Un’unica parola: speranza

Maja Lunde, “La storia delle api”, Marsilio 2017

Avevo da tempo questo libro in lettura sospesa.

Era bello, senza dubbio alcuno, e capivo che mi sarebbe penetrato nel cuore e nella mente – con dolore, temevo; ne ero certa.

Maja Lunde

Era un libro – questo mi era chiaro – che meritava tutta la mia adesione. E non era il suo momento. Non c’era disponibilità, in me, ad essere tanto coinvolta.

Ora, il momento è venuto, e ho scoperto che no, non è un libro che fa male, o quantomeno che si tratta di un male buono, pure se contiene tanto dolore; di quello duro, consustanziale alla vita.

È un libro che contiene un nostro più che possibile futuro prossimo; che nasce da lontano; vorrei dire quasi inevitabile perché connaturato alla specie umana e alla sua innaturale vita culturale dentro la natura del mondo.

È tuttavia un libro che contiene affetti indistruttibili, e volontà di vivere con essi; soprattutto per essi. E contiene una luce che dice di un valere la pena, di una resilienza che indica una via di uscita dalle difficoltà, per non dire dalla catastrofe; e mostra una via di uscita dal dolore insostenibile, la possibilità quantomeno di fornirgli un senso, di non escludere la vita che continua; di non rinunciarvi, se pure densa di incognite.

È, questo, un libro che dice di cose che valgono ciò che costano.

Il libro ci conduce ad attraversare tre storie, tre secoli e tre luoghi di vita, avendo quale guida un libro – un manuale per la costruzione di un’arnia modello – quale filo rosso che congiunge, e lega tra di loro, la vita dei protagonisti dentro diversi luoghi e tempi del mondo.

Quel filo rosso – un libro dentro un libro – ci condurrà a condividere tre storie di vita e una storia di conoscenza e di passione per il mondo delle api nel loro rapporto con l’uomo.

Lo sfondo, implicito, dato come noto, è il progressivo depauperamento, il rischio di estinzione in atto nel mondo, per cause antropiche, degli insetti impollinatori, in particolare delle api; e l’effetto a catena che questo sta comportando sulla vegetazione fino alle estreme conseguenze per la possibilità di vita dell’uomo sulla terra.

Il tempo previsto, indicato, per la catastrofe in atto è il 2098. Domani.

Perché no, non è una distopia; non proprio. Non del tutto.

Tre protagonisti, dunque; la cui voce racconterà, in prima persona, alternandosi – ad ogni capitolo una voce – la propria storia.

Il lettore sarà informato subito del post-catastrofe in cui vive un’umanità decimata dalla fame; conoscerà, nel contempo, lo sforzo, che in Cina consente di sfamare la popolazione e percorrere una sia pur faticosa via di recupero, una lenta risalita dal baratro.

Incontreremo un amaro filo di speranza per la vita della nostra specie, mentre ogni vita individuale dovrà venir sacrificata nello sforzo, senza, per questo, mancare di sogni, rabbia, progetti, passioni, speranza.

La prima voce sarà dunque quella di Tao, una giovane donna cinese che vive, in un futuro prossimo, a Shirong, Provincia di Sichuan.  Corre l’anno 2098.

Tao è una giovane madre che, come il marito, lavora all’impollinazione manuale degli alberi da frutto. Le api sono scomparse, come ogni altro insetto impollinatore.

Il lavoro è per lei difficile, da compiere con estrema attenzione, che non un ramo venga danneggiato, non un fiore trascurato.

Dodici ore di lavoro al giorno, obbligate, necessarie alla semplice sopravvivenza, cui tutti i cittadini sono adibiti, dagli otto anni in su: ne sono esclusi solo i bambini che dimostreranno a scuola capacità tali da venir destinati alla prosecuzione degli studi.

Tao era stata una bambina capace, studiosa, ma non aveva potuto proseguire gli studi. Era destinata, con il marito, a un lavoro che odiava, che le risultava ostico, cui era inadatta.

“Come uccelli troppo cresciuti ci tenevamo in equilibrio ognuno sul proprio ramo, con un contenitore di plastica in una mano e un pennello di piume nell’altro. (…) Gli alberi erano vecchi quanto un’intera vita. I rami, fragili come vetro sottile, scricchiolavano sotto il nostro peso. (…) C’era silenzio. Non era permesso parlare mentre si lavorava. Si sentivano solo i nostri cauti spostamenti sugli alberi, qualche debole schiarirsi la gola, qualche sbadiglio, il frusciare degli abiti da lavoro contro i tronchi.”

Tao, e il marito Kuan, hanno un bambino, Wei Wen, cui non possono dedicare molto tempo e per il cui futuro Tao è molto preoccupata. Lei aborre il lavoro che le ruba la vita, mentre il marito cerca di farle accettare una realtà che, in Cina, sia pure a prezzo di una vita durissima e obbligata, rende ancora possibile, dopo il Collasso, la vita e una speranza. Nel resto del mondo si muore di fame.

Ed ecco: l’autrice passa a farci ascoltare una storia di un tempo in cui, ancora, l’apicoltura era viva, era oggetto di studio, di ricerca. Ed era passione. Era, come ancora è, futuro di benessere che tuttavia, come ogni passione, chiede fatica, è fonte di delusione, talvolta di disperazione.  

