Libri spingono, premono per passare, calpestano altri libri…
Avevo scritto questo, era il 2017, e ora mi ritorna alla mente, cercando un ordine, debitamente a posteriori, nelle mie letture, in quello che scrivo: non potendo evitare la consapevolezza del fatto che, come si dice, se continueremo così ci troveremo proprio là dove siamo diretti – le frasi fatte e le frasi ad effetto hanno, a volte, una legittima opportunità.
Uno, poi, ascolta il telegiornale, e sapeva tutto, inutile negarlo. Ognuno sapeva bene dove eravamo diretti, non foss’altro perché è storia nota, già data, i cui testimoni sono ancora tra noi, che fingiamo di non sapere/non ricordare bene; di non saper leggere le avvisaglie; che nulla ci sia stato trasmesso, non per davvero, mentre ci destreggiavamo a congratularci con noi stessi tra una celebrazione e l’altra, tra un “mai più” e l’altro.
Nel mentre , c’è quel qualcosa di irrisolvibile: c’è che leggere è un’attività che si svolge, libro su libro, pagina su pagina, in un tempo dato e dentro giorni da vivere: e non potrà mai essere irrelato a ciò che sta avvenendo – di noi, in noi, intorno a noi, a quegli altri che siamo noi.
E allora ecco che sarebbe bene fare attenzione, aver coscienza di cosa stiamo facendo mentre leggiamo un libro.
Interrompo la scrittura – vado e vengo dalla mia postazione alla TV – sento cose del tipo Chernobyl sotto attacco. Kiev assediata, sotto le bombe.
Non ha senso. E la vita di ogni giorno deve continuare.
Poi forse non è vero, niente è vero. Torno alla scrittura.
È ormai un nuovo giorno. Si riprende – a scrivere, ad accendere spegnere il notiziario TV.
A Treviso nello scorso fine settimana sono finalmente riapparse le bancarelle dei libri d’antiquariato (beh, addirittura! Diciamo d’epoca, rari, ormai introvabili: un godimento).
Così, alla mia pila di libri del genere si è aggiunto altro: poco, ma che si va, per l’appunto, ad aggiungere. Il risultato è una fila di libri in continua crescita; mentre “I blog degli altri” (qui) accrescono a dismisura la mia lista dei desideri inarrivabili, impossibili, anche improbabili, a dire il vero, non foss’altro per mole: e per, appunto, improbabilità. E provo a spiegarmi.
Un libro – un vero libro; e intendo anche, certo, un libro di intrattenimento, o una fiaba, o un fantasy, è – deve essere – un qualcosa che, se ha a che fare con il giorno che stiamo vivendo, con il nostro tempo personale e con il tempo del nostro mondo, dovrà avervi a che fare, è inevitabile, nei termini di un universale, fuori dalla cronaca spicciola.
Nel frattempo, accendo la TV. Spengo la TV. Un occhio al social. La vita continua. Scrivo.
Nessun libro è – deve essere – un instant book. Un libro, anche il più – mi vien da scrivere <futile> ma no; non è questo che voglio dire, capitemi – è, sempre, un libro <necessario>: la cosa è questa, o non è.
I libri non si scrivono in giornata; o nel corso di una settimana. I libri non hanno una data di scadenza, o ce l’hanno in un modo tutto loro, misurata su di una diversa accezione del tempo. I libri contengono un sapere – di fatti, di storie, di emozioni e sì, anche di futilità – depositato, che il tempo conserverà per un loro tempo; un sapere di cui, senza i libri, non potremmo appropriarci, e farlo nostro in forma di saperi, piaceri, esperienze, conoscenze, domande e, talvolta, poco ma importante, persino risposte.
E allora – penso – forse è bene che ci sia una lista, molto lunga, e che in aggiunta ci siano, là, ad occupare i nostri spazi, ad intralciare, manca poco, i nostri passi nella nostra casa, libri in attesa – non del <dover> essere letti, non proprio; in attesa del loro momento giusto, come, che so, una farmacopea di rimedi; senza scadenza.
Farmaci, certo, di cui occorre conoscere i giusti usi; e il momento giusto dell’assumerli; e il giusto dosaggio e… di mio, dovrei far maggior attenzione, è sicuro.
Allora ecco. C’è una lista, cui non potrò dar vero seguito.
Potrei, tuttavia, esporli, in vetrina. Rinnovandoli settimanalmente, o giù di lì. Procurare loro un cartellino-commento che li leghi all’esperienza – mia, frutto di una scelta che il mio tempo ha operato: che non intralcerà, credo, il tempo di altri. Che potrebbe incontrare altri tempi. Da cui mi potrebbe venire una restituzione. È già accaduto.
Ecco qui: un inizio – poca cosa, perché ho chiacchierato troppo. Non ho più spazio-tempo.
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Robert Byron, “La via per l’Oxiana”, Adelphi 1993
In un passato più o meno lontano – difficile dire cosa sia “lontano”, parlando di un libro: uno commisura il proprio tempo alle fasi della propria vita – a distanza, dicevo, dunque, di un soffio del tempo, ricordo di non aver amato i libri di viaggio che ora pare a me di amare da un qualche sempre della persona che sono: strano, dovendo io ben possedere una qualche continuità con quelle altre Ivana che leggevano, laggiù, dietro di me; con quelle tali di cui, se mi ci impegno, ricordo tutto; le cui storie di vita, ancora, mi rallegrano o mi fanno del male. E dunque….
