Buon 2023. Speriamo

Giungo molto in ritardo, quest’anno, nel porgere gli auguri a tutti noi, come sarebbe d’uso tra gente civile; e come è un piacere fare. È andata così. Ma, pure a feste finite, un augurio ci sta sempre: buon anno, dunque, a tutti noi.

Credo tuttavia che questo sia l’inizio di un anno difficile che richiede, oltre all’augurio di tutto il bene possibile per tutti, di produrre dei buoni progetti, con una qualche fiducia; e con una qualche speranza, che non guasta mai. 

Vale sempre quel detto per cui tutti sappiamo che una certa cosa non si può fare, poi arriva uno che non lo sa e la fa”. 

Potrei dunque assumere una qualche specie di impegno per favorire la possibilità che il tempo dinanzi a me sia un tempo buono; con un impegno ad esserci, soprattutto a non distrarmi, a fronte di tutto ciò che di orribile sta accadendo in questo nostro unico mondo: che è casa, come e più della mia stanzetta piena di libri e tutta per me.

Dovrei aggiungerci anche l’impegno a far tesoro di tutto ciò che di buono resiste, e non è poco; dovrei rafforzare lo sguardo al mondo che mi sopravviverà, al mondo dei miei/nostri figli perché sarebbe bello, per il tempo che resta, vedere l’emergere di un tempo buono, per non dire addirittura del farne parte: una piccola parte, per un piccolo tempo; lavorando per costruirlo, e per chiedere scusa.

Dovrei meglio riconoscere il dovere del rispetto per un mondo che, al momento, non ha guadagnato alcunché dalla mia presenza.

La storia di noi umani sulla terra è stata finora un attimo nella vita del pianeta. Un qualcosa che potrebbe essere spazzato via senza che ciò costituisca qualcosa di rilevante nell’economia della sua vita. Il mondo vegetale, il sommo vivente sulla Terra, si sarà pure più che seccato, talvolta, per la nostra presenza, ma niente più, dati i rapporti di forza tra lui e noi. C’è da pensare, tuttavia, che ogni pazienza abbia un limite; c’è da temere quel che potrebbe decidere di fare <di> noi, mentre stiamo falsamente a domandarci, convinti di essere i padroni del mondo, cosa fare <per> lui.

Del mondo animale, e in particolare di quello a noi più vicino, a noi più simile, abbiamo fatto e stiamo facendo strame.

Uno studio rivela che “il pollame oggi rappresenta il 70 per cento di tutti gli uccelli del pianeta. I numeri dei mammiferi sono ancora più desolanti: il 60 per cento è composto da bestiame, il 36 per cento da esseri umani e solo il quattro per cento da animali selvatici”, (mentre) “gli umani sono solo lo 0,01% di tutta la vita sulla Terra (in termini di biomassa) ma hanno distrutto l’83% dei mammiferi selvatici, assestandogli un “colpo finale” negli ultimi 50 anni.”

E va bene: forse dovrei trascorrere dall’<io> al <noi>. Dopotutto sono un animale sociale ed è praticamente impossibile fare una scelta di vita totalmente diversa da quella di chi vive accanto a me. Ma devo pure propormi di parlare solo per me, pena il rischiare di dar la colpa di tutto – e che tutto! – a qualcun altro, del genere i poteri forti o piove governo ladro: poco utile, davvero.

Sento dire che dovremmo piantare alberi, e va bene: facciamolo, perché no. Uno a testa e potremmo riportare l’Europa ad essere percorribile di albero in albero, come al tempo di Cosimo Piovasco di Rondò, il mitico Barone rampante (dunque a non molto tempo fa, dopotutto). 

Amerei davvero molto piantare un albero ma potrei anche solo aver maggior cura del mio misero terrazzo, lungo e stretto, e delle strambe piante che lo decorano, che lascio crescere a loro piacimento, piccole e perenni; in vasi che lascio invadere da erbe infestanti di cui cerco pure di aver cura: sono belle, dopotutto. 

È curioso guardare le relazioni, le storie che le mie piantine intrattengono tra di loro, con l’aiuto del vento, che trasporta pollini; con l’aiuto di qualche ape che le frequenta indisturbata. Fanno affari di cuore tra di loro. Poi, qualcosa muore qualcosa nasce e tutte loro, le mie strane stralunate piante, ricordano, credo; e chiacchierano tra di loro, spettegolano, narrano. Mi ignorano, ma va bene così. Io le guardo, da un ideale buco della serratura.

Il mio balcone è, più o meno, sempre circa verde, in ogni stagione – caldo, meno caldo, freddo; sole, pioggia, neve, sole; campi brulli, poi prati e alberi caducifoglie che rinverdiscono; poi fiori, colori; al cambio stagionale le foglie vireranno al giallo, al rosso marrone, in un profluvio di sfumature per poi morire; nel mentre, il prato e gli alberi si riposano in attesa della nuova stagione.

Mai, quando diciamo con aria saccente che “non ci sono più le stagioni di una volta”, pensiamo al fatto che sono, queste, le stagioni di casa nostra, alla nostra latitudine; che altrove sono diverse, o non ci sono; che la nostra piccola casa, quella di cui vorremmo difendere inesistenti confini, non è il mondo; che le stagioni degli altri nostri coinquilini sono diverse e che, in ogni modo, il mondo, a parte noi, ha infinite risorse per farsi i fatti suoi.

Arriveremo mai a fare i conti con la nostra irrilevanza? A farli davvero, uno per uno e tutti insieme? 

