Aino Kallas, “La sposa del lupo”, Sperling&Kupfer 1934
Tradotto dal finnico da Paola Faggioli
Prefazione di Paolo Emilio Scavolini
Il volume contiene un secondo lungo racconto – “Barbara von Tisenhusen” – che, stranamente, non viene citato sul frontespizio.
Me ne riservo la lettura (confessando tuttavia di aver già sbirciato, mordicchiandone le pagine qua e là; rinviando il tutto ad altro momento quando potrò entrare nella storia senza venir distratta dalla scelta, e dal desiderio, di scrivere qualcosa su “La sposa del lupo”).
La scrittura, l’ambientazione, il ritmo del tempo narrativo – tutto – porta chi legge le pagine di Aino Kallas ad entrare in un mondo dove è la realtà a farsi favola, anche nera, certo, ma non solo; in cui i personaggi, tutti i viventi, sono un tutt’uno tra loro, e dove ogni pensiero, ogni azione, si fa danza condivisa, capace di costruire un vivere insieme di uomini animali e natura, ognuno rappresentando la propria parte.
Da questo secondo racconto, nel 1968, è stata tratta un’opera in tre atti, di Eduard Tubin, su libretto di Jaan Kross.
Entriamo, dunque, nella storia principale, dove si narrano le vicende che hanno segnato la vita di Aalo, amata moglie di Priidik, narrate da una voce esterna che ne certifica la realtà: proprio come avviene nelle favole, se non fosse che, qui, i luoghi, il tempo, appartengono al reale e al dove le cose accadono.
Una favola per adulti, dunque; vale a dire una lettura del mondo, capace di crearlo; dove il finale non è prescritto, come avviene nelle favole per i bambini; e che dunque difficilmente potrà appartenere al genere…”e vissero felici e contenti”.
Una favola nera. E tuttavia, una favola capace di dire… e vissero; di dire che la vita è importante; e va vissuta.
“La sposa del lupo”, dunque:
Incipit.
“Questa è la storia di Aalo, moglie del guardaboschi Priidik, la quale Satana trasformò in lupo, e così, come lupo mannaro, fuggì nel bosco dal fianco del suo legittimo consorte, quivi convivendo con le belve del bosco e il Diabolus Sylvarum o demone delle selve e perciò fu chiamata dal popolo la Sposa del Lupo.
Signore, difendi benignamente l’anima nostra e il nostro corpo da ogni pericolo e danno, come con una corazza d’argento da cui siano respinte le frecce del Tentatore, ora e per tutta l’eternità!”
Correva l’anno 1650. In Estonia e Livonia[i] era grande, al tempo, la lotta degli uomini contro i temibili lupi la cui stregoneria contagiava i ragazzi che cominciavano a “correre come lupi e a fare atti da lupi, come se un cattivo Demone fosse entrato dentro di loro.”
E tutti sanno come i lupi siano “…bestie rapaci, la cui origine risale al Diavolo… e sono sempre state strumento di stregoneria…”
Ora, il guardaboschi Priidik era al servizio del Maresciallo Jacopus De la Gardie[ii]; ed era lì, prete di Pühalepa, paese della Contea di Hiiumaa[iii], Olaus Nicholai Duncan, venuto da Jȏelehtme, dal continente.
E Hiiumaa era indicato come “L’”ultima Thule, o un luogo fuori dallo sguardo di Dio”: ma la stregoneria dei lupi si era diffusa anche nelle nazioni vicine.
Il pericolo del Diabolus Silvarum era tuttavia sempre presente, e “In verità nessuno poteva essere sicuro contro le sue perfide imboscate, poiché non giovava né la mansuetudine né la devozione, né la saggezza della vecchiaia, né la baldanza della gioventù <e neppure stare in guardia>”.
Ed ecco i roghi dei licantropi, uomini infestati dai lupi, la salvezza delle cui anime poteva venir raggiunta solo attraverso la distruzione con il fuoco del corpo infestato.
Tuttavia, “(…) il paese con i suoi abitanti riposava allora nella cara pace della Svezia e il nostro pericoloso nemico, il moscovita senzabattesimo [iii], si affilava i denti dietro la Narva [iv] nella sua vana rabbia”.
