Proibito ai minori

Dopo Erewhon, è quasi d’obbligo proseguire un viaggio nel tempo, retrocedere di quasi centocinquant’anni (dal 1872, tornare al 1726) e andare a conoscere le avventure di Lemuel Gulliver: medico, capitano di nave, viaggiatore – e critico asperrimo del proprio mondo.

I viaggi di Gulliver
ed. SE 2012
Traduttore G. Celati

Il nome del personaggio costituì lo pseudonimo sotto il quale Jonathan Swift (1667 – 1745) pubblicò, presso l’editore londinese Benjamin Motte, la prima parte di “I viaggi di Gulliver”: si trattò di una prima pubblicazione monca, il cui testo fu in parte censurato in parte modificato dall’editore che lo spacciò anche, forse, come un libro per bambini.

Nel 1734 un nuovo editore, l’irlandese George Faulkner, pubblicò l’intera opera, nel testo, si suppone, originario di Swift. Dopodiché, molto si sarebbe potute dire di quest’opera ma sicuramente NON che si trattasse di un libro per l’infanzia.

Tale assegnazione è tuttavia rimasta, al di là di ogni logica, e al di là di ogni qualsivoglia commento critico, fino a ridurre, di molto, temo, la lettura di un libro che, conosciutissimo nelle sue forme spurie, fronteggia, tuttora, un fattuale rifiuto ad essere letto per ciò che era, ed è.

II viaggi di Gulliver in vari paesi lontani del mondo” (ed BUR, traduzione di Ugo Dèttore, Introduzione di Maria Luisa Astaldi, 1981) non è mai stato un testo per l’infanzia. È stato, ed è, un testo altamente saccheggiato dall’industria del libro illustrato per bambini.

Ne è risultato l’oscuramento di un libro che, oltre al suo valore come opera in sé, costituisce uno degli antesignani del genere fantastico-satirico; un genere che avrà un importante seguito nella narrativa britannica dell’ottocento.  

La storia: falsamente ben nota, credo, quantomeno a grandi linee è, in realtà, misconosciuta e inattesa, totalmente sbalorditiva per il nuovo lettore che la affronti nella sua versione integrale. Chi ha letto questo libro non potrà che concordare.

È pure un libro di dimensione corposa. Ho sottomano una vecchia edizione BUR, in due volumi, che in totale contano cinquecento trenta pagine.

Il lettore cui il libro si rivolge (che emerge attraverso un incipit molto particolare) è – parole dell’autore – “il cittadino inglese” che avrebbe dovuto/potuto essere “ammaestrato” dalle esperienze di Lemuel Gulliver: nulla a che fare, dunque, con l’infanzia; e molto a che fare con la personalità e gli interessi politico-sociali di un personaggio, quale Jonathan Swift, la cui vita e la cui storia sono, diciamo, particolari.

I viaggi di Gulliver – Immagine di copertina vol II, ed. BUR 1981

Il libro ne “dice” qualcosa, tuttavia Swift resta un autore, e un personaggio del suo tempo, di cui sarebbe interessante approfondire la conoscenza. Ne ha scritto Maria Luisa Astaldi, nel suo libro “Tre inglesi pazzi” – biografia di Jonathan Swift, Ben Johnson e William Beckford (il secondo dei quali è a me sconosciuto, e sono curiosa) – che, se tutto va bene, riceverò a giorni. Poi magari, ne racconterò.

Sempre la Astaldi (a sua volta una letterata italiana che meriterebbe di non venir dimenticata) ha scritto una interessante introduzione a “I viaggi di Gulliver”, edizione BUR 1981. 

Lo spazio è tiranno e dovrò tornare in tema, al libro.

I viaggi di Gulliver si apre con l’invenzione di una lettera dell’editore che, rivendicando la propria amicizia e lontana parentela con l’autore, spiega come abbia ritenuto di pubblicarne i resoconti di viaggio e come abbia altresì ritenuto di dover operare necessari tagli, essendo l’opera carica di dettagli di poco interesse per il lettore.

