Parliamone, per una volta sola

La città di Guernica dopo il bombardamento. (AP Photo)

Per ricordare. Guernica, Spagna, 1937.

C’è questa cosa, oggi, nuova? Inafferrabile nel suo tragicamente normale esserci, che inceppa la scrittura – come ininfluente, impropria, fuori luogo e fuori tempo.

C’è questo qualcosa che inceppa il Mondo; di cui dimentichiamo, troppo spesso, che non è tale, essendone solo una parte – è solo <il nostro> Mondo; una parte del tutto neppure maggioritaria, con la capacità, maledetta, di distruggere anche mondi altri che neppure sanno bene che esistiamo. Che se, come probabile, lo sanno anche troppo bene, temo sia solo per maledirci, mentre noi guardiamo a loro indifferenti; peggio: giudicanti.

Eccoci ora alla prova; Noi, un <Occidente> che, d’improvviso, riconosce l’esistenza di profughi di <casa nostra> – e per fortuna li riconosciamo, ci mancherebbe altro; e purtuttavia… in un mondo-tondo, dove finisce <casa nostra>?; e noi, nel caso, di chi risulteremo fratelli, con chi dovremmo avere almeno buone relazioni di vicinanza, se non con ogni altro essere umano?

Pensiero balordo. Ecco cosa ci potrebbe essere al fondo del delirio dei terrapiattisti (vorrei tanto conoscerne uno. Esisteranno davvero?): la loro teoria non si legherà al desiderio di far esistere la distanza tra noi e gli altri? Quella distanza che un mondo tondo annulla?

Quel pover’uomo che dicono abbia passato quel che ha passato per informarci che “siamo tutti fratelli”, non aveva dunque capito, non sapeva, che il suo sacrificio era del tutto inutile? Non sapeva che la cosa è del tutto ovvia oppure non è, e mai potrebbe essere?

Noi dimentichiamo come anche la Russia,  nella sua lunga storia condivisa con noi, sia Europa; e dimentichiamo che l’orrore in corso (che talvolta pare venga considerato tale solo perché investe noi-Occidente) è l’orrore che ognuno di noi ha compiuto, che ogni nazione (che strano concetto senza costrutto: Nazione) ha compiuto devastando, per parte nostra, il mondo che avevamo concordato – in accordo con un mal definito <loro> – ci spettasse, di diritto, devastare? Pare sia questo il significato dell’assunto “sfere di influenza”; in base alle quali si discetta sul problema, ritenuto fondamentale, di stabilire di chi sia la colpa, senza curarci di come porvi rimedio.

Ci siamo dotati, come <Mondo> addirittura di una o più legislazioni che definiscono il lecito e l’illecito di guerra; che definiscono il <crimine di guerra>, in luogo di definire la guerra come crimine.

Ha travalicato un qualche confine prima la NATO o prima <loro>?

Il risultato di tutto questo è che, sia come sia, mi è difficile – mi pare brutto, come si dice – continuare a chiacchierare di libri, di case editrici, di lettori e lettrici – come fossero cose importanti.

Occorre – <a me> – per poterlo fare, compiere prima alcuni passi; che non so bene quali siano; dei passi che segnino un qualche percorso del tipo:

Ebbene sì, se la vita dovrà continuare, il mondo dei libri e delle loro adiacenze è, com’è sempre stato, importante; è qualcosa di cui aver cura, tanto più quando c’è da tener particolarmente dritta la barra della memoria, del pensiero, delle emozioni, della conoscenza; della necessità di mantenere umano il nostro sentire;

ebbene no, non in assoluto; ci sono mondi interi che vivono senza questi orpelli che il nostro mondo ha eletto a medium della trasmissione culturale e a sua memoria; per non dire che, anche sparissero tutti i mondi umani, un Mondo avrebbe tutto <il tempo> di riprendersi (tutto il tempo che noi insistiamo a misurare, ben conoscendone l’inesistenza ma fingendola, come se i nostri orologi, calendari, anni-mesi-giorni corrispondessero a una realtà che regola l’universo).  Come non sapessimo che tutto ciò che (ci) accade, in un nostro tempo dato e programmato, è meno importante della necessità di salvare le api;

ebbene sì, se continuerà a esistere la specie umana come la conosciamo. La natura del mondo umano è il ricordo, e la capacità di trasmetterlo: e “I Libri” fanno e sono questo; anche i più umili;

ebbene sì, quantomeno mentre non sappiamo come tutto questo finirà, o come tutto questo continuerà come prima, vale a dire pure da schifo, per ora, per questo nostro tempo conteggiato, con protervia immensa, a nostra misura;

ebbene sì, volendo pensare importante ogni nostro, singolo  <io sono>  – purché occidentale, temo, o giù di lì perché, dopotutto, delle tribù Maori chi se ne importa  – o così pare.

Quasi accettabile che si pensi a sé e ai propri dintorni, nel solito modo. Tipo: pensando di poter pensare rettamente; pensando di essere sani, diceva quello là.