È già fascino, per il lettore, catturato senza rimedio dalla piana semplicità del racconto che mostra, con il limpido linguaggio della favola, la propria verità; e impone, per tale via, di essere accolto – per il suo tempo, i suoi luoghi, i precisi riferimenti storici; così come si mostra, e impone che venga accolta da parte di chi ascolta, la <saggezza> di chi narra.
Come sarebbe possibile, infatti, dubitare dell’esistenza di forze che oltrepassano ogni possibilità umana di controllo? Tali che neppure, dicasi neppure, lo <stare in guardia> risulterà utile?
Ogni adulto, nel tempo in cui impara a vivere ascoltando, come d’uso, storie segnate dalla certezza e insieme arricchite dalla comune fede, è in grado di comprendere tutto questo. E ancor oggi, in tempi in cui nessuna fede veramente condivisa può più essere d’aiuto, sarà indice di saggezza conoscere, nel profondo, questa verità; e lasciarsene catturare, trattandosi di una storia capace di assurgere ad esemplarità.
Impareremo, leggendo, ascoltando, a stare in guardia; ma anche a comprendere che nulla potrà assicurare i nostri giorni. Apprenderemo la stoltezza dell’illusione del controllo. Impareremo che le cose dei giorni accadono, e vanno accolte – forse, anche, come monito al perdono per sé e per gli altri.
Ora la favola inizia. È tempo d’estate quando Priidik, il giovane guardaboschi, di passaggio, assiste al lavaggio delle pecore da parte di un gruppo di donne; alla scena del gregge che viene spinto, terrorizzato, nel fiume mentre le donne, a loro volta, si gettano nell’acqua per lavare i velli invernali, ormai pronti per essere tosati.
Priidik è colpito da una ragazza dai capelli rossi, che si mostra forte e capace nel suo lavoro e insieme dolce con le pecore, che provvede a lavare tranquillizzandone la paura.
Spiandola, aveva veduto, sotto il seno sinistro della ragazza, quando questa, al termine del lavoro, si era spogliata dei propri abiti bagnati, “un segno rosso, simile all’ala di una piccola falena, …“
Priidik, ci dice la narratrice, ha riflettuto sulle qualità della ragazza, dicendo a se stesso che quella giovane avrebbe saputo essere forte nel lavoro e insieme dolce con un marito, con dei figli, come lo era con le pecore – ma soprattutto ci dice che, vedendola, Priidik “era caduto a capofitto nella macina dell’amore”.
Aalo e Priidik si sposarono, e furono felici; e nacque loro una bella bambina. E Aalo si dimostrò una moglie bella e degna: nonostante i capelli rossi; nonostante il segno rosso al di sotto del seno sinistro: due elementi che avrebbero ben potuto suggerire una sua ancora ignota natura di strega.
Tutto, in lei, confermava le qualità che si richiedono a una buona moglie. Senonché, sarà sempre necessario ricordare che:
“Poiché, come il vasaio col medesimo pezzo d’argilla riesce a fare una brocca o un testo, così anche il Diavolo può fare della stessa strega un lupo o un gatto o anche una capra, senza levare o aggiungere nulla. Ma accade come per l’argilla che ora è foggiata in una forma e ora in un’altra; poiché il Diavolo è il vasaio e le streghe l’argilla.”
E venne il giorno di marzo e la festa in cui si apriva la caccia ai lupi; “e nelle osterie di Haavasuo erano stati provvisti per il popolo birra e vino drogato e suonatori di cornamusa poiché al banchetto del lupo bisognava anche ballare”.
E ottocento uomini, e Priidik con loro, si preparavano a incalzare il branco dei lupi in arrivo, indirizzandolo verso la trappola di una grande rete nascosta.
Tutti indossavano gli abiti di festa e anche Aalo indossava “un’ampia giacca a larghe maniche e, sotto, una gonna di lana di pecora scura a righe trasversali e tutta a pieghe. Ma siccome gelava ancora portava anche in capo una cuffia scura, chiamata karbus, ornata con eleganza di nastri rossi. E portava anche alla vita una cintura di rame, formata di monete risuonanti e, da un fianco, un coltello colla sua guaina di stagno e, dall’altro, un porta-aghi.
Mentre essa avanzava in piena gala, non presentiva il trabocchetto che era posto sulla sua via: anzi, quella mattina, era allegra come una cerbiatta e il suo bel viso era di gioia agli uomini.”