A questa lettera segue risposta dell’autore che, deprecando gli interventi sul testo operati dall’editore, scrive – giocando con una finzione che rende l’incipit impareggiabile –  di aver sperato che il suo editore, a sei mesi dall’uscita del libro, gli facesse sapere QUANDO avrebbe ottenuto, come esito del suo reportage, che:

“…fossero aboliti i partiti e le fazioni; i giudici fossero divenuti dotti e integri; gli avvocati onesti e modesti, con qualche leggera sfumatura di senso comune, e quando fossero stati fatti, nei prati di Smithfield, tanti bei falò di piramidi di libri legali; quando mutata da capo a fondo l‘educazione della giovane nobiltà; messi al bando i medici; le femmine degli Yahu[i] divenute ricche di virtù, onore sincerità e buonsenso; …”

Ma andiamo per ordine. Il nostro eroe, medico di bordo e in seguito capitano di navi mercantili, a seguito di naufragi, nonché di un ammutinamento, finirà sempre per salvarsi, ogni volta ritrovandosi su di un’isola abitata da popoli di specie sconosciute.  Conoscerà così civiltà e genti diverse da noi, da cui verrà ben accolto ma cui dovrà purtroppo raccontare la società inglese del proprio tempo, dovendosene vergognare.

Da Wikipedia: Un murale raffigurante Gulliver circondato dai cittadini di Lilliput.

Il capitano Gulliver incontrerà dunque, nell’ordine, i Lillipuziani, presso i quali egli sarà un gigante; gli abitanti di Brobdingnag, che, all’inverso, saranno loro dei giganti. Conoscerà l’isola volante di Laputa, abitata da stranissimi scienziati, totalmente privi di capacità pratiche ma che, tuttavia, sottomettono, riducendole in servitù, le popolazioni su cui governano. E i richiami ironici, ovviamente, si sprecano.

Conoscerà, inoltre, altri gruppi, tra cui una popolazione che annovera un certo numero di immortali, infelici persone che non conosceranno mai la morte ma invecchieranno, come ogni altro essere umano, e saranno condannati a una disperazione eterna e dolorosissima.

Il libro si concluderà al paese degli Huyhnhnm, cavalli sapienti che utilizzano, al proprio servizio, come animali domestici, la specie degli Yahu, umani violenti, abbrutiti e incapaci, se non molto limitatamente e in forza di addomesticamento, di un comportamento civile.

Gulliver, dopo aver narrato agli Huyhnhnm il nostro mondo, verrà, sia pur gentilmente, da loro bandito in quanto appartenente ad una specie troppo simile agli incivili e ineducabili Yahu, e dunque pericoloso per la pace e la morale degli abitanti.

Proseguendo nella lettura, alla satira si sostituirà, in buona parte, l’invettiva. Dover narrare di sé e del mondo cui appartiene sarà per Lemuel Gulliver una vergogna infinita: difficile dire che, in queste descrizioni della propria società, Swift faccia dell’ironia. I suoi sono veri e propri, tremendi, j’accuse, attraverso cui denuncia, indicando al pubblico disprezzo, la cultura, le Istituzioni, la morale corrente della società inglese del proprio tempo.

Posso dire che si giunge a provare un certo disagio, nel leggere? Che figura tremenda ci fa fare quest’uomo – pensiamo, a disagio nel guardarci allo specchio – di fronte ad altri popoli! Meglio riderne, davvero, non ci resta altra soluzione!

Tornato alla propria famiglia e al proprio mondo, Gulliver sarà incapace di reinserirsi nel proprio mondo. Gli risulterà evidente l’impossibilità di educare gli yahu – la specie umana – suoi connazionali.

La chiusura di questa storia sarebbe, in effetti, amara se, in corso d’opera, oltre ad ampiamente ghignare riconoscendo la messa alla berlina (e pure peggio) dei nostri governanti e delle nostre élites, non trovassimo occasione anche per qualche buona risata: vedi quando il povero Gulliver, in versione gigante, verrà cacciato dal paese di Lilliput per aver spento l’incendio della reggia pisciandoci sopra, là dove, tra i minuscoli lillipuziani, nessun secchio-ditale sarebbe bastato a scongiurare il disastro.

