Una pietra che respira

P1060109Ruth Rendell, “La morte non sa leggere” (titolo originale “A judgement in stone”)[i]

Questa è una rilettura. Ed io che amo il poliziesco classico – omicidio, poliziotto, indizi, indagini, scoperta del colpevole e trionfo della ‘giustizia’ – ho mantenuto una memoria particolare per questo noir anomalo, che inizia, rovesciando lo schema, dall’informazione sull’avvenuto sterminio dell’intera famiglia Coverdale, padre madre e due figli, da parte di Eunice Parchman, bravissima governante di casa, compiuto insieme alla sua amica Joan Smith, per nascondere il fatto di essere analfabeta.

Apparentemente, tutto è già reso noto nelle prime due pagine ma l’indagine ci sarà, puntuale, nel racconto della vita delle vittime, persone piacevoli e di buoni sentimenti, totalmente incolpevoli di ciò che accadrà loro (fatto salvo il fatto che nessuno, al mondo, è innocente), nel racconto della vita dell’assassina (tale fin dalle premesse, per la sua storia personale, fatto salvo il fatto che tutti siamo in qualche modo innocenti e giustificati in ciò che facciamo) e dei comprimari, e nell’individuazione degli indizi che avrebbero potuto, nel farsi progressivamente più gravi e più indicativi, svelare il prodursi di un conflitto dall’esito devastante.

Ci saranno anche l’arrivo dell’Ispettore di Scotland Yard e l’indagine ufficiale dopo l’avvenuta strage, e la suspense richiesta nel corso delle indagini che porteranno alla scoperta della verità in modo quasi imprevedibile (e nel lettore crescerà l’ansia e la voglia di dire guardate! Non avete cercato bene! Vi sta sfuggendo l’indizio principale!) e porteranno la Giustizia a individuare la colpevole, a demolire il semplice e geniale alibi, evitando, come in ogni buon noir (ma qui sarebbe anche potuto accadere) la possibilità che l’assassino resti impunito.

Tutto l’apparato del poliziesco classico viene rispettato. E la scelta di mostrare il tutto a posteriori dello scioglimento dell’enigma non ne indebolisce la forza, anzi, poiché non è detto che, mentre tale scioglimento è noto al lettore, questo risulti compiersi anche nella storia – nulla avrebbe impedito un diverso esito; e infatti, tale scioglimento avverrà per una via la cui scoperta è bene lasciare al lettore.

Ma la storia è altro, è di più, è uno scavo, di eccezionale bravura, nella mente umana, nella normalità e nella quotidianità della mente che devia, nella cecità con cui conduciamo le nostre vite incapaci di guardare e vedere gli altri; a nostra volta impossibilitati ad essere veduti se non attraverso innocenti stereotipi dettati da una erronea ovvietà dei modi con cui leggiamo i fatti di ogni giorno, gli eventi, i normali scambi sociali, nella certezza di condividere linguaggi e gesti propri della nostra appartenenza sociale.

La storia è impregnata dallo sbalordimento che ci coglie nello scoprire come fatto nuovo ciò che sappiamo bene, cioè come e quanto la scrittura e la lettura siano cosignificanti dell’intrattenere normali relazioni tra persone, quanto medino i nostri rapporti e costituiscano la base della nostra organizzazione di vita: non ce ne eravamo accorti – intendo davvero, al di là dell’ovvio, al di là di quella distanza che c’è sempre tra il fatto che una cosa ci sia nota e il comprenderla, assumerne il significato e le sue conseguenze. Non ci è chiara, nell’immediato, la relazione che può crearsi tra l’essere una domestica analfabeta e il compiere una strage per nasconderlo.

Nella storia c’è dell’altro, c’è un incontro ‘fatale’, in cui si sommano la devianza di Eunice dalle norme sociali condivise, causa e conseguenza del suo analfabetismo e la devianza di un’altra mente, quella dell’amica Joan, che utilizza ‘La Parola del Signore’ (scritta!) per percorrere un proprio personale percorso di uscita dal mondo della ragione.

Tale incontro fatale sarà tuttavia l’occasione, non la causa degli avvenimenti, che si produrranno quando una serie di piccoli fatti, ognuno dei quali in sé trascurabile, farà massa critica, fino a un esito coerente e quasi dovuto. Poteva essere altra l’occasione, altre le modalità dell’esplosione della violenza, il caso gioca la sua parte, ma il percorso non poteva essere diverso.

Ruth Rendell racconta con maestria, con un linguaggio lineare, intriso di affetto per i suoi personaggi, tutti, nessuno escluso: e al lettore risulta incredibile che non siano reali; una leggera vena ironica vale a mitigare la partecipazione alle ragioni degli uni e degli altri, assegna al tutto una patina di necessità. Lo sguardo che vede i personaggi ne accetta la vita, i limiti, le positività, le ragioni, e l’esito finale, senza condanna per nessuno.

Solo nella chiusura – poche righe sul corso del processo, attraverso le parole dell’avvocato difensore e del giudice che assegnerà a Eunice Parchman una pena in qualche modo contenuta – l’autrice, senza nulla perdere della compassione che caratterizza tutta la scrittura di questa storia, farà una piccola concessione all’impianto del noir classico, mostrando il concretizzarsi, per Eunice, di una pena commisurata alla gravità del suo atto e mostrando, in conseguenza, l’inevitabilità con cui la Giustizia (quella con la maiuscola) raggiunge il colpevole: anche quando la colpa consiste nell’essere chi si è, con tutta la propria vita sulle spalle. E di Eunice dirà “Una pietra che respira: questo pareva Eunice, questo era sempre stata .“

[i] Una necessaria nota: questo romanzo può essere considerato, è considerato, il capolavoro di Ruth Rendell, autrice molto nota e molto prolifica, ma ho scoperto con incredulità essere difficilmente reperibile. La mia copia appartiene alla serie delle pubblicazioni di Repubblica “Le strade del giallo” (e può essere che in casa ci sia anche un vecchio Giallo Mondadori). I suoi libri si trovano, quantomeno on line, Distribuzione Feltrinelli, ma non questo. La cosa è incredibile e, spero e credo, momentanea. Il libro si trova comunque sul mercato on line dell’usato e forse è richiedibile, come arretrato, a Repubblica: il mio tentativo di ottenere risposta a questa domanda dal call center di Repubblica è finora andato a vuoto per ripetuta, insostenibile e inutile attesa di risposta. Insisterò. E’ un libro che DEVE essere richiesto e ottenuto, credetemi, assolutamente.