Pier Paolo Pasolini. “Poesia in forma di rosa”
Eppure, mai si parla della sua poesia. Si dice di lui, “è un poeta”; lo si dice come se il sostantivo avesse un valore di apposizione, ad integrare un altro sostantivo: romanziere, regista, sceneggiatore, artista, intellettuale, comunista (espulso dal partito ma fa lo stesso); con un improprio valore di attributo da assegnare al suo intero essere – senza, dunque, errore, in questo; il modo della poesia, si dice, è presente in ogni suo linguaggio, finalizza a sé lo strumento. E della sua opera poetica si dice poco.
La sua vita prevale, e con la vita la sua produzione più ‘sociale’. Dell’opera si parla nella misura in cui è utilizzabile per misurarsi nel giudizio sulla sua persona, sulle sue scelte di vita, sulle sue posizioni politiche, sulla sua influenza (sul <rischio> di una sua influenza) sulla nostra società. Nel tentativo di ridurne la voce, fino ad annichilirla.
Pure, nella poesia ritroviamo tutto Pasolini, il suo pensiero e le sue emozioni contraddittorie, inopportune per la nostra fatica di sfuggire a noi stessi e ai fantasmi che albergano in ognuno di noi, da tacitare, pena il comprendere, il riconoscere, pena il terrore del non poter più giudicare, l’umiliazione del nulla da perdonare.
La raccolta “Poesia in forma di rosa” viene, solitamente, abbastanza taciuta (vero: solitamente si tace, per intero, tutta la poesia, ma nel caso di quest’opera, si fa di più: in questo caso, il ‘taciuto’ sembra avere il carattere del ‘nascosto’, anzi, ‘cassato’.
Charles Baudelaire. “I fiori del male”
Leggere Pasolini poeta richiama Charles Baudelaire. Lo si riscopre al suo fianco, ora che la morte ha annullato i diversi tempi e i diversi modi di vita e di pensiero. E il tema della donna, sotteso al tema della madre, sotteso al silenzio sul maschile, sul padre.
Tema che, nell’amore per la madre, apre le due opere – odio travestito d’amore nel caso di Pasolini, necessità di assicurarsi la benevolenza di un essere potente, e dunque pericoloso (“Supplica a mia madre” ben lo documenta. Qui); amore totalizzante travestito da rancore, nel caso di Baudelaire, che nella fascinazione del Male ne sfida il potere.
Tante, troppe, le emozioni, i richiami, le contraddizioni e le assonanze che ognuno ritrova in questi versi; tante da far sì che ci si allontani, che si eviti una lettura sconvolgente. E l’ascolto degli echi.
Una lettura che, affrontata, nell’inevitabile sofferenza del riconoscimento, riconcilia con la propria umanità attraverso quella altrui, in cui specchiarsi senza giudizi, o ipocriti perdoni.
Pier Paolo Pasolini
La ballata delle madri
Mi domando che madri avete avuto. / Se ora vi vedessero al lavoro / in un mondo a loro sconosciuto, / presi in un giro mai compiuto / d’esperienze così diverse dalle loro, / che sguardo avrebbero negli occhi? / Se fossero lì, mentre voi scrivete / il vostro pezzo, conformisti e barocchi, / o lo passate, a redattori rotti / a ogni compromesso, capirebbero chi siete?
Madri vili, con nel viso il timore / antico, quello che come un male / deforma i lineamenti in un biancore / che li annebbia, li allontana dal cuore, / li chiude nel vecchio rifiuto morale. / Madri vili, poverine, preoccupate / che i figli conoscano la viltà / per chiedere un posto, per essere pratici, / per non offendere anime privilegiate, / per difendersi da ogni pietà.
Madri mediocri, che hanno imparato / con umiltà di bambine, di noi, / un unico, nudo significato, / con anime in cui il mondo è dannato / a non dare né dolore né gioia. / Madri mediocri, che non hanno avuto / per voi mai una parola d’amore, / se non d’un amore sordidamente muto / di bestia, e in esso v’hanno cresciuto, / impotenti ai reali richiami del cuore.
Madri servili, abituate da secoli / a chinare senza amore la testa, / a trasmettere al loro feto / l’antico, vergognoso segreto / d’accontentarsi dei resti della festa. / Madri servili, che vi hanno insegnato / come il servo può essere felice / odiando chi è, come lui, legato, / come può essere, tradendo, beato, / e sicuro, facendo ciò che non dice.
