il paradiso perduto” continua a rallentare positivamente questo mio tempo impazzito. La corrispondenza tra Virginia Woolf e Lytton Strachey (“Ti basta l’Atlantico? Lettere 1906 – 1931”, ed. nottetempo), è una compagnia piacevolmente pettegola (davvero si può occhieggiare la corrispondenza privata altrui? C’è un retrogusto piacevolissimo da buco della serratura; il fremito quasi erotico del timore di venir colti a spiare).

Per la notte, si è infiltrato di soppiatto   Samuel Butler e il suo “Erewhon”. Al bisogno seguirà “Ritorno in Erewhon”.

E poi giallacci improbabili: che anche basta!

Lo ripeto: la libreria sarà sempre aperta. Non escludo due chiacchiere, né un anticipo di lettura, ma – sta già accadendo – mentre voi cercate qualcosa negli scaffali (cosa che spero continuerete a fare), me ne resterò seduta in disparte a leggere. Roba buona. Per i fatti miei. Per un po’.

Non so cosa ne uscirà.