In questo blog, propongo i libri che, nuove o vecchie letture che siano, ritengo imperdibili e che, per quel percorso, di cui abbiamo già parlato, attraverso il quale un libro ne chiama un altro, si autopropongono alla mia voglia di leggere.
Nel frattempo, qualcosa acquisto, qualche altro libro attira la mia attenzione, e inizio altre letture che, talvolta, non spesso, restano incompiute: il libro non mi piace, non incontra il mio momento per essere letto, tradisce aspettative, giuste o sbagliate che fossero.
Devo dire la verità, la prendo male, talvolta molto male. Quasi avessi un diritto, fondato su un dogma, che impone al libro di essere quale io mi aspettavo. E questo fa parte dei miei aspetti caratteriali; ognuno ha i propri, immagino, e va così.
E sul mio tavolo, sparsi per casa, in ‘disordine’, restano, come vecchi ruderi, libri che, non essendo stati letti, aspettano tuttavia che venga data loro un’occasione: non c’è altro da leggere? Verrà il momento in cui sentirò di poter restituire loro una fiducia tradita? Qualcosa del genere.
In ogni modo, non vengono riposti, non ottengono una collocazione negli scaffali, rimangono in una specie di limbo tra i libri in attesa di lettura (del genere ultimi acquisti o piccola pila di libri che desidero rileggere), e i libri letti e decorosamente domiciliati: una penosa situazione da clandestini irregolari.
Non sono libri da eliminare. Tra quei clandestini ci sono cose buone e il piacere della lettura non richiede, sempre e solo, il capolavoro, sia o meno riconosciuto come tale dalla critica ufficiale.
Così, al volo, mi viene in mente, a titolo di esempio, un libro di un po’ di anni fa che, prima di averne finito la lettura consigliavo con grande entusiasmo a chiunque incontrassi e che difficilmente può essere considerato grande scrittura – si tratta di “Le streghe di Smirne” di Meimaridi Mara, Edizioni e/o. Leggerlo è stato un grande piacere, anche e nonostante una scrittura brillante ma poco curata e la difficoltà di raccapezzarsi tra una miriade di nomi e genealogie. In Grecia è stato un grande successo editoriale e, mi dicono, ne è stato tratto un serial televisivo di successo. Ad oggi, non so di altri libri pubblicati (e tradotti) di questa autrice. Potrebbe essere, ancora una volta, il caso di un autore del libro unico?
In breve: sto tralasciando qualche buon libro che, evidentemente, non incontra il mio gusto o il mio interesse del momento e che, nella mia casa, ha il triste destino di vagare senza un suo posto. Mi irrito per il disordine che quei libri creano ma, quanto a questo, non c’è questione: <Io sono>, disordinata. In questo caso, tuttavia, non si tratta di disordine, si tratta del limbo dei libri, la cui esistenza mi disturba e per la quale provo un ingiustificato senso di colpa.
Ora, ho di fronte, oltre ai libri che ho acquistato e in attesa di lettura, tre di questi libri infelici.
Uno è – ne avevo parlato, credo – “Svegliamoci pure, ma a un’ora decente”, di Joshua Ferris, editore Neri Pozza 2014. Iniziato e lasciato. Ottima scrittura, nulla che mi abbia trattenuto su quelle pagine. Ho espresso il buon proposito di riprovarci (non so se le radici dell’Europa siano cristiane, ma, come si vede, le mie pare di sì, per cui i sensi di colpa, per loro natura immotivati e ipocriti, si aggiustano con i buoni propositi).
C’è poi, e questo è un abominio, “Troppa felicità” di Alice Munro, Einaudi 2014. Un abominio, trattandosi di una scrittrice insignita del Nobel che, a parte qualsivoglia considerazione, difficilmente potrei permettermi di squalificare, usiamo questo termine perché non me ne viene un altro. Sta di fatto che ho letto il primo racconto, ho letto il secondo, di seguito, poi sono passata a scegliere sul comodino da notte un altro libro, per fortuna provvedo sempre ad avere scelte di riserva così ho potuto evitare di alzarmi a notte fonda per vagare alla ricerca e rovinare definitivamente il mio riposo. Dico la verità. Mi stava annoiando. Sicuramente colpa mia. So che dovrò fare un altro tentativo, magari con un altro suo libro, ma una specie di moralismo improprio (vedi sopra) mi impone, prima, di darmi un’altra possibilità con questo. Ci deve pur essere stato un motivo se l‘avevo scelto. Ora non saprei proprio dire quale.
Ancora: Alejandro Jodorowsky, “Quando Teresa si arrabbiò con Dio”, Feltrinelli 2013. Quando ho iniziato questa lettura, mi ha preso, subito, poi non so cos’è successo, sono stata attratta da qualcos’altro, ho iniziato un secondo libro, ho rinviato la prosecuzione della lettura di Jodorowsky e, infine, l’ho dimenticato; l’ho ripreso, ho riletto le prime pagine e mi sono confermata subito nel piacere di quella lettura ma, avendo un libro che mi stava trattenendo, ho rinviato e Jodorowsky è stato nuovamente dimenticato. Ora l’ho con me; il proposito è stato nuovamente ripetuto e chissà (ma ci credo poco).
Ora, sarebbe bello se qualcuno che legge queste righe, avendo letto e apprezzato, o non apprezzato, l’uno o l’altro di questi libri, me ne dicesse qualcosa, compreso l’ordine perentorio di leggerli.
Per ora, ho concluso la lettura di “Miele”, di Ian McEwan, libro che è stato, nel corso di (quasi) tutta la lettura, lì lì per fare la stessa fine, che davvero non avrebbe meritato. Sarà la prossima recensione. Poi andrà nel suo scaffale e nel suo giusto ordine di collocazione, figlio legittimo cui è stato dato un nome.