C’è che – proprio alla Gaber, temo – tra le nostre tante finzioni ci sta pure il fare dell’ironia che ci faccia sentire intelligenti – no, dai, diciamolo, denudiamoci senza remora, che ci faccia sentire spudoratamente “migliori” di non si sa chi; proprio mentre, con questo mezzo, riveliamo il fondo di tutta la nostra pochezza.

Ci penso, talvolta: Giorgio Gaber doveva apprezzare molto poco i suoi acclamatori. Ma, del tutto giustamente, percepiva i compensi e i diritti d’autore per il suo fare: per vivere e, forse, per sputarci in faccia (a parte qualche momento di commozione e affetto, per sé e per noi – detto a parte, fa sempre bene,  “per quelli che c’erano”, un ascolto complice di “Al bar Casablanca”: cercatevelo da voi, qui non ci sta proprio.)

Poi: è solo perché tutto sta avvenendo a casa dei nostri vicini, perché l’incendio potrebbe estendersi alla nostra casa?

Va pure bene – ama il prossimo tuo, dopotutto, dovrebbe voler dire che se ognuno amasse il proprio vicino di casa tutti sarebbero al sicuro: non è così? Ci identifichiamo con chi è prossimo a noi – è giusto.

Domanda: Dove sono i non-vicini? Il nostro mondo-tondo è davvero piccolo, oggi. Siamo forse troppi, a tal punto vicini da far scattare…qualcosa che è tuttavia scattato anche di fronte a vaste praterie, a immensi spazi scarsamente abitati da gente abbastanza felice, credo, almeno quanto lo si può essere: perché non esiste un diritto alla felicità – lo sanno bene anche gli americani. Se così non fosse, che bisogno ci sarebbe stato di metterlo in Costituzione?

Esiste la ricerca della felicità, e anche questa, da approssimare con moderazione.

E il tempo che passa, trascorre: non c’è più, non conta?

E allora eccoci: pronti a negare i recenti massacri di cui siamo responsabili noi, tutti tesi a guardare – giustamente, perché in corso, e dunque da fermare – il massacro in atto compiuto da un nuovo o vecchio <loro>, <lui>, che è ancora meglio; pronti a dimenticare la ripetizione di massacri lontani nel tempo – quanto lontani? Quando è: lontano? Quando non sarà rimasta nessuna vittima a ricordare? Quando non ci saranno più colpevoli desiderosi di dimenticare e di essere dimenticati? Esistono molti <loro> che, dopotutto, ricordano (o no? E quanto è faticoso cacciare via il ricordo, giù giù, in un fondo senza fine?).

Ci ritroviamo, sempre, tesi a nascondere avvenimenti più o meno lontani, di cui siamo responsabili; a rimpicciolirli; neppure a scusarli; peggio: a considerarli – letteratura? O giù di lì.

E quanto dev’essere grande un massacro per venir ricordato – e attualizzato nel ricordo?

Mai, credo, potremmo pensare che il passare del tempo ci liberi dalle colpe, non dette, non riconosciute, se siamo sempre noi, sempre quei tali che rivolgono al loro dio un confiteor privo di oggetto, al massimo ego-riferito e basta là, confidando sulla possibilità di far carico delle proprie colpe ad un Figlio di un Dio onnipotente; passate presenti e future, immagino; e mai potremmo buttarcele alle spalle; senza neppure puntualmente pensarle: saranno state compiute da esseri diversi da noi, da cui nulla abbiamo ereditato?

Che fare, allora, di quell’asserzione per cui le colpe dei padri ricadranno – pure se, si dice, non dovrebbero – sui figli?

Possiamo veramente pensare che la colpa non riconosciuta non venga trasmessa, sotto forma di licenza; che non venga trasmessa ai figli come eredità culturale?

Sarà possibile che i figli e le figlie dei violenti non facciano propria la violenza? Travestendola, nel caso, da violenza supposta legittima degli autoacclamatisi <giusti>?

Qualcuno ricorda, e tutti noi apprezziamo; basterà? Lo vorrei tanto; non lo credo; e ho paura per i miei figli, nipoti…per tutti loro.

Lo so bene, sto dicendo/scrivendo cose senza costrutto. Inutili come qualsiasi confiteor privo di azioni conseguenti: sono figlia di questo mondo di assassini, e non c’è, temo, un altrove.

E come avviene che il pensiero mi tradisce e sento una voce cantare altre parole che non sono grandi versi, da salvare nei secoli, immagino, ma che sono normali e belle, e fanno bene. Aiutano a pensare che ci sarà un dopo la tempesta, e che il mondo è un luogo meraviglioso; parole che sono desiderio – c’è qualcosa da trasmettere ai figli, se vorremmo farcela.

La chiudo qua.  Forse. Spero.

Lo so, sono patetica, e perché non dovrei: è qualcosa di umano, temo; capita a tutti. Il meglio da fare sarà, dunque, mostrarlo. Possibilmente solo per una volta.

Continuiamo a scrivere, dunque – di mio, andranno bene anche le sciocchezze. E non parliamone più. Forse. Per ora.