Le cifre che riassumono il nostro mondo, imprecise, utili soltanto a farsi un’idea, ci dicono questo: “tutta la vita sulla Terra è costituita dall’82% da piante, dal 13% di batteri, dal 5% di animali (insetti, funghi, pesci e altre specie) e soltanto dal 0,01% dall’uomo“. (al 22 maggio 2018)

In sintesi: “la flora governa il pianeta, la vita animale ne dipende e gli umani sono solo un decimillesimo del tutto. Sono solo un piccolo grande fattore di disturbo”. 

Il danno che abbiamo fatto alla casa che abitiamo, come ospiti tollerati, temo non sia dirimente: la vita del pianeta potrà, non appena lo vorrà, darci uno sfratto non rinviabile; senza difficoltà alcuna. 

Stiamo distruggendo vita, è vero; ma il pianeta, forse, se ne è accorto da poco; e sta prendendo provvedimenti nei nostri confronti.

Vincerà lui. La vita, per sua natura, nel suo essere composta di cicli nascita-morte, non si farà distruggere: deciderà il nostro essere superflui, fastidiosi e dannosi, né più né meno di quanto facciamo noi quando espelliamo una piccola pattuglia di scarafaggi dalla nostra abitazione. La nostra presenza qui è, come detto, irrilevante. Neppure il tempo di una nota a margine nel libro della vita sulla Terra.

Potevamo, tuttavia – forse possiamo ancora – divenirne utili coinquilini. Rinunciando a qualcosa: a molto?

Lo ammetto: la mia considerazione per me stessa e per i miei bisogni è, e resta, ai miei occhi, se non prevalente su tutto, sicuramente al limite del non rinunciabile. 

E i miei (nostri) libri? Non è un salto logico. Ammetto che lo può sembrare ma non lo è.

Dobbiamo agli alberi anche i nostri libri, il supporto che amiamo tanto, che ci rifiutiamo fermamente di scambiare con dei – come si chiamano, mucchi di byte?; che restano irrinunciabili per scambiarci i nostri pensieri, le fantasie, qualche buona idea, e tanto altro. 

“La produzione della carta nuova ha un grande impatto ambientale: per fabbricarne 1.000 chilogrammi si utilizzano 15 alberi, 440.000 litri di acqua e molta energia.”

Bene: nonostante tutto, gli alberi, supportando questo nostro bisogno, guadagneranno esseri umani migliori, la diffusione tra noi di conoscenze utili anche, in senso lato e non solo, alla salvaguardia del loro – e in piccola parte nostro – comune mondo.  

Epperò, come ultimamente mi pare si dica: reduci tutti noi dagli imballaggi degli acquisti, dei regali del Natale; consapevoli tutti noi del pregio delle attività editoriali, diciamolo: non dovremmo avere almeno consapevolezza di ciò che teniamo tra le mani quando leggiamo un libro? 

Il riciclaggio della carta, certo. Doveroso e benedetto; da sorvegliare con cura nei suoi esiti. 

Gli imballaggi: perché mai, quando acquisto un libro, mi dovrebbe venir consegnato dentro un sacchetto di carta, quasi non dovesse essere veduto, come una bottiglia di whisky nei film americani (lo faranno davvero? Ancora?).

Talvolta vengo assalita da una fantasia disgustosa: mettere a maggese, per un anno, a livello mondiale, l’attività delle case editrici. Per un anno chieder loro di vendere gli avanzi di magazzino. O nulla, dai.

Rileggeremo ciò che abbiamo in casa, ci rivolgeremo alle biblioteche. Gli editori e i librai avranno cura del magazzino, di vendere tutto, senza più fare rese, e ad altissimo prezzo.

Dovremmo salvare i giornali? Ci sarebbe molto su cui riflettere.

Da articolo Focus: la demografia mondiale spiegata con la carta igienica

Il tutto, dopo aver posto un totale bando agli imballaggi, ovviamente. E alla carta casa, alle salviette del bar (ognuno avrà in tasca la sua pezzuolina) e – orrore! – alla carta igienica senza la quale una non piccola parte del mondo sopravvive (non benissimo, in termini di salute). Ai pannolini, ai pannoloni? Brutto guaio!

Fantasie inopportune, certo. In parte, non solo fantasie. Paura?

Guardo le pile di libri in disordine che affollano il mio tavolo. Ho paura, sì. Mi trovo pure a ridacchiare, di un riso isterico, inopportuno.

Ultimo pensiero, da allontanare subito: meglio non pensare alle guerre. Ne seguirebbe rinunciare alla speranza.

Mi dico che questo non è un bel pensiero per iniziare questo decimo anno di scrittura. Mi propongo tuttavia di leggere meno; e meglio.

Ho letto qualche buon libro, in queste ultime due settimane. Spero di darne presto, almeno in parte, una restituzione.

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Fonti:

https://www.repubblica.it/ambiente/2018/05/22/news/l_uomo_rappresenta_solo_lo_0_01_di_vita_sulla_terra_ma_ha_gia_distrutto_l_83_delle_specie-197067770/#:~:text=I%20risultati%2C%20anche%20se%20le,%2C01%25%20dall’uomo

https://greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/biomassa-terrestre-gli-alberi-governano-il-pianeta-e-gli-esseri-umani-sono-solo-un-decimillesimo/

https://www.focus.it/cultura/curiosita/la-demografia-mondiale-spiegata-con-la-carta-igienica