Da Wikipedia: Una parata lillipuziana sfila tra le gambe di Gulliver. Illustrazione di Louise Rhead, 1913.

E tuttavia! Come avrebbe potuto, da lì in poi, la regina, accettare di vivere in un palazzo “pisciato”?

Ma, sempre a proposito della società lillipuziana, forse la meglio descritta, saranno interessanti anche le idee vigenti nel paese in merito alla gestione della Pubblica Amministrazione.

“…poiché, infatti, un governo è necessario all’uman genere, essi considerano più che sufficiente per le varie cariche una intelligenza media, convinti come sono che la Provvidenza non ha certo inteso fare dell’Amministrazione della cosa pubblica un mistero comprensibile solo da pochi sublimi ingegni come raramente ne nascono tre in un secolo”

E se non bastasse, a parere dei lillipuziani:

“La mancanza di virtù morali è così lungi dal venir compensata da un’intelligenza superiore che i pubblici impieghi mai dovrebbero essere affidati a mani pericolose come quelle di un uomo di molto ingegno e di pochi scrupoli; …gli errori commessi per ignoranza da un uomo onesto non avranno mai, per il bene pubblico, le fatali conseguenze dei raggiri di un uomo corrotto e particolarmente abile a manovrare, moltiplicare e difendere la sua corruzione.”

Il lettore troverà inoltre particolarmente interessanti le idee dei lillipuziani – di Jonathan Swift – in campo pedagogico dove si sostiene che un figlio non abbia alcun obbligo verso i propri genitori e li debba invece unicamente perdonare per averlo messo al mondo senza averlo, in realtà, voluto poiché… “…nei loro incontri amorosi (i genitori) pensavano a ben altro”.

Da Wikipedia: onathan Swift ritratto da Charles Jervas (1710)

Vale a dire, a soddisfare la propria concupiscenza, come fa ogni altra specie animale.

I bambini, a Lilliput, verranno dunque allontanati dai genitori e affidati a istituzioni, dove verranno curati e istruiti da domestiche, per la cura dei più piccoli, e in seguito da educatori-insegnanti.

“E se qualcuna di queste domestiche vien sorpresa a raccontar loro storielle paurose o sciocche o a far di quelle scemenze così comuni alle nostre cameriere, la colpevole vien frustata per tre volte tutt’in giro alla città, imprigionata per un anno, ed esiliata a vita nella più desolata parte del paese.”

E via così, attraverso la descrizione di un’organizzazione che, senza dubbio alcuno, ci dice tutta la lontananza di Jonathan Swift dall’intento di dedicare un romanzo al piacere dei bambini.

Si sorride, leggendo questo libro. E si ride.

Tuttavia, man mano che si prosegue nella lettura, il grottesco prevale, mentre l’ironia, che caratterizza l’inventiva di Swift, si stempera alquanto nell’invettiva.

È tuttavia un gran bel libro; di cui ci sarebbe molto altro da segnalare, sottolineare, su cui riflettere. È un libro dalla scrittura scorrevole ed efficace, che informa su di un tempo e su di una società; che apre interrogativi sulla storia di quel tempo – parlando ancora, anche, al tempo nostro.

Non saprei dire se, leggendolo oggi, ci si consoli dei nostri giorni o non si finisca invece per perdere ogni speranza: ma è un libro assolutamente da leggere; e un autore da conoscere: per incontrarne la grande fantasia e la grande capacità di divergere dal senso comune (ne era consapevole?) e porci di fronte alla nostra – del suo tempo e del nostro – società distopica.

Poi, ci fermeremo a pensare: senza leggerlo ai bambini.


[i] Specie inferiore del paese degli Huynhnm, ultimo paese visitato da Lemuel Gulliver, è la specie umana, dominante nel nostro mondo; siamo noi.