Madri feroci, intente a difendere / quel poco che, borghesi, possiedono, / la normalità e lo stipendio, / quasi con rabbia di chi si vendichi / o sia stretto da un assurdo assedio. / Madri feroci, che vi hanno detto: / Sopravvivete! Pensate a voi! / Non provate mai pietà o rispetto / per nessuno, covate nel petto / la vostra integrità di avvoltoi! Ecco, vili, mediocri, servi, / feroci, le vostre povere madri! / Che non hanno vergogna a sapervi / – nel vostro odio – addirittura superbi, / se non è questa che una valle di lacrime. / E’ così che vi appartiene questo mondo: / fatti fratelli nelle opposte passioni, / o le patrie nemiche, dal rifiuto profondo / a essere diversi: a rispondere / del selvaggio dolore di esser uomini.
(Pier Paolo Pasolini, Poesia in forma di rosa (1961-1964), Garzanti, Milano 1964.)
Charles Baudelaire
Benedizione
Quando per volontà di potenze supreme / Il Poeta appare in questo mondo annoiato / Sua madre impaurita e colma di bestemmie / Stringe i pugni verso Dio che ne prova pietà:
– “Ah! Perché non partorire un groviglio di vipere / Piuttosto che dar vita a questa derisione! / Maledetta la notte dai piaceri effimeri / In cui ho concepito la mia espiazione!
Poiché tu mi hai scelto tra tutte le donne / Per essere il disgusto del mio infelice marito / E tra le fiamme non posso ributtare con ira / Come un biglietto d’amore questo mostro grinzoso,
Farò ricadere il tuo odio opprimente / Sullo strumento maledetto della tua cattiveria / E tanto torcerò quest’albero miserabile / Che non potrà mai produrre i suoi germogli di peste!”
Trattenendo così la schiuma dell’odio / Senza poter comprendere i disegni dell’eterno / Si prepara da sola in fondo all’Inferno / Il rogo consacrato ai crimini materni.
Tuttavia tutelato da un Angelo invisibile / Il Figlio diseredato si ubriaca di sole / E trova in ogni cibo ed in ogni bevanda / Il sapore dell’ambrosia e del nettare vermiglio.
Gioca con il vento scherza con le nuvole / E s’inebria cantando del cammino della croce / E lo Spirito che lo segue nel suo pellegrinaggio / Piange nel vederlo allegro uccello tra i boschi.
Lo guardano con terrore coloro che vorrebbe amare / O meglio incoraggiati dalla sua serenità / Si sfidano per trovare chi gli strapperà un lamento / Ed esercitano su di lui la loro crudeltà.
Nel pane e nel vino destinati alla sua bocca / Mescolano della cenere e i loro sputi impuri / Con ipocrisia gettano tutto ciò che tocca / E ammettono di avergli camminato accanto.
La sua donna va gridando su tutte le piazze: / “Poiché mi ritiene degna della sua adorazione / voglio comportarmi proprio come le dee / e come quelle voglio che mi ricopra d’oro;
Mi ubriacherò di nardo, d’incenso e di mirra, / di carni, di vino e di genuflessioni, / per sapere se posso in un cuore che mi ammira / usurpare ridendo gli omaggi dovuti a un dio!
E quando mi annoierò di queste empie farse / Poserò su di lui la mia fragile e forte mano / E le mie unghie simili a quelle delle arpie / Sapranno fino al cuore aprirsi la strada.
Come implume uccellino che palpita e trema / Il cuore sanguinante gli strapperò dal petto / E lo getterò in terra con grande disprezzo / Perché possa sfamarsi la mia belva favorita!”
Al Cielo dove il suo sguardo vede un trono splendente / Il Poeta serenamente alza le braccia in preghiera / E gli ampi balenî del suo spirito lucido / Gli sottraggono la vista di popoli furiosi:
–“Siimi benigno, Dio che doni la sofferenza / come un divino rimedio alla nostra impurità / e come la migliore e la più pura delle essenze / che prepara i più forti alle sante voluttà!
Lo so che al Poeta hai riservato un posto / nei ranghi felici delle sante legioni, / e lo inviti alla festa che non avrà mai fine / dei Troni, delle Virtù e delle Dominazioni.
Lo so che il dolore è l’unica cosa nobile / che la terra e l’inferno mai intaccheranno / e che bisogna per tessere la mia corona mistica / dominare tutti i tempi e tutti gli universi.
Ma i gioielli perduti dell’antica Palmira, / i metalli sconosciuti e le perle del mare, / montati dalla tua mano, non potranno bastare / per quel bel diadema scintillante e luminoso
perché sarà fatto di quella luce purissima / attinta alla sacra fonte dei raggi primordiali / e di cui gli occhi dei mortali nel loro intero splendore / non sono che specchi oscuri e lacrimosi.”
(Charles Baudelaire, 1859,“I fiori del male”, Spleen e Ideale. Traduzione di Marcello Comitini.)