Natale, una favola, vecchi libri e la terra di mezzo del digital divide

CoralineDifficile girare per librerie, in questo periodo. Più che difficile, straniante. Librerie insolitamente piene di clienti (forse esagero, ma certo sono molto più del solito) perché, dopotutto, Natale è un momento in cui anche chi non legge acquista un libro, se non per sé, da regalare. Forse è solo una mia ubbia ottimistica ma, mentre personalmente non regalo libri se non alle due, tre persone di cui credo di conoscere i gusti, e con cui, magari, desidero condividere una lettura, persone che in qualche caso mi dicono anche direttamente quale libro desiderano, mi pare che il libro sia uno degli oggetti-regalo tipici.

Ecco, devo subito correggere quanto ho appena scritto: Io regalo libri, li regalo ai bambini, credo che qualcuno, più di uno, nel tempo, mi abbia odiato per questo. Ai bambini sì, agli adulti no. Loro devono comperarsi i libri da sé. Salvo precisi casi, regalare un libro equivale a regalare un abito di sartoria a una persona che il sarto non ha mai visto, di cui non conosce nulla e a cui non ha mai preso le misure.

A mia volta, alla richiesta dei familiari, e solo dei familiari, su cosa io desideri in regalo, chiedo quel preciso libro, magari il libro costoso che mi trattenevo dall’acquistare.

Così, nel periodo natalizio, è difficile girare per librerie perché invase, cosa buona, parrebbe, anzi lo è, da frotte di clienti che cercano libri prescritti per la loro neutralità, medietà, rispetto a gusti, qualità, in qualche modo preconfezionati. Verrebbe da consigliare ai librai di predisporne una certa quantità già pronti in pacco-regalo, così da sveltire gli acquisti; dopotutto i librai sanno già bene, credo, cosa e quanto si venderà, e cosa di meglio se non rispondere al cliente che si presenta alla cassa con il libro sottraendoglielo e consegnando in cambio la copia già infiocchettata? “Preferisce carta blu o rossa?”

Vero: forse l’acquirente, un certo tipo di acquirente, non apprezzerebbe. Sentirebbe sminuita la scelta, caricata dal peso dell’ovvio, dell’impersonale. Non a tutti piace essere prevedibili: cosa strana, in effetti, dato che ognuno di noi fa sempre del suo meglio per comportarsi in tal senso, che vale come ‘comportarsi bene’. Ritengo, tuttavia, che molti apprezzerebbero l’esito di accorciamento dei tempi di attesa.

Ecco: a Natale, a me, viene una grande voglia di acquistare libri on line: per me stessa, naturalmente, meglio se di seconda mano, qualcosa di un po’ perduto, qualcosa che, rimasto nella memoria, se ne è andato dalla mia libreria, perso in traslochi, io avevo anche una meravigliosa mamma grande lettrice che tuttavia non amava gli oggetti rotti e un po’ sporchi e buttava; riteneva, immagino, che i libri, che pure amava e di cui non avrebbe potuto fare a meno, fossero editati da madre natura e sempre reperibili, in ogni stagione, come le mele.

Su questa strada ho perduto con dolore una vecchia malridotta edizione Dall’Oglio di “La montagna incantata” di Thomas Mann, che ora sto cercando di recuperare. Chissà, potrebbe essere il regalo di Natale, un gran bel regalo. E una buona idea, in ogni caso, per una rilettura. In casa c’è, anche se non quell’edizione che, diciamolo, sarebbe bene, ci fosse ancora, non maneggiare troppo. Potrei anche scaricare un e-book aggiuntivo e salvare le pagine del mio libro dalle sottolineature e dalle note.

Italo Svevo
Italo Svevo

Ma nel frattempo, dopo aver riletto “L’oceano in fondo al sentiero”, di Neil Gaiman, per la traduzione di  Carlo Prosperi e con, in attesa di lettura, “Coraline”, dello stesso autore, traduzione di Maurizio Bartoci,  (sempre per via del desiderio di andare a vedere come si sta di là, dentro nuovi linguaggi e generi diversi) sto leggendo con piacere rinnovato Italo Svevo, “La coscienza di Zeno”.

Ora, Coraline, una favola un po’ ansiogena, un po’ nera, credo mi possa aiutare a comprendere meglio il suo autore che, in effetti, mi interroga. Probabilmente “L’oceano in fondo al sentiero” sarà la prossima recensione, se riuscirò a inquadrare come desidero questa storia, a entrare in un dialogo con il libro che io riesca a tradurre in parole.

Di “Coraline” so che il libro è divenuto un film di animazione, che non ho visto. Non frequento molto il genere. Penso anche che, magari, dovrei vederlo. Il fatto è che mantengo molte, grandi riserve sulla trasposizione dei libri in film, pur sapendo bene che sono preconcette, dovute a una mia rigidità (l’età mi autorizza, o così amo pensare), non dunque al punto di ritenere le mie preclusioni corrette (sono mie, cerco di superarle, finita lì).

Altrettanto sicuramente so che dovrei escludere da questa preclusione un certo tipo di opere che si pongono, che l’autore stesso pone, a cavallo di due linguaggi, che nascono, per così dire, per la comunicazione visiva; delle quali, potrebbe essere, la versione scritta costituisce una tappa, quasi solo una sceneggiatura.

E Neil Gaiman nasce come fumettista, sceneggiatore, si muove in quella ‘terra di mezzo’ che oggi rende difficile la condivisione dei linguaggi, il colloquio tra età diverse, che corrispondono a mondi diversi: non ancora uscito di scena il primo e ancora in possesso di tutto il suo potere, del controllo sull’esistente (ma davvero?); non ancora dotato di una struttura stabilizzata e di regole sufficientemente condivise il secondo (ne siamo certi?). È anche questo ciò che chiamano digital divide?

Lo dico malissimo, lo so, ma mi trovo non solo nella ‘terra di mezzo’ ma anche fuori sentiero. Cammino fuori pista, ecco. Posso solo provarci e mi consola unicamente l’idea che non sono sola in questa condizione. (Fuori onda, e tanto per dire: chissà se riuscirò a pubblicare questo articolo. Ho da poco scaricato windows 10, il caos. Praticamente da subito, appena ho iniziato a lavorarci, sono riuscita a inchiodare il computer. Ne sono uscita in modo poco elegante, ma il solo che io conosca: togliere batteria, rimettere batteria. Me la sto cavando, per dirla in parole povere, per prove ed errori, fiduciosa, si fa per dire, che prima o poi la luce tornerà. È sempre così, ogni volta, devo crederci, sono anni che devo crederci e arranco. Qualche volta sono stanca).

Tornando in argomento. Mi pare, tuttavia, che Gaiman appartenga anche, che desideri appartenere, alla letteratura, alla parola scritta. Alla Contea, per rimanere in metafora ‘Signore degli anelli’, a casa Baggins.

E Svevo? Non è incongruo, no, è il riposo, in terra ospitale; una buona terra antica, un mondo che si sentiva stabile, certo delle sue regole, centro del mondo civile, quella Mitteleuropa (ehi! Ancora una ‘Terra di mezzo’!) che permetteva alla psicanalisi di nascere proprio perché il quadro delle sue certezze forniva la base, al singolo, per esplorare mondi, certo del rientro a casa; l’Europa di mezzo che univa popoli e lingue (che pensava di farlo; che amiamo pensare lo pensasse). Poi è venuta la guerra. Certo. Ma per chi c’era, finché è durata, magari solo per qualcuno, dev’essere stato bello. A parte una sensazione, fastidiosa, di malattia. Falsamente immaginaria.