Mentre i cacciatori inseguivano i lupi e un grande e forte lupo stava fuggendoli, Aalo sentì delle parole:
“Aalo, ragazzina mia, vieni con me nella palude?”
La giovane sposa ne fu turbata. Ma il momento passò.
E venne giugno, e la festa di S. Giovanni che è “fin dai tempi dei pagani, piena di stregonerie, poiché i demoni allora errano a loro piacimento e le streghe fanno le loro nere cerimonie all’ombra della notte”.
E i giovani festeggiavano, e andavano sull’altalena; e le ragazze traevano presagi dalle erbe sui loro futuri matrimoni. Ma Aalo non aveva partecipato alla festa.
E “venne l’ora della sera e le api riposarono negli alveari col loro carico aureo. E tutto dormiva come in un sogno: la donna nel suo letto, il bambino nella culla, e il pastorello sulla panca vicino al fuoco, ed anche il mulino, il telaio e la rete al trave e non si levava più fumo dalle cucine estive aperte.
E la tela che Aalo aveva tessuto a strisce nelle ore invernali era stesa a imbiancare sul prato, e correva attraverso la corte, nello splendore della notte estiva, come un sentiero giallastro. (…) e subito venne il fresco della sera.”
E la voce ritornò:
“Aalo, Aalo, – ragazzina Aalo – vieni come lupa nella palude?”
Nulla più dell’antefatto andrà raccontato qui. Se non che ci saranno gli odori, e un nuovo odore dell’uomo, e la conoscenza; e vi sarà l’incontro con altri; in particolare con una donna del villaggio che di notte correva coi lupi.
Fino al giorno in cui il marito si sveglierà nella notte non trovandola, e capirà tutto.
Ci saranno la scelta e l’impossibilità della scelta, l’essere uno e l’essere diviso, ci saranno la tragedia e la sua necessità, la felicità e la sua necessità, e dolore; ci saranno domande, e i grovigli della complessità della vita – da chiamare Dio e Demone. Da accogliere. Forse. Da risolvere. Forse. Ognuno secondo una propria narrazione di sé e del mondo in cui vive, con altri e in solitudine.
Fa male il dolore? È vero? Ci appartiene?
Romanzo breve – favola lunga: ne ho trovato una bella recensione di Eleonora Papp in “Libroguerriero”, (come già detto altrove – qui) che racconta più dettagliatamente la storia e ne offre un’interpretazione, legittimamente integrando alla scrittura e al linguaggio (supremo!) dell’autrice una lettura dove si tiene conto dell’humus culturale in cui l’autrice è vissuta, dell’influenza della psicoanalisi nel suo percorso intellettuale.
Personalmente, ho goduto dell’immersione in quel mondo – difficile, pesantemente segnato, ma anche sorretto da una religiosità – posso dire senza speranza dovuta? Come la vita, peraltro, che non lascia a nessuno, nella ricerca della felicità, l’opzione di un controllo sugli eventi. Con un Dio o senza un Dio.
A mia volta segnalo come si tratti di un libro di difficile reperibilità (librerie antiquarie, ma anche biblioteche) ma di un gioiello irrinunciabile; opera di un’autrice che non dovrebbe venir perduta dall’editoria italiana. E che regalerà, ad ognuno, e nel tempo di ognuno, una propria lettura – ad ogni tempo e ad ognuno i suoi miti – con la perfezione di un favola del reale, qualsiasi cosa ciò significhi.
[i] La Livonia è una regione che si estende nei pressi e sulle coste del golfo di Riga, compresa tra l’Estonia nord e la Lettonia meridionale a sud. Dal 1918 la Livonia non è più un’unità territoriale a sé stante bensì parte integrante della Lettonia. (Wikipedia)
[ii]Jacob De la Gardie (Reval, 20 giugno 1583 – Stoccolma, 22 agosto 1652), nel 1608 ebbe il comando della campagna svedese contro l’Impero russo. Governatore generale della Livonia svedese (1622), divenne alla morte di Gustavo Adolfo II (1632), tutore della regina Cristina.
[iii] Regnava lo zar Alessio, successore dello zar Michele Romanov, primo del casato, dopo il regno di Ivan Il Terribile.
[iv] Città che si trova al confine con la Russia. Attraversata in origine dal fiume omonimo che oggi la divide in due, segnando il confine con la Russia, e al di là del quale vi è la città russa di Ivangorod. La popolazione è russofona.