Ricordo di non aver subito amato il Bruce Chatwin di “La via dei canti”; di aver faticato a leggerlo, senza tuttavia lasciarlo. Amandolo molto a una seconda lettura, in un altro tempo.
“La via per l’Oxiana” è introdotto da “Lamento per l’Afghanistan”, un saggio di Bruce Chatwin, che diceva, di questo libro, “La mia copia personale – ormai priva della rilegatura e tutta macchiata, dopo quattro viaggi nell’Asia centrale – mi accompagna da quando avevo quindici anni”.
Ho voglia di leggerlo? Non lo so; forse subito. Afghanistan; in altri anni.
Mi è parso doveroso che venisse a casa con me. Ho iniziato a leggere la Prefazione: da lì, forse continuerò, forse transiterò a rileggere Chatwin; forse ne rinvierò la lettura.
Forse vi può interessare e qualcuno potrà raccontarmi questo libro.
∞
Carlo Emilio Gadda, “La Madonna dei filosofi”
Ditemi se non è una cosa indegna: Mi ritrovo questo libro sulla bancarella e mi accorgo che, di Gadda, devo aver letto unicamente “Quel pasticciaccio brutto di Via Merulana”, o almeno null’altro mi torna, ora, alla mente.
Bellissima storia, ma non so, c’è piacere nell’irrisolto? Forse sì, ha a che fare con la vita. È stato tanto tempo fa – come dicevo, va a sapere quando e quanto potrà essere stato tanto un tempo fa, la cui unità di misura resti indefinita, in relazione a chi parla.
Ora: un libro di racconti; sono qualcosa che val sempre la pena. Basta buttar l’occhio, una pagina a caso e lo vedi subito. Un assaggio: dal racconto “Manovre di artiglieria da campagna“
“La macchia finalmente si diradò: c’erano, lì nella radura, delle gran belle ragazze: più discosto un gruppo, dove doveva esserci il generale.
Difatti, ecco: lo ravvisai.
(…)
Ah, ricordo che litigai con un borghese che c’era lì. Piccolo, pallido, isterico, vestito di nero, con l’”Avanti!” e l’”Umanità nova” tra mano, con uno svolazzo nero della cravatta, col colletto pieno di forfora, con delle scarpe gialle mica mal fradice e scalcagnate: prima lo presi per un agente investigativo o scrivano alla sottoricevitoria delle imposte; ma era invece un temibile anarchico. Ci litigai perché, con quella parlata albanese, e dopo mille sarcasmi da antimilitarista abusato, finì per concludere che il generale aveva una faccia da minchione.” (pag. 25-26)
∞
Leonardo Sciascia, “A ciascuno il suo”, ADELPHI 1998
Un libro necessario, direi.
L’ho mai detto che, tra le mie idiosincrasie, ci sta pure Leonardo Sciascia? Fustigatemi pure. Ho amato “Il giorno della civetta” ma poi – so di aver accostato qualcos’altro di questo, diciamolo, grande autore ma so per certo di non aver completato la lettura, e di neppure ricordare, un suo altro libro.
Ho immediatamente catturato questo suo capolavoro perché, da qualche tempo (diciamo giorni, o una o due settimane), per oscuri motivi (un richiamo qualsivoglia, qualcuno ne avrà parlato, chissà) gli avevo rivolto più di un pensiero colpevolizzato, del genere: dovrei proprio avvicinarlo. Strane coincidenze.
E sì, lo leggerò. Anche se so già che “non mi piacerà” – volendo dire, con questo, che non mi metterà di buon umore, e perché mai dovrebbe, non era lo scopo per cui è stato scritto.
Lo leggerò: può essere che io non ne completi la lettura. Ma mi par giusto porlo in vetrina.
C’è che la lista, non solo degli ultimi acquisti, ma dei reperti che ho accumulato – o anche non reperti ma, in ogni caso, cose così, di quelle che non senti pubblicizzare e rischi di perdere (a questo dovrebbero servire le librerie, maledizione! Senza che si debba attendere che un libro finisca in bancarella che poi, lo si sa bene, la foresta nasconde gli alberi e nel mucchio la carta si macera e trovi certi poveri resti che senti di dover portare a casa con te indipendentemente da qualsivoglia vero e proprio desiderio di lettura.)
∞
Aino Kallas, “La sposa del lupo”, Sperling e Kupfer Milano 1934.
L’avevo trovato tempo fa. Non so se ne avevo accennato.
Un rudere, poveretto. Non l’ho ancora letto perché vorrei, prima, passarlo al rilegatore, incerta pure sul farlo: non finirà più robusto ma rovinato? Lo amo così, da conservare e basta.
Ho tuttavia cercato e ritrovato una bella recensione in “Il libro guerriero”: la trovate qui.
Buona lettura, se vi pare.
(segue…)