William – è il 1852 e ci troviamo in Inghilterra, a Maryville, nell’Hertfordshire è un biologo fallito; ed è il marito di Thilda, nonché padre di uno spropositato numero di figlie e di un solo figlio maschio.

William narra: a causa del carico familiare ha dovuto lasciare gli studi e dedicarsi all’attività paterna, il commercio di sementi.

William ci dirà di una profonda depressione che lo costringe a letto, rattrappito e incapace di provvedere a sé, mentre la famiglia si sostiene con grande difficoltà. Non ha nome, la sua malattia. È incomprensibile e incompresa.

Il figlio sedicenne Edmund, il suo primogenito, troverà le parole che gli consentiranno, forse, di riemergere alla vita:

  • Ma padre…non potresti almeno cercare di ritrovare la volontà di alzarti?

Deglutii, gli dovevo una risposta come si deve.

  • Non è la volontà che mi manca…è la passione, Edmund.
  • La passione?

Sollevò la testa, quella parola doveva aver risvegliato qualcosa in lui.

  • Allora devi ritrovarla – aggiunse rapido – e lasciare che ti guidi.

Conosceremo infine, all’altro capo del mondo, George – ci troveremo ad Autumn Hill, Ohio, USA, nel 2007 – marito di Emma e padre di Tom.

George è un apicoltore appassionato, che vede il proprio lavoro privo di futuro. Il figlio Tom studia al college, e respinge le attese del padre che vorrebbe vederlo interessarsi all’azienda; alla vita delle api; alla particolare cultura che la contraddistingue.  

Le tre storie ripercorrono il rapporto tra la natura e l’uomo nel corso del tempo.

Il legame tra queste tre storie, che l’autrice alternerà, di capitolo in capitolo, rendendo possibile al lettore tenerne insieme il percorso, senza perdere di vista il tema e tuttavia entrando profondamente nelle singole vite dei protagonisti è, come detto, un libro che custodisce i disegni di un innovativo modello di alveare; che proviene da una lunga storia di studio, di ricerca, di conoscenza e convivenza con le api; e che attraverserà i continenti.

Maja Lunde, mentre ci rende partecipe della voce e delle storie di vita di George, William e Tao, affronta in questo libro il tema dell’equilibrio ambientale, per il quale la funzione degli insetti impollinatori è essenziale. Ci ricorderà come l’importanza dell’apicoltura per la produzione di miele risulti enormemente inferiore rispetto all’importanza di assicurare alle api, e agli insetti impollinatori in generale, le migliori condizioni ambientali per il benessere, e addirittura per la sopravvivenza, delle specie; la nostra compresa.

Il tema è tuttavia trattato nella forma di contenitore delle storie che vi hanno a che fare – storie di vite che dall’attività in apicoltura e dal benessere delle api traggono il loro sostentamento; vite che ripongono, in quest’attività, in diversi modi, lo scopo della loro vita, amandolo o subendolo.

I livelli di lettura sono molti e diversi e, se fin dal titolo, siamo autorizzati a ritenere che il libro ci parli, per l’appunto, della “vita delle api”, in realtà ogni pagina ci parla della vita degli uomini e delle donne che dal benessere delle api dipende.

Tema centrale delle storie – ma dovrei dirne al plurale: è un tema e sono molti, capaci di diventare <uno> in forza dell’interdipendenza che li caratterizza – sarà la vita familiare, la relazione tra uomo e donna, la cura dei figli, il sostegno reciproco; saranno i figli e il desiderio-bisogno di trasmettere loro la propria passione, un compito imperativo.

Il tema sarà la passione che sostiene il cosa fare di sé, per dare senso alla propria vita individuale; sarà il legame di coppia e con i figli, per dare senso e futuro alla propria singola vita.

Sarà il legame che tiene ogni uomo ogni donna e ogni fare dentro l’insieme della vita della e nella natura.

La storia delle api”, è un libro che ci conduce a percorrere, vivendolo, il tempo che ci ha preceduti e che seguirà, costituendosi come mappa di uno stare nel mondo dentro il proprio compito, come parte di un impegno condiviso, dentro un legame che non può essere tradito.

Alveare vintage, cartolina postale

Accadranno fatti, vi saranno momenti di grande dolore, in queste pagine. La tentazione individuale, e delle specie, di disperare, sarà tuttavia vinta dalla pregnanza di un sentimento di appartenenza: a se stessi, alla propria passione, ad un fare che è destino; alla coppia, alla famiglia, a una comunità. E dell’appartenenza, infine, al mondo naturale; dentro un’alleanza capace di rispetto per la nostra e per le altre specie.

Un libro, questo, dalla scrittura eccezionale. Ogni voce una voce diversa, una scrittura originale. Nessuno scivolamento che riveli la voce dell’autrice.

Un tema composto di molti temi quanti ne entrano nella vita di ognuno di noi.

Nessun giudizio, solo ascolto di storie, vale a dire solo la cosa più importante che al mondo si possa fare, perché tutto il resto ne dipende.

Sono felice